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La politica estera di Obama

Giancarlo Elia Valori, non e' un tipo 'comodo'. Abituato a parlare fuori dei denti, i suoi interventi hanno spesso suscitato polemiche anche se i suoi oppositori gli riconoscono grande esperienza e conoscenza soprattutto dei problemi del Medio Oriente.

Ospitiamo volentieri questa intervista che costituisce un interessante canovaccio per chi dovra' suggerire al Presidente eletto Barack Obama soluzioni adeguate per risolvere la crisi in Iraq, Afghanistan e Medio Oriente.
E, piaccia oppure no, il parere di Giancarlo Elia Valori, viene seguito con attenzione a Washington.
Suggeriamo al Lettore di andare su Internet per leggere il 'bio' di Valori.

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Intervista sulla politica estera USA

Mentre Barack Obama ascende alla Presidenza USA, gli Stati Uniti teorizzano, per mezzo dei loro più influenti think tanks, la “età della non polarità”, il momento del sostanziale abbandono da parte degli Stati Uniti del loro ruolo di superpotenza globale. Come vede questa situazione iniziale?

Barack Obama e il suo, vice-presidente Joe Biden, che suppongo svolgerà un forte ruolo nella futura amministrazione USA, vogliono con ogni evidenza liberarsi dell’Iraq, che continua a consumare l’attenzione americana in Medio Oriente e nel Golfo Persico, favorendo la stabilizzazione del governo di Al Maliki e l’autonomia energetica di Baghdad. Immagino che Obama abbia netta la percezione della presenza dell’Iran nel quadrante iracheno, e il rilievo cruciale che ha la congiunzione territoriale e strategica che l’Iraq ha con l’Afghanistan e quindi con l’Asia Centrale. La Federazione Russa ha securizzato le sue linee sostenendo il riarmo nucleare iraniano, mentre alcune forze interne al regime di Teheran potrebbero accettare un accordo con gli USA che stabilizzasse l’Iran come potenza nucleare in cambio di una presenza di Teheran come risolutore delle tensioni afgane e come elemento di stabilizzazione del regime di Kabul. Un progetto peraltro già attivato nel quadro della Shangai Cooperation Organization. Barack Obama, Joe Biden e Ms. Clinton potrebbero riattivare il progetto GUAM (Georgia Ucraina Azerbaigian e Moldavia) per integrare gli interessi iraniani nel sistema centrale asiatico. Il Pakistan, con la tensione agli estremi ai confini con l’India contigui all’Afghanistan, non potrà estendere al massimo il suo “braccio” strategico verso il territorio afgano, e questo permetterà il massimo di estensione del sistema iraniano-saudita-americano verso Kabul. Per l’Unione Europea, Obama vuole soprattutto un forte legame NATO con gli Europei per risolvere, il prima possibile, il dramma afgano. Il contemporaneo sostegno all’ulteriore allargamento dell’UE avrà effetti negativi sui maggiori partners europei degli USA, mentre l’interesse primario USA per l’entrata della Turchia nell’UE potrà causare tensioni con la Francia e con la Chiesa Cattolica. Obama cercherà in ogni caso una mediazione “forte” dell’UE per gestire la questione iraniana, ma questo implica che gli Stati UE abbiano le stesse idee su Teheran, il che, talvolta, non ci pare accadere. Gli altri aspetti del programma europeo di Barack e di Joe Biden riguardano il disarmo nei Paesi dell’ex-Patto di Varsavia e la collaborazione per le global issues che stanno tanto a cuore ai think tanks USA: il riscaldamento globale, l’ecologia, la prevenzione dei conflitti. Non che queste cose non siano fondamentali, certo, ma c’è il pericolo della eterogenesi dei fini di cui parlava Giovanni Gentile, che abbiamo visto purtroppo all’opera in fasi passate della politica statunitense.

Lei non ha fatto cenno, se non per la querelle irachena, al Medio Oriente. Come cambierà la politica USA verso quel quadrante con la Presidenza Obama?

I documenti dell’allora candidato Obama sul Medio Oriente sono scarsi ma significativi: Obama sosterrà la politica di pace di Israele nei confronti dell’ANP e della soluzione due popoli-due stati, che era stata la chiave, non dimentichiamolo, della Presidenza di George W. Bush. Immagino che Obama, da Presidente USA, intenda stabilizzare il Medio Oriente rendendo democratico e federalista l’Iraq, ponendosi come potenza occidentale egemone negli Stati del Golfo, e portando la linea di intervento diretto degli USA verso il Golfo Persico e l’Asia Centrale, il che implica una regionalizzazione del Medio Oriente e una sua gestione fortemente multilaterale con l’EU e, in futuro, perfino con la Russia. Non sarebbe una cattiva idea, ma gli USA, a mio avviso, non dovrebbero sottovalutare le tensioni dell’Egitto e della Giordania. Né la vastità degli interessi sauditi nella regione. Il sostegno ad Israele non mancherà di certo da parte del Presidente Barack Obama, ma sempre in un quadro di politica multilaterale con l’UE. A questo, probabilmente, serve la sottolineatura che il ticket Obama-Biden ha fatto della situazione a Cipro e in Turchia. Direi che, oggi, Obama pensa ad una sorta di controllo remoto del Medio Oriente. Ma questo progetto non può non riaffermare lo storico legame tra gli USA e lo Stato Ebraico. Che e' essenziale per essere credibili con Teheran.

