Passare dal balbettio confuso, imparaticcio, punteggiato da sfondoni delle rare conferenze stampa di George W. Bush (tenne la prima nell'ottobre, dieci mesi dopo la sua elezione), al linguaggio articolato, denso di concetti e di proposte di Barack Obama (la sua prima conferenza stampa il 9 febbraio dopo avere giurato il 20 gennaio) e' stata un'esperienza formidabile.
Si potra' discutere e spaccare il capello in quattro, si potra' dire (come sostengono i repubblicani) che Barack sta trasformando la piu' importante democrazia in uno stato socialista, si potra' dire che il suo piano piu' che uno 'stimulus' e' 'spending'. A questi critici ammalati di miopia partigiana, Obama ha ricordato di avere ricevuto un'eredita' pesantissima e ha risposto alle domande di 13 giornalisti parlando per un'ora. Ma quel che conta e' che questo giovane di 47 anni che si e' caricato di un peso tremendo parla alla gente, si si fa capire, penetra con le sue argomentazioni, e' vicino a chi in questo momento non sa dove sbattere la testa e spera solo che le iniziative dell'amministrazione Obama possano rimettere in moto l'economia. Ci voleva un uomo cosi' e gli Americani l'hanno scelto a gran maggioranza.
Oggi negli Stati Uniti si comincia a respirare di nuovo la voglia di scrollarsi da dosso questa catastrofe economica e la depressione che ha generato.
Seguendo i media italiani sembra invece che gli abitanti del Bel Paese vivano tutti in ottime condizioni economiche e di spirito, che la crisi sia solo una brutta esperienza vissuta dagli americani, mentre il sistema bancario italiano, ragazzi!, e' forte e sano. Sembra che ormai gli italiani si siano abituati all'idea che il loro Paese deve cambiare diventando una repubblica presidenziale guidata, e' inutile dirlo, dal Cavaliere che ha annunciato di modificare la Costituzione giudicata filosovietica. Il teatro delle maschere poteva nascere e prosperare solo in Italia.
Oscar Bartoli
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