(Questa nota e' stata scritta dal Professor Romano Prodi )
Rimettere ordine
A Palazzo Chigi
Terminata la mia attività di governo ho dedicato una notevole parte del mio tempo a “guardarmi intorno”. Il che ha significato riprendere a studiare con sistematicità la politica, l’economia e i loro cambiamenti negli ultimi dieci anni e, soprattutto, potermi dedicare con intensità ed ampiezza di orizzonti a capire che cosa sta succedendo al di fuori dei confini italiani. Il tutto naturalmente inframmezzato da un vero e proprio lavoro di “facchinaggio” per stipare in un’unica casa l’enorme quantità di libri e carte che si erano via via accumulati a Bologna, poi a Bruxelles e quindi anche a Roma. Data l’impenetrabilità dei corpi, molti libri sono dovuti forzatamente uscire di casa.Il che provoca un certo dolore, ma anche la soddisfazione di rimettere in ordine le cose, accumulate in vent’anni, secondo un nuovo criterio. Ci vorrà un tempo lunghissimo per finire questo lavoro ma questa opera di “riordino totale” è estremamente efficace per staccare rispetto al passato e riadattare la testa in vista dei cambiamenti futuri, volendo dedicare una particolare attenzione allo scenario internazionale.
L’attenzione all’estero esigeva ed esige naturalmente uno strumento di lavoro ancorché minimo ed estremamente agile. È stato a questo proposito interamente cambiato lo statuto della Fondazione “Governare per”, trasformata in “Fondazione per la collaborazione fra i popoli“. La nuova denominazione è stata scelta in modo da descrivere accuratamente i suoi obiettivi, e non esige quindi alcun commento.
Viaggiando in Europa
Il primo cerchio di questo sguardo al mondo è naturalmente dedicato ai temi europei, sia nell’analisi del presente sia nelle possibili evoluzioni future. Questo interesse si è manifestato in una serie di convegni e di incontri in diverse parti d’Europa. Tra questi appuntamenti posso ricordare il discorso all’Università di Tarragona (dove ho ricevuto il premio per il dialogo interculturale nel Mediterraneo), all’Università di Santander, alla celebrazione del decennale della Banca Centrale Europea a Francoforte, agli “Stati generali” dell’Unione Europea a Lione e come oratore alla Conferenza Winston Churchill, in ricordo del discorso pro-Europa tenuto nel 1948 da Churchill, che si svolge ogni anno presso l’Università di Zurigo.
Questi incontri sono stati l’occasione per riprendere il tema dell’Euro, dell’allargamento, del Mediterraneo e della politica del vicinato, il cosiddetto anello dei paesi amici (come ho spiegato in “Insieme” si tratta di «[Quei]…paesi che stanno attorno all’Unione Europea, quell’anello che va dalla Russia fino al Marocco [...] con cui intraprendere una relazione speciale basata su una cooperazione stretta [...] Tutti i paesi che ne fanno parte potranno avere con l’Europa rapporti sempre più stretti, fino a condividere tutto con l’Unione tranne le istituzioni».).
Dopo il tentativo, da parte di qualche osservatore, di trattare questi temi in modo affrettato e qualunquistico, si procede finalmente verso un’interpretazione più approfondita, più equilibrata e più veritiera della politica europea impostata e attuata dalla Commissione da me presieduta tra il 1999 e il 2004. In un periodo di fortissima affermazione degli egoismi nazionali, le realizzazioni compiute sono un saldo punto di riferimento per il passato ed un punto di partenza per il futuro. Si comincia anche a riflettere su quale sarebbe la situazione oggi senza l’ancoraggio all’Euro e senza l’allargamento a nuovi paesi che, fuori dall’Unione Europea, sarebbero fonte di divisione e di turbamento. Questo soprattutto dopo che il referendum irlandese ha bloccato la positiva evoluzione di un’Unione Europea che già faticava a procedere nel suo processo di consolidamento. Mi ha fatto inoltre piacere constatare personalmente in un tranquillo viaggio, i progressi di Slovacchia, Polonia e Repubblica Ceca dopo il loro ingresso nell’Unione Europea.