La Cina. Il “convitato di pietra” della politica estera e economica degli USA. Come si muoverà Barack Obama con Pechino?

Le dichiarazioni del team presidenziale sono state, diversamente da quello che è accaduto per i quadranti strategici africano e perfino mediorientale, molteplici e approfondite, per quanto riguarda la Cina. Questa sarà una presidenza delle strategie indirette, non della “globalizzazione della democrazia”, come quella di G.W. Bush. Anche la democrazia universale era, peraltro, una “strategia indiretta”, per stabilizzare i punti di crisi. Ma il terrorismo non è un’entità autonoma, è un processo politico complesso che ha strutture, organizzazioni, reti e media che vanno ben oltre il semplice atto di terrore, il jihad è un progetto politico globale che ha anch’esso un vasto arsenale di “strategie indirette”. C’è poi il problema che i terroristi e i loro amici, quando ci sono le elezioni, votano anche loro, ed i risultati di questa fretta elettorale si sono visti in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. Il Presidente Obama, se posso formulare un modesto consiglio, dovrebbe aggiungere alla democratizzazione globale una serie di altre operazioni, sia militari che indirette, volte ad evitare che il processo di globalizzazione della democrazia occidentale si ritorca contro lo stesso occidente e destabilizzi ulteriormente strutture politiche che, invece, dovrebbero essere, machiavellicamente, “atterrate e vinte”. Joe Biden e Obama hanno sostenuto la necessità, in campagna elettorale, di un “candido dialogo” con la Cina, sostenendo gli alleati storici degli USA nella regione. Il problema è che la Cina possiede direttamente il 20,45% dei titoli di debito pubblico degli USA, e che ogni espansione prevista della spesa pubblica USA dovrà passare dal sistema finanziario cinese e dai suoi “fondi sovrani”, e quindi il salvataggio e la ristrutturazione della economia statunitense passano da un rafforzamento dei tratti bilaterali del sistema USA-Cina. Tanto maggiore il sostegno finanziario di Pechino, tanto minore l’autonomia USA in Asia, tanto maggiore la capacità degli USA di ridenominare i propri debiti e venderli alla UE, tanto maggiore sarà l’autonomia USA in campo globale, soprattutto in Asia e nel Pacifico, ma anche in Africa e, in futuro, in Medio Oriente. La capacità di cooptare la Cina in una politica di protezione ambientale globale, data la situazione infelice del regime di Pechino in campo ecologico, sarà determinante, e Obama lo ha scritto e detto. Ma, anche qui, tanto maggiore la disponibilità cinese a inserire “limiti allo sviluppo” nel suo turbocapitalismo trainato dall’export, tanto maggiori e lunghe nel tempo saranno le certezze che i dirigenti di Pechino desidereranno avere sui comportamenti economici, finanziari, strategici degli USA e dei suoi alleati europei. Gli altri aspetti della politica obamiana verso la Cina saranno quelli dei diritti umani e della cessazione delle politiche repressive di Pechino verso le sue minoranze e della amicizia cinese mostrata ai regimi corrotti e repressivi del Sud est asiatico e dell’area periferica della Cina. Non è impossibile che questo talvolta riesca, ma Pechino ha bisogno di un suo estero vicino amico e che permetta la sua rapida proiezione di potenza in tutto lo hearthland asiatico. Quindi, o si procede a una politica di inglobamento della Cina in alleanze regionali, come la Shangai Cooperation Organization, che diluiscano l’”egemonismo” occidentale in un quadro di stabilità multipolare, oppure la Cina continuerà a tradurre nella lingua di Mao Zedong e di Zhou Enlai la ferocia unificatrice di Qin Shi Huang, il primo imperatore han che chiuse la fase degli “Stati Combattenti” e abolì il feudalesimo nella Cina. Mao diceva che occorreva essere “mille volte più feroci di Qin Shi Huang”. Dubito che il Presidente Obama riuscirà a convincere Pechino, governata da comunisti, e quindi da lettori di Hobbes e Machiavelli, ad una politica dei “diritti umani” senza solide contropartite. La questione della politica di “una sola Cina”, che gli USA hanno tacitamente accettato “sui due bordi dello stretto di Taiwan”, senza riconoscere la sovranità della Cina comunista sulla Repubblica di Taiwan, senza peraltro riconoscere la sovranità di Taiwan sul suo territorio, potrebbe diventare il grimaldello attraverso il quale bloccare gli USA in Estremo Oriente. La questione, per Pechino, è solo di tempo e di forma, non di sostanza. Prima o poi, Taiwan sarà parte della Repubblica Popolare Cinese, e si tratta casomai di vedere come questa operazione sarà accettata dalla Federazione Russa, dall’India e, soprattutto, dal Giappone. Potrebbe essere parte di un big deal: noi cinesi diventiamo finanziatori della ripresa americana, voi ci lasciate mano libera nel Pacifico. E’ una delle vere poste in gioco, e sarà bene vedere se l’Europa, che ha subito finora i contraccolpi della crisi finanziaria USA, potrà porsi in collaborazione amichevole con gli USA per finanziare la ripresa economica americana, che sarà tanto più solida e sana tanto meno sarà legata ad un solo mercato di beni e di capitali che sarà capace di riattivare la locomotiva americana. Non lasciare soli gli USA, non lasciare sola la Cina. Potrebbe essere uno slogan utile sia per l’Italia che per l’UE.

