Ospitiamo ancora uno scritto di Giancarlo Elia Valori nella sua veste di esperto della politica del Medio Oriente, cattedratico della Universita' ebraica di Gerusalemme, e professore della Yeshiva University of New York.
Letter from Washington e' disponibile a ricevere e pubblicare opinioni di parte contraria purche' siano espresse in forma democratica e contribuiscano ad un approfondimento conoscitivo di un problema, quello della convivenza dello Stato di Israele in un contesto dilaniato da lotte e fermenti secolari che riguarda non solo i diretti interessati ma tutta la collettivita' occidentale, a cominciare dagli Stati Uniti.
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Operation Cast Lead
Valutazioni strategiche e geopolitiche
Gennaio 2009
L’Operazione Piombo Fuso dell’IDF israeliana rappresenta notevoli elementi di novità nella strategia globale dello Stato Ebraico dalla parziale cessazione della Seconda Intifadah ad oggi[1]. “Piombo Fuso” rappresenta infatti:
a) la prima operazione in profondità israeliana di controguerriglia e antiterrorismo che è stata pensata fuori da un contesto di correlazione strategica con gli USA[2], durante il vuoto di potere tra la Presidenza Bush, legata sostanzialmente alla logica del Quartetto dal 2004-2005 (con il primo special envoy Wolfenshon, americano) e quindi alla teoria “due popoli-due stati”, e la Presidenza di Barack Obama, che ha come asse portante, per quanto se ne sa, il disengagement rapido dall’Iraq (e quindi la diminuzione sostanzialedella pressione antijihadista in Medio Oriente) e una trattativa sul nucleare iraniano con le autorità di Teheran[3].
b) Correttamente, gli analisti di Tel Aviv vedono in questo nuovo sistema strategico degli USA il tentativo di una regionalizzazione degli interessi israeliani, in mancanza inoltre di una trattativa tattica e locale con gli Stati Arabi “moderati” e in correlazione ulteriore alla geopolitica di Teheran: una strategia globale iraniana che vede una sommatoria fissa tra due operazioni. L’aumento della pressione interna all’Iran per costruire il nucleare militare, e la gestione tramite proxies jihadisti e terroristici (non necessariamente islamici, come scopriremo tra poco)[4]. Se Teheran abbassa la guardia o rallenta la costruzione del suo arsenale nucleare, allora il regime iraniano gestisce un aumento della pressione jihadista ai confini di Israele, se invece la corsa al nucleare iraniano accelera, allora il gruppo di potere iraniano rallenta la pressione su Hezbollah e HAMAS e il Jihad Islamico.
c) Tel Aviv ha ragionevolmente ipotizzato di dover fare da sola. L’Unione Europea è un cartello economico unito da una moneta unica che è servita solo a rallentare la ricostruzione economica tedesca, asse di una futura dissociazione strategica tra la Francia e la Germania, con l’Italia che seguirà a Nord la Germania e al Centro-Sud gli interessi francesi, che si proietteranno nel mondo arabo e da lì verso l’Asia Centrale e il Mar Cinese meridionale[5]. Inoltre, La grande massa di immigrati in Francia e in Italia, indipendentemente dalla loro rappresentanza politica, non permette più una politica nettamente filoisraeliana da parte di nessun Paese europeo. L’Eurabia ipotizzata da Oriana Fallaci si è già realizzata, e con essa un riallineamento[6] delle forze politiche nazionali verso un modello che presuppone o 1) il disengagement dal quadrante mediorientale, o 2) una integrazione politica, finanziaria e strategica tra i maggiori players regionali islamici ed i maggiori paesi europei.