In Albania
In questa linea di aggiornamento sullo “stato” della politica internazionale mi è stato di estrema utilità un soggiorno in Albania occasionato dalla partecipazione come insegnante ad un corso tenuto dall’Università di Bologna presso l’Università della Nostra Signora del Buon Consiglio a Tirana. È stata una occasione per incontrare nuovamente il Presidente della Repubblica, il Primo Ministro, il Presidente del Parlamento, i sindaci di Tirana e Durazzo. Il sindaco di Girocastro, mi ha voluto concedere la cittadinanza onoraria per quanto compiuto in favore dell’Albania durante il periodo alla Presidenza del Consiglio e alla Presidenza della Commissione Europea. È stato importante verificare quanto sia ancora vivo (anche a livello popolare) il ricordo della missione Alba che ha salvato l’Albania da una vera e propria guerra civile nel momento degli scandali finanziari e delle conseguenti violenti tensioni politiche.Con tutta la difficoltà che questo processo comporta, l’Albania sta rapidamente cambiando e iniziando il proprio percorso di modernizzazione e di democratizzazione. La prospettiva è, naturalmente, l’ingresso nell’Unione Europea, un ingresso accompagnato dalle necessarie riforme nella vita politica, economica e sociale del Paese. Vi sono molti che, naturalmente, pensano che il cammino di modernizzazione sia troppo lento, ma non dobbiamo dimenticare che sono passati poco più di dieci anni dal momento in cui l’Albania era considerata un paese in sicuro disfacimento.
All’ONU
In settembre comincia in modo imprevisto una nuova attività, quella di presiedere un così detto “gruppo di alto livello” (High Level Group) nominato dal Segretario Generale delle Nazioni Unite (in accordo con l’Unione Africana) per cercare nuove regole e nuovi finanziamenti indispensabili a rendere più efficace il Peacekeeping in Africa. Il compito era quello di redigere di un rapporto, che presenterò in marzo al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, attraverso una serie di aggiornamenti e approfondimenti ma soprattutto operando con un lavoro comune che si è svolto fra la sede delle Nazioni Unite di New York e la sede dell’Unione Africana di Addis Abeba. La diversità delle due città non potrebbe essere più stridente e, nello stesso tempo più efficace nel descrivere quale debba essere lo sforzo per aiutare l’Africa ad uscire dal suo stato di “continente dimenticato”. Questo lavoro si è fatto via via più appassionante, anche se non è facile assorbire in fretta gli aspetti tecnici ed operativi del peacekeeping. Mi ha aiutato l’esperienza politica e operativa delle due missioni di peacekeeping da me direttamente organizzate in Albania e in Libano durante i due periodi della mia presidenza del Consiglio. Missioni che sono da tutti ricordate tra i casi di successo in questo campo.
A rendere ancora più importante questo compito è l’evidenza dei dati che dimostrano quale sia la differenza, in termini di sviluppo, fra paesi che vivono in pace e paesi vittime dei conflitti. La frase “non c’è sviluppo senza pace” non è una espressione retorica ma la semplice descrizione della realtà. Una parte non trascurabile di questo rapporto è dedicato alle fonti di finanziamento che possono permettere alle Nazioni Unite e all’Unione Africana di organizzare in modo efficace il peacekeeping. Problema che diventa sempre più acuto con l’aggravarsi della crisi economica. Viene tuttavia spontaneo ricordare che la sproporzione fra le spese militari e quelle dedicate al peacekeeping è tale da essere persino difficile da spiegare.Basta un dato sintetico. Il totale delle spese dell’ONU per il mantenimento della pace nel mondo è stato nel 2007 attorno ai 7 miliardi di dollari.Una cifra forse non trascurabile a livello microeconomico, ma che è minore del costo di due settimane della sola guerra in Irak. Anche per questo motivo pongo sempre il problema della partecipazione al processo di peacekeeping in Africa come prioritario in tutti gli incontri politici e i contatti da me compiuti a livello internazionale. Questi contatti non sono naturalmente limitati ai leaders europei ma riguardano una sfera più ampia che va dall’Asia, all’America e all’Africa, dove è iniziato un dialogo sistematico sia con i leaders dell’Unione Africana sia con i responsabili politici dei paesi che si trovano in situazione di maggiore difficoltà e tensione.
Dialogo (e questo deve essere sottolineato) non significa parlare solo con quelli che la pensano come te o ti sono vicini nell’azione politica. Dialogo significa interagire anche con coloro che stanno provocando problemi e tensioni, non cessando mai di mettere sul tavolo le nostre convinzioni e le nostre analisi. Continui sono perciò i colloqui (anche telefonici) con tutti i leaders africani, anche con coloro che più hanno tensioni e problemi con la comunità internazionale. La mia esperienza mi ha sempre portato a concludere che non il dialogo ma la mancanza di dialogo ha provocato le maggiori tragedie dell’umanità. Ho ricordato spesso in passato la mia sorpresa nel constatare come i protagonisti della politica medio-orientale in molti casi non si fossero mai parlati fra di loro, né nei rari momenti di distensione né nei periodi di maggiore tensione. Farsi la guerra senza essersi mai scambiati direttamente alcuna parola appartiene alle grandi tragedie dell’umanità contemporanea.
