Alberto
Pasolini Zanelli
Una delle prime frasi che inaugurarono il
pontificato di Francesco e aprirono le orecchie a osservatori abituati ad
angoli visuali più ristretti riguardava una funzione “terapeutica” della Chiesa
cattolica. Che doveva essere, disse Jorge Bergoglio, un “ospedale da campo” per
le anime (ma non soltanto quelle) dei cristiani (ma non soltanto loro) che
soffrissero delle ferite inferte loro dal mondo e dalla vita. Nessuna di quelle
parole era nuova, quasi inedito il concetto, anzi l’afflato che esprimevano. In
una manciata di mesi si è constatata la loro attualità e concretezza. In
termini bonari e “riduttivi”, il primo pontefice del terzo millennio aveva
ripetuto l’appello del suo predecessore Benedetto XV giusto un secolo fa agli
statisti di un’Europa immersa fino al collo nel bagno di sangue della Prima
guerra mondiale. La chiamò “inutile strage”. Il suo appello non fu accolto. Era
rivolto agli statisti, ai padroni degli eserciti, non alle anime. La “dottrina”
di Papa Francesco è più concreta, più realistica. Si esprime non soltanto in
appelli ma anche e soprattutto in colloqui: né minaccia scomuniche né offre
soltanto preci.
L’ultimo interlocutore è stato Vladimir
Putin, “pellegrino” in Vaticano e dunque in Italia in un momento di crisi
europea e internazionale che rischia di compromettere buona parte dei frutti di
quel miracolo laico che è stata la fine della Guerra Fredda. Un pericolo reale,
scarso di paroloni, ricco di concrete ferite ai protagonisti del Grande Gioco e
a tutti gli altri esseri umani. L’incontro non è stato una predica ma un
colloquio, concreto e perfino terra terra nonostante la nobiltà degli intenti.
Al ritorno “guerriero” che ci minaccia tutti mancano finora dichiarazioni e
proclami, ma esso si nutre di violenze autentiche, forse non configurabili come
battaglie e di aggressive diplomazie. Putin è venuto a parlare delle ostilità
in corso in Ucraina ma anche delle guerre commerciali ed economiche che, almeno in parte, ne
derivano. Soprattutto in Europa. Dell’Est come dell’Ovest, ma più chiaramente
della vita quotidiana dei Paesi che non vi partecipano militarmente. A
cominciare dall’Italia, che soffre dei mali che conosciamo e che si è vista
costretta, molto per dovere di lealtà ma anche per i calcoli di qualche alleato,
a subire una costosa e dolorosa frattura nei rapporti, in sé fiorenti, con la
Russia il cui sviluppo è stato uno dei pochi aspetti positivi degli ultimi
anni.
Il pontefice, evidentemente, non ha
parlato in questi termini con il visitatore ma nei suoi consigli, solo
apparentemente generici, queste preoccupazioni sono risuonate: poche ore dopo
quel curioso “vertice” capitolino, Silvio Berlusconi ha presentato formalmente
la proposta di Forza Italia per la sospensione delle sanzioni economiche contro
Mosca, raccogliendo plauso e solidarietà ai due “estremi” dello schieramento
parlamentare, dal Movimento Cinque Stella alla Lega. L’opinione pubblica
italiana, del resto, vi è contraria a netta maggioranza a una escalation,
soprattutto che comprenda misure militari come la fornitura di armi al governo
ucraino, inclusa quella tedesca. Una approvazione si delinea nei soli Stati
Uniti, accoppiata però al rifiuto di ulteriori misure di guerra economica.
L’area delle inquietudini è comunque
vasta. Per ridurla non c’è una strada sola. È concepibile invece una “formula”
complessa ed ambigua, che si esprima in un linguaggio accettabile a tutti gli
interessati. Che convinca Putin che troppo alto è il prezzo che la Russia
finirebbe col pagare se non si materializzasse quella pur parziale
“distensione” promessa nel trattato di Minsk e mai completamente attuata.
L’Occidente dovrà però estendere le proprie riflessioni verso il riconoscimento
che non tutte le radici della neo Guerra Fredda che incombe si trovano tra Kiev
e la Crimea. Ci sono dei precedenti che segnano una escalation su scala più
globale. Che si era manifestata, per esempio, già alla vigilia delle Olimpiadi
invernali di Sochi, anteriori a quella decisione “russofila” del governo
ucraino che scatenò le reazioni nelle strade e il suo abbattimento ad opera
della piazza. Poco prima, invece, un intervento militare diretto americano in
Siria era stato evitato da una soluzione diplomatica attraverso la mediazione
proprio di Putin. Le prospettive da allora sono peggiorate, ma i giochi non
sono fatti. La pace “miracolosa” che Reagan e Gorbaciov fabbricarono a chiusura
della Guerra Fredda può forse essere ancora salvata. Magari proprio
nell’ospedale da campo che ha Papa Francesco come primario.