d) L’isolamento parziale dell’Egitto e della Giordania dalla attuale tensione nella Striscia di Gaza ha molteplici significati: 1) l’Egitto di Hosni Mubarak, erede diretto di Anwar El Sadat, ha esperienza di quanto sia dura la reazione dei Fratelli Musulmani, che infatti uccisero Sadat e che hanno gestito, nelle more del passaggio di Ayman al Zawahiri al jihad globale di Al Qaeda, una serie di attentati contro siti turistici e forze di polizia egiziane nel 2002-2005. Ma la correlazione tra il regime nasseriano e i Fratelli Musulmani è complessa: Nasser sale al potere nel 1952 con il sostegno della rete “coperta” dell’Ikhwan, la Fratellanza, ed in seguito essa opera sia per stringere l’OLP dentro gli interessi strategici egiziani nel Medio Oriente, dal primo presidente Shuqeiri ad Arafat, sia per egemonizzare l’islamismo politico sia in Medio Oriente che, soprattutto, in Europa e negli USA. L’Ikhwan viene messa fuorilegge da Nasser perche il raìs del Cairo non vuole “pagare la cambiale” ai “Fratelli Musulmani”, che sospetta, spesso a ragione, elementi usati nella destabilizzazione reciproca tra i Paesi Arabi mediorientali. I Fratelli Musulmani, il vero “Komintern” del jihad, si occupano di da’wa, “propaganda-conversione”[7], e forniscono una sorta di camera di compensazione per tutti i gruppi del jihad della spada. La polemica contro Nasser da parte dell’Ikhwan era correlata al suo laicismo e al progetto di Unione con la Siria nell’UAR, non ad altro. In altri termini, Hosni Mubaark non vuole destabilizzare il suo paese nelle more del passaggio dei pieni poteri a suo figlio Gamal, sostenuto e coperto dal vecchio apparato di potere degli “Ufficiali Liberi” e dai countervailing powers di una Assemblea nazionale dove i Fratelli Musulmani sono 76 e controllano il 20-25% dei voti parlamentari, stando alle ultime notizie del Cairo[8]. In sostanza: Mubarak ha paura di fare la fine di Sadat prima di aver completato il passaggio delle consegne al figlio Gamal. Naturalmente, siccome repetita iuvant, molti analisti, soprattutto USA, ritengono che lo stato silente dei Fratelli Musulmani in Egitto e altrove sia la spia di una loro definitiva “democratizzazione”. Falso: La da’wa prepara il jihad, e se la pressione elettorale e politica dell’Ikhwan dovesse diminuire, della stessa misura aumenterà la pressione terroristica o comunque illegale. Per la Giordania, 2) la questione è sostanzialmente diversa: il Regno hashemita ha offerto asilo alla Fratellanza espulsa dal Cairo, con la successiva fondazione di Hizb ut Tahrir alla fine degli anni ’40 e la correlazione tra Nabanani, il fondatore dell’Hizb ut tahrir al islami e il governo siriano. La fine della “Fratellanza” come opposizione leale del Re e l’inizio del grande gioco dell’Islamismo radicale come pedina plurale del sistema tra paesi islamici in lotta tra loro, Unione Sovietica, nazionalismo arabo e palestinese. L’Ikhwan giordana ha partecipato attivamente alla elaborazione dello statuto di HAMAS del 1988. E l’elezione di Hamam Sa’id alla direzione della “Fratellanza” giordana[9], nel giugno 2008, fa pensare che il regno hashemita da un lato non possa fare a meno dell’Ikhwan come gestore del suo debole “welfare state”, dall’altro non voglia interrompere i contatti con il radicalismo islamico che tanta parte ha avuto nella lealtà ad Hassan II e nella gestione degli interessi interarabi di Amman. Il che implica che il riassorbimento della Cisgiordania, pure sostenuto da alcuni politici israeliani, non potrà durare a lungo in un contesto di pace stabile con Tel Aviv.
e) La pubblica opinione egiziana, riguardo alle attuali operazioni nella Striscia di Gaza, è naturalmente tesa, mentre il regime di Mubarak viene ritenuto responsabile della persistente chiusura del varco di Rafah che il Cairo ritiene debba essere aperto, sulla base degli accordi del 2005[10], con la supervisione delle forze UE, israeliane e della ANP. In Giordania elementi della “Fratellanza” organizzano similari manifestazioni contro il governo locale e gli stati arabi “filosionisti”. Quanto c’è di vero nella rivolta popolare contro il silenzio dei regimi arabi “moderati”? Nella tradizione degli opinion polls dei paesi islamici, ad un tradizionale odio antisraeliano fa da contraltare la diffusa percezione che Israele sia “here to stay”, e che il terrorismo islamico sia un elemento negativo e pericoloso per la stessa religione e per la nazione egiziana[11].