E ora parliamo della Federazione Russa. Dopo la crisi in Georgia, le tensioni sulla complessa situazione mediorientale, lo shopping petrolifero e gaziero degli europei in Russia e in Asia Centrale, Mosca non è più la “potenza regionale” alla quale si potevano fare tutti i dispetti strategici possibili. Come vede la nuova politica di Barack Obama nei confronti di Mosca?

Gli analisti russi vedono la crisi USA come l’inizio della regionalizzazione della superpotenza americana. E’ la stessa prospettiva di lungo periodo che hanno gli analisti cinesi, probabilmente indiani, certamente iraniani. Gran parte della mediazione sui “punti caldi” delle questioni strategiche che riguardano gli USA verte sull’esatto timing in cui costringere una America indebolita a cedere su punti essenziali, sui quali si costruiranno le egemonie globali future. Ora, gli analisti russi hanno accolto con favore la elezione di Barack Obama in quanto egli collaborerà con la Federazione Russa per risolvere la crisi economica che attanaglia entrambi i Paesi, e soprattutto farà cessare la “guerra fredda”. Per i dirigenti russi, i tentativi di isolare Mosca in Kossovo, in Georgia e in Ucraina, e di ripetere la dislocazione dei missili strategici di nuova generazione e le reti di early warning in Polonia e Cechia sono state la dimostrazione definitiva che la guerra fredda non è mai cessata. Gli amici russi non hanno torto: la Russia e gli USA mantengono Triadi (missili nucleari strategici, sottomarini con armi atomiche, bombardieri strategici) per un totale di 2000 testate in stato di alta allerta, mentre la Cina l’India e il Pakistan stanno creando Triadi nucleari, mentre l’UE e la NATO hanno depotenziato il loro sistema nucleare strategico e espanso l’area della armi nucleari non strategiche, sia in Europa che altrove. Quindi, la Russia non più comunista di oggi vuole esattamente quello che voleva l’URSS all’epoca della guerra fredda: la denuclearizzazione dell’Europa. Il che è impossibile, certamente, e Mosca lo sa bene, ma l’idea dei decisori russi è quella di coinvolgere gli USA e la UE, e quindi la NATO, in un sistema multipolare di sicurezza che sia delineato sull’asse Nord-Sud, non sull’asse Est-Ovest. Mosca potrebbe offrire in cambio una pacificazione forte del Medio Oriente, l’apertura agli occidentali dell’area siberiana, la stabilizzazione del confronto con le piccole potenze regionali emergenti, una mano forte contro il jihad globale. Uno scambio ineguale, certamente, ma che potrebbe tornare ragionevole se gli USA intendessero davvero operare una recovery rapida e stabile della loro economia troppo finanziarizzata. Una “Alleanza Per la Pace” con la Russia potrebbe essere utile per l’UE e gli USA sul piano economico, definire finalmente lo scontro con il jihad, regionalizzare le economie concorrenti ed emergenti del Sud Est asiatico e dell’area indiana, stabilizzare l’Afghanistan. Si tratta di capire quanta è la buona fede di Mosca, la capacità di gestione autonoma delle crisi UE e USA, e definire i sistemi di riequilibrio economico tra USA,, Cina e Russia, troppo squilibrati a favore del debito pubblico statunitense, ed infine definire una politica monetaria che ricostruisca un “paniere” di monete” e il loro range di oscillazione, proibendo così molti attacchi di guerra economica infra ed extra occidentali e evitando le punte più severe dei cicli economici. Non si tratta di eliminare il Dollaro USA come lender of first and last resort, ma si potrebbe immaginare una nuova macchina monetaria simile a quella impostata con il Progetto Euro, in cui una divisa prima fittizia e poi reale prende progressivamente il posto delle monete emesse nei paesi della “Alleanza per la Pace”, che servirebbero, con oscillazioni simili a quelle del vecchio “serpente monetario” europeo, per le transazioni interne. Un progetto futuribile, ma tutto è ugualmente futuro, prima di esser realizzato. E’ una “identità degli indiscernibili”, come la chiamava Leibniz. E' uguale tutto quello che non si può differenziare. Se Obama farà passi seri verso la smilitarizzazione bilaterale del confine terrestre europeo, e accetterà status differenziati per l’entrata in futuro di Ucraina e, passata la buriana dell’estate scorsa, della Georgia, nella NATO, la Federazione Russa potrebbe ricominciare a pensare strategicamente ad un rapporto collaborativi sia con la NATO che con gli USA. E, si ricordino sempre i Paesi europei che fanno affari grossi con la Federazione Russa nel settore energetico, che senza un braccio armato, non minaccioso certo ma credibile tous azimuts, gli affari durano poco. E’ la storia, per ripetere una citazione machiavelliana, dei “profeti disarmati che sempre ruinano”, e non vincono mai.

Israele e il Medio Oriente. Ne abbiamo già parlato in questa sede, ma vorrei chiederLe qualche chiarimento in più: come vede il futuro dello Stato Ebraico, durante la Presidenza Obama e magari oltre?

Israele verrà vestito nell’abito stretto della vecchia politica “due popoli-due stati”, che è peraltro anche statisticamente inesatta. E ricorda troppo da vicino la regionalizzazione su basi etniche che tanti danni ha fatto nei Balcani dai primi anni ’90 in poi. Una balcanizzazione del Medio oriente è lo scenario peggiore, immagino, per Tel Aviv. E certo l’”Hanastan” nella Striscia di Gaza, l’afflusso di mujaheddin nell’area confinaria ad Israele soprattutto dalla Giordana e dall’Irak, la prossima penetrazione violenta, se non vi saranno contrasti seri, della Cisgiordania dell’ANP da parte di Hamas e dei movimenti collegati, è uno scenario globalmente poco incoraggiante, per usare un eufemismo. La Presidenza Obama potrebbe essere utilissima per Israele se riuscisse a securizzare il “secondo cerchio” dei confini arabi e islamici di Tel Aviv, stabilizzando l’Iraq, sostenendo la politica di Abdallah di Giordania contro il suo jihad che si unisce a quello di passaggio, tenendo ferma la Siria e integrando il potere e la credibilità russa nel mondo arabo per favorire una decelerazione della ascesa agli estremi della guerra, che oggi sarebbe, per Israele, tra sé e le sedi regionali del jihad globale. Si potrebbe immaginare una pressione sull’Iran per disattivare il suo sostegno ad Hezbollah in cambio di una trattativa seria sul nucleare di Teheran, da rivedere comunque in chiave civile e gestendo la questione in rapporto con Russia e Cina. Israele potrebbe, come già ha iniziato a fare , attivare una intesa strategica con Mosca, e lavorare con l’India ad un triangolo strategico Turchia-Israele-India che copra e metta in sicurezza l’area del Golfo Persico e la Penisola Arabica. Una maggiore affidabilità ideologica e strategica dell’UE potrebbe far pensare addirittura ad un ampliamento del legame bilaterale attuale tra NATO e Israele, e ad una garanzia NATO sulla sicurezza marittima e a lungo raggio di Egitto e Libano che cadrebbe immediatamente se cadessero anche le condizioni contrattate della sicurezza a medio raggio di Tel Aviv. Lo Stato Ebraico sopravviverà, certamente, ma sarà sempre più capace di internazionalizzarsi fuori dallo schema regionale mediorientale, in cui Tel Aviv potrebbe divenire il pivot della integrazione e dello sviluppo economico per tutti in cambio di serie e verificabili condizioni di pace. La Pace non sarà mai perpetua, come sognava Immanuel Kant, ma si può fare molto di più di quanto oggi si immagina per pacificare e stabilizzare il Pianeta. E la Presidenza Obama, con la sua attenzione alle global issues del clima, dell’ecologia, dello sviluppo dell’Africa e dei diritti umani, certamente sarà un centro di irradiazione del nuovo equilibrio mondiale a cui tutti, in Europa e in Medio Oriente, tendiamo, magari anche senza saperlo.

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