In questo quadro e in questa prospettiva si inserisce un viaggio in Iran, invitato (insieme all’ex Segretario Generale dell’ONU Kofi Annan ed altri leaders politici e religiosi) ad un incontro della Fondazione Khatami sul dialogo fra le religioni. È stata un’occasione non solo per parlare a fondo con l’ex Presidente della Repubblica Khatami più aperto verso la democrazia e l’occidente, ma per incontrare ancora una volta l’attuale Presidente Ahmadinejad, il “leader” supremo Khamenei, il sindaco di Teheran e gli altri leader iraniani. Un’occasione per ribadire le aspettative europee nei confronti dell’Iran a spingere questo Paese non solo verso un mutamento del suo ruolo nel Medio Oriente ma anche riguardo al problema nucleare, punto di tensione e di rischio per tutta la politica mondiale.
Il rapporto con l’Iran aveva raggiunto un momento molto significativo quando, durante il mio primo Governo avevo fatto (unico leader europeo) un viaggio ufficiale a Teheran. Un viaggio compiuto, dopo un lungo dialogo con il Presidente americano Clinton. Da un lato la presidenza di Khatami e dall’altra la presidenza Clinton permettevano infatti un pur ristretto spazio di colloqui, spazio che si è progressivamente chiuso in seguito. Il cambiamento della politica iraniana è la chiave di volta per la soluzione di molti problemi dell’area medio orientale ed è un mutamento difficile ma possibile anche perché la politica americana ha indebolito drammaticamente tutti i nemici dell’Iran. Se vi fosse razionalità in politica la dirigenza iraniana avrebbe tutta la convenienza a passare ad una nuova fase di dialogo con gli Stati Uniti e l’Europa. E forse dovrebbe anche erigere un monumento a Gorge W. Bush nella piazza centrale di Teheran proprio perché, con la sua politica, ha regalato all’Iran il ruolo di grande potenza regionale.
L’interesse per la Cina
In novembre ho compiuto un lungo viaggio in Cina. Per essere preciso a Pechino. Un viaggio dedicato a una serie di seminari su problemi politici ed economici di fronte all’Accademia del Partito Comunista Cinese, all’Accademia del Ministero degli Esteri, ai diplomatici in pensione ed ai giovani della scuola diplomatica. E con incontri con le massime autorità competenti sui problemi africani e, riguardo agli aspetti più tecnici della crisi, con la China Development Bank e la China Investment Bank. I seminari erano divisi equamente fra temi di politica e di economia internazionale ma, nella discussione che seguiva la mia introduzione, i temi economici hanno finito con il prevalere.Per la Cina si tratta infatti di affrontare per la prima volta dopo l’inizio del grande periodo di sviluppo, una pesante e diffusa crisi economica. Grandissima preoccupazione ma anche una precisa coscienza del nuovo ruolo che la Cina può svolgere nell’economia mondiale non solo come protagonista nella produzione ma anche come il più grande possessore di titoli del debito pubblico americano.Lunghe sono state le discussioni sul grande piano di rilancio della spesa pubblica cinese.Interessante notare che mentre i commentatori americani ed europei ne accentuano soprattutto l’aspetto degli investimenti in infrastrutture (ferrovie, telefoni e strade) l’analisi interna pone soprattutto l’accento sull’enorme aumento di spesa nel settore sanitario, scolastico, della ricerca e del sostegno del reddito delle categorie più disagiate, soprattutto nelle campagne.Se questa è la prospettiva e se i tempi di questa spesa saranno rapidi, queste decisioni provocheranno (attraverso un sensibile aumento del potere di acquisto interno) un forte e positivo processo di riequilibrio dell’economia mondiale. Dimensioni e rapidità delle spese sono naturalmente le condizioni perché si ottengano risultati in linea con le aspettative.Gli incontri sul problema africano sono stati rivolti a promuovere un forte impegno cinese per il peacekeeping in Africa.Un’Africa pacificata e con forti tassi di sviluppo è, tra l’altro, la migliore garanzia per gli enormi investimenti compiuti e in via di realizzazione da parte cinese nel continente africano. Di massima importanza è stato l’incontro privato di oltre due ore con il Primo Ministro Wen Jiabao, con il quale si è discusso con estrema franchezza e libertà sui temi più delicati sul tappeto; dalla crisi economica internazionale, ai rapporti con l’Unione Europea, al Tibet e alle prospettive della politica mondiale, soprattutto dopo il risultato delle elezioni americane.Come atto di cortesia, le immagini dell’incontro sono state inserite nel telegiornale delle 19, di fronte al quale siedono abitualmente più di 500 milioni di telespettatori.
