Alberto Pasolini Zanelli
Passerà molto probabilmente alla
storia come il Ramadan di sangue, in una specie di “omaggio” surreale alla
tradizione religiosa radicata nell’Islam ma soprattutto, sempre di più, nelle
sue atrocità. Ha colpito l’opinione pubblica, soprattutto occidentale, non solo
per le sue dimensioni (e per la sua “puntualità”), ma anche e soprattutto per
la sua estensione e la sua sincronia. Si può fare un elenco, magari in ordine
alfabetico, delle città e dei Paesi colpiti entro in un raggio di poche ore di
distanza in quattro continenti. Ogni comunità ne ha risentito, come era
inevitabile, soprattutto in rapporto alla vicinanza geografica e culturale.
In Europa il primo allarme è
suonato quando è stata colpita la Francia: una giornata di atrocità nella zona
di Lione, colpita da particolare ferocia, culminata nella decapitazione di un
americano, nel più puro stile del Califfato. In Italia, soprattutto
meridionale, l’attenzione si è concentrata una volta di più sulla Tunisia, la
nostra “porta di casa”, anche per le dimensioni numeriche dell’eccidio e in
connessione con la strategia dei “qaedisti” e dell’Isis, che a Tunisi e
dintorni concentrano una parte importante dei loro effettivi militari,
esportandoli sul fronte centrale della loro guerra che è l’area che comprende
l’Irak e la Siria. In Tunisia, in più, c’è un bersaglio particolarmente
“molle”, indifeso: il turismo. Lo si vuole distruggere perché si sa che è una
delle principali fonti di reddito di un Paese povero le cui condizioni non sono
affatto migliorate in seguito alla “primavera araba” che proprio in Tunisia
annunciò la propria nascita. Particolarmente adatta a questi fini terroristici
è la strategia: quei gommoni che invece di salpare verso il mare, verso l’Europa
sbarcano in Africa e scendono a raffiche di mitra. Si è sparato e ucciso, negli
ultimi tempi, anche nella remota Somalia, soprattutto come “testa di ponte” per
l’invasione del Kenya, inaugurata in eccidi nelle scuole di Nairobi; così come il
Kuwait è stato ora utilizzato, per la prima volta, come allargamento del
“fronte” iracheno.
Con tutto questo, però, il teatro
principale di operazioni di questa offensiva e questa guerra è, rimane, si
conferma quello siriano. A cominciare dal numero dei morti della giornata di
sangue: almeno 150, tutti civili, falciati dalle armi del Califfato in una
“missione” teoricamente suicida ma che ha visto cadere soprattutto degli
innocenti, donne e bambini, sciiti e sunniti dissidenti; ma anche perché in
Siria l’Isis ha insediato la sua capitale, in Siria si è impegnato a fondo,
anche nella sua campagna di distruzione, come a Palmira, dell’arte ma
soprattutto della storia, quasi in un ritorno alle radici più oscure delle
terre che per prime hanno visto nascere le città e la cultura stessa del mondo.
L’assalto colpisce in queste ore due città che messe insieme fanno un “fronte”,
causando migliaia di morti e mettendo in fuga almeno sessantamila persone nella
Siria centromeridionale, non lontano dalla città curda di Kobani, teatro del
finora più sanguinoso massacro di civili. Non molti, finora, hanno ricordato la
centralità di questo conflitto e la peculiarità degli schieramenti. Terra di
elezione del Califfato, la Siria vive da quattro anni una guerra civile
sanguinosa fra i cui possibili esiti non c’è, se non nelle chiacchiere
autoipnotiche di certi politici, intellettuali e purtroppo anche statisti
dell’Occidente, l’instaurazione di una democrazia. Se qualcuno riuscirà ad
abbattere un giorno il regime autoritario, dittatoriale e “laico” della
famiglia Assad, saranno quelli dell’Isis, che alla dittatura hanno già
dimostrato di saper far seguire soltanto un bagno di sangue. Eppure l’Occidente
esita ancora ad ostacolare questo disegno, probabilmente onde richiamarsi all’utopia
già da anni sconfessata di una “rivoluzione democratica” di cui non si vede
traccia. Succederà un regime al cui confronto quello di Assad ha almeno qualche
ombra di “liberalità” e tolleranza. L’Europa e l’America, invece di fare
qualcosa per scongiurare questa eventualità, si astengono o, peggio ancora,
armano formazioni politico-militari che non hanno possibilità di vincere ma
possono indebolire il regime e la forza militare di Damasco, aiutando così
indirettamente il Peggio che viene e verrà.
Pasolini.zanelli@gmail.com
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Caro Oscar,
la democrazia non è appannaggio del mondo arabo, proprio non la capiscono, i loro principi di vita si rifanno a scritture arcaiche le cui interpretazioni wahabite bloccano ogni possibile evoluzione che noi potremmo ritenere di civiltà. E su questo mettici le strumentazione politiche di paesi che cercano un ritorno all'antica grandezza (Turchia) e i timori di paesi che Stati non sono mai stati (l'Arabia dei wahabiti Al Saud). Credo che con questa situazione dovremo conviverci per molti anni ancora e ringraziare il tuo nuovo Stato di adozione per l'intotale capacità di avere una visione geopolitica e muoversi di conseguenza a meno che non vedano colpiti loro interessi.
Ennio Vitali
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Caro Oscar,
la democrazia non è appannaggio del mondo arabo, proprio non la capiscono, i loro principi di vita si rifanno a scritture arcaiche le cui interpretazioni wahabite bloccano ogni possibile evoluzione che noi potremmo ritenere di civiltà. E su questo mettici le strumentazione politiche di paesi che cercano un ritorno all'antica grandezza (Turchia) e i timori di paesi che Stati non sono mai stati (l'Arabia dei wahabiti Al Saud). Credo che con questa situazione dovremo conviverci per molti anni ancora e ringraziare il tuo nuovo Stato di adozione per l'intotale capacità di avere una visione geopolitica e muoversi di conseguenza a meno che non vedano colpiti loro interessi.
Ennio Vitali
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Mario Bartocci Caro Oscar, temo di essere d'accordo con il tuo amico Vitali..