Da http://www.brrokings.edu/
f) In sostanza, il pubblico arabo non palestinese legge Al qaeda come una sorta di defensor fidei globale[12], ma non ritiene la proposta del “Califfato globale” né realistica né accettabile, salvo il suo ruolo di nemico pubblico n. 1 degli USA, che evidentemente la pubblica opinione araba ritiene sia stato tenuto at bay dalla minaccia qaedista, che in effetti ha regionalizzato e per così dire “liberato” dal confronto bilaterale tra i blocchi post-1989 il Medio Oriente, creando spazi politici e militari per organizzazioni jihadiste e non attive nel quadrante regionale; mentre si è liberato, proprio nel contesto della nuova regionalizzazione del Medio Oriente, un riflesso verso Israele per quel che riguarda la proposta del ritorno ai confini pre-1967, idea inaccettabile per Tel Aviv ma che, essendo una linea in espansione nel pubblico arabo globale, potrebbe essere elaborata da operazioni mirate di psyops, rimarca una valutazione negativa verso il governo di Gaza da parte di HAMAS[13], senza stimare per nulla il regime di Mahmoud Abbas in Cisgiordania, riflette in complesso filoeuropeo del mondo arabo, con una alta valutazione di Francia e Germania, mentre gli USA sono privi di appeal anche, presumiamo dalla percentuale delle preferenze rispetto alla quota di “upper middle class” araba, per le classi dirigenti, e infine cresce la “paura di Israele”, stranamente accoppiata ad una alta valutazione della disponibilità, sia pure ipotetica, di una stabilizzazione dei rapporti ebraico-arabi sulla base della statuizione dei confini pre-1967, come abbiamo visto. Uno strabismo ideologico che riflette, da un lato, la propaganda jihadista e radicale che molti mass-media svolgono nell’area, e dall’altro un rispetto militare per Israele che sarebbe pericoloso perdere per la retorica del pacifismo a tutti i costi. Gli arabi apprezzano chi sa combattere e vince, non chi si nega al confronto militare e politico. Questo spiega anche il mito di Hassan Nasrallah, che è il riflesso del prestigio conquistato da Hezbollah durante la campagna dell’estate 2006 nel Libano meridionale, e probabilmente poco ha a che fare con l’ideologia sciita e filoiraniana del gruppo dirigente del “partito di Dio” libanese. Altrimenti, non si spiegherebbe lo scarso appeal di Ahmadinedjad che, con ogni probabilità, appare al pubblico arabo del Medio Oriente come un “nazionalista iraniano” e non come un leader globale del nuovo “Fronte del Rifiuto” contro Israele. E’ da notare che la minaccia iraniana, sia pure con percentuali ridotte rispetto al record di Israele, è percepita dal pubblico arabo come reale: la guerra nucleare per favorire la strategia di Teheran nel Golfo Persico e il nuovo ruolo del regime sciita nel contesto OPEC, contro l’Arabia Saudita e i suoi Stati alleati, è letta come un pericolo, sia pure marginale. Un elemento da elaborare meglio in termini di propaganda.
g) La provincializzazione delle comunicazioni televisive è un problema serio. Nel mondo arabo, dove l’immagine conta ancora di più che nella “società dello spettacolo” europea e nordamericana, il monopolio di fatto della comunicazione televisiva e, soprattutto, dei messaggi impliciti, liminali, simbolici e non-verbali, il monopolio di Al Jazeera risulta una questione seria. Si può immaginare una front-television che unisca notiziari non filojihadisti o comunque antisraeliani con una programmazione di entertainment di buona qualità e ampiamente diffusa. Dato che Al jazeera viene ritenuta fonte affidabile dal 59% del pubblico egiziano, per dare un solo dato nel mondo arabo[14].
h) Israele, secondo gli ultimi sondaggi internazionali, non ha buoni risultati nel pubblico americano (il 59% in USA ritiene che Israele “is not doing well”) mentre i palestinesi, sempre secondo il pubblico USA, non fanno “molto per la pace” per il 75%. Francia e Gran Bretagna “non si muovono per la pace” secondo il 48% e il 45% rispettivamente secondo il pubblico palestinese. Le variabili su queste domande verificate nel contesto dei paesi Arabi non sono particolarmente significative sul piano politico. Quindi: 1) evitare la gestione dello spazio simbolico e affettivo (che è il cardine della comunicazione politica in Occidente, oggi) ad HAMAS e alle sue foto con i bambini feriti o gli ostaggi costretti a “fare scena” sulle prime pagine dei quotidiani e dei servizi TV[15], dato che HAMAS, come spesso accade alle strutture politiche jihadiste, ha una capacità di utilizzare i criteri della comunicazione immediata, empatica, primitiva (Il “tamburo” di McLuhan[16]) che Israele non possiede ancora, troppo legata al discorso politico, al ragionamento, alla logica. Una nuova psyops israeliana che colpisca il simbolo, la sfera pre-corticale del pubblico televisivo, una operazione similare anche nel mondo arabo sonop oggi del tutto necessarie. Israele è un paese razionalista e legato al lògos, il mondo postmoderno non sa più che farsene della razionalizzazione astratta dei contenuti informativi. La “scissione” dei contenuti favorevoli, anche se minimi, ad Israele da quelli legati alla minaccia ebraica o la gestione dell’immagine nel pubblico arabo (ed europeo) dell’Iran e di HAMAS sono anch’esse, gestite tramite scissioni simboliche, testimonials negativi, iterazione delle proposizioni più minacciose, l’integrazione simbolica tra queste e le altre paure dell’immaginario collettivo arabo, sono tecniche che potrebbero risultare positive e isolare ulteriormente il jihad di HAMAS, quello sciita, quello globale di Al qaeda tra loro e creare un effetto “Orazi e Curiazi”, separare gli avversari per colpirli meglio, distruggendone l’immagine verso il loro pubblico d’elezione, e quello europeo e USA in seconda battuta.