Credo che l’attenzione da me dedicata fin dal lontano passato all’Asia (ed in particolare alla Cina) fosse davvero ben posta e che oggi ci si accorga finalmente come e dove si stanno spostando i punti di riferimento dell’economia e della politica mondiale.
Al Cairo per il Peacekeeping
Anche in questo caso con riferimento al Peacekeeping in Africa ma con allargamento ai principali temi politici (soprattutto il Medio Oriente) è stato il viaggio in Egitto, proprio nel giorno immediatamente precedente la tregua di Gaza. Sui problemi tecnici del Peacekeeping e sul ruolo dell’Egitto si è concentrato l’incontro con il Ministro della Difesa Tantawi e con il Ministro per la Cooperazione Internazionale, Signora Aboulnaga. Si è invece parlato soprattutto di politica internazionale nel lungo e amichevole incontro con il Presidente Mubarak. Indubbiamente, anche spinto da necessità di politica interna, il Presidente Mubarak è riuscito ad organizzare una tregua che, se anche non potrà dare pace duratura al Medio Oriente, ha però il grande merito di porre termine al tragico elenco di vittime dei bombardamenti di Gaza.
Infine in Messico
Diversa è stata la motivazione del viaggio in Messico, dove sono stato invitato dal Senato messicano a partecipare al dialogo fra le forze politiche e sociali per riflettere e formulare rimedi riguardo alle conseguenze della crisi economica mondiale sul Paese. Questo lungo “dialogo” è stato preceduto da un seminario a cui ho partecipato insieme all’ex Primo Ministro Spagnolo Felipe Gonzales e agli ex Presidenti della Repubblica del Cile Lagos e dell’Uruguay Sanguinetti. Il dibattito si è concentrato sulla politica necessaria per diversificare l’export del Paese (ora per oltre l’80% verso gli Stati Uniti) e sugli strumenti da adottare per fare riprendere gli investimenti ora in grandissima crisi. Alle analisi economiche si è affiancato l’esame delle conseguenze di una criminalità diffusa, che è arrivata a produrre 6.270 morti solo nel corso del 2008.
Su questi temi si sono concentrati anche gli incontri con il Presidente della Repubblica Calderon e con i massimi rappresentanti dei tre maggiori partiti rappresentati in Parlamento, cioè il Partito di Azione Nazionale (PAN), il Partito Rivoluzionario Istituzionale (PRI) e il Partito della Rivoluzione Democratica (PRD). Con i rappresentanti di numerose Associazioni non Governative e negli incontri all’Università Iberoamericana di Puebla (gestita dai gesuiti) e all’Università Statale di Città del Messico l’interesse è stato soprattutto sulle Piccole e Medie Imprese Italiane, sulla politica per lo sviluppo e la lotta alla criminalità nel Mezzogiorno e, soprattutto, sull’esperienza politica dell’Ulivo, alla quale è dedicato (da tutte le categorie incontrate) un particolare interesse.
Non è stato sempre agevole spiegare a tanti appassionati osservatori perché l’Ulivo sia prematuramente appassito.
Romano Prodi
Rimettere ordine
A Palazzo Chigi
Terminata la mia attività di governo ho dedicato una notevole parte del mio tempo a “guardarmi intorno”. Il che ha significato riprendere a studiare con sistematicità la politica, l’economia e i loro cambiamenti negli ultimi dieci anni e, soprattutto, potermi dedicare con intensità ed ampiezza di orizzonti a capire che cosa sta succedendo al di fuori dei confini italiani. Il tutto naturalmente inframmezzato da un vero e proprio lavoro di “facchinaggio” per stipare in un’unica casa l’enorme quantità di libri e carte che si erano via via accumulati a Bologna, poi a Bruxelles e quindi anche a Roma. Data l’impenetrabilità dei corpi, molti libri sono dovuti forzatamente uscire di casa.Il che provoca un certo dolore, ma anche la soddisfazione di rimettere in ordine le cose, accumulate in vent’anni, secondo un nuovo criterio. Ci vorrà un tempo lunghissimo per finire questo lavoro ma questa opera di “riordino totale” è estremamente efficace per staccare rispetto al passato