i) Strategie per guadagnare il massimo risultato strategico da Cast Lead: 1) gestire il massimo del coinvolgimento di Egitto e, successivamente, della Giordania nell’area del Sinai settentrionale, magari stabilendo una Conferenza a Quattro con il Rappresentante dell’UE o dell’ONU; 2) convincere con la forza, se necessario, sia l’Egitto che la giordania che HAMAS è una minaccia per loro e che, data la scarsa presenza di un sostegno per HAMAS nelle due pubbliche opinioni, una operazione a tre di distruzione della struttura coperta e di gran parte di quella visibile di HAMAS è nel loro interesse, non solo di Israele, 3) Integrare la federazione Russa, che è stanca dell’inutile “Quartetto”, in una serie di operazioni di stabilizzazione militare dell’area dal Sinai settentrionale fino alla Cisgiordania, con una presenza delle forze miste a presenza russa nelle aree contestate tra Israele e ANP, immaginando una forza multilaterale con la presenza della Cina, della Federazione Russa, di alcuni paesi europei degli USA e dell’India.
[1] Sergi Catignani, Israeli counter-insurgency and the Intifadas, dilemmas of a conventional Army, London, Routledge 2008
[2] MERIP, Middle East Report Online, Cast lwead in the Foudry, 31 December 2008, http://www.merip.org/ area search
[3] Jonathan Schell, The Seventh decade, The new Shape of Nuclear ranger, New York, Holt paperbacks, 2008
[4] Meir Litvak, The role of Hamas in the Al Aqsa intifada, TAUNOTES, n. 9 january 18 2001, in http://www.tau.ac.il/ area search
[5] V.il Libro Bianco della Difesa francese, in http://www.lesrapports.ladocumentationfrançaise.fr/ area search
[6] Bat Ye’or, Eurabia, Lindau, Milano 2007
[7] Maritz Tadros, The Muslim Brotherhood and Islamist politics in the Middle east, London, Routledge, 2009 e, inoltre, v. Ziad Abu-Amr, Islamic fundamentalism in West bank and Gaza, Muslim Brotherhood and Islamic Jihad, indiana University Press 1994
[8] V. i dati su “Arab Watch for Reformation and Democracy”, in http://www.awrd.net/
[9] Saban El Said, Between Pragmatism and Ideology, The Muslim Brotherhood in Jordan 1989-1994, Washington Institute for Nera East Policy, Washington D.C., 1995
[10] V. il discorso di Hassan Nasrallah su Al MANAR TV il 28 Dicembre 2008
[11] V. Does the Palestinian-Israeli Conflict still matter? Saban Center for Near East Policy, transcript, Luly 1, 2008
[12] V. Daurius Figueira, The Al Qaeda Discourse of the Greater Kufr, iUniverse Inc, 2004
[13] Sulla efficiente psyops di HAMAS, v. Sharifa Zuhur, HAMAS and Israel, conflicting strategies of group-based politics, Strategic Studies Institute, Carlisle barracks, cecember 2008
[14] Nabil Khatib, Arab Satellite Stations their role in the Mille East Peace Process, in “The Role of the Media”, vol. 3 1998
[15] HAMAS exploitation of civilians as human shields, Intelligence and Terrorism Information Center, Herzlya January 2009
[16] Marshall McLuhan, Understanding Media, the extension of man, New York, McGraw Hill 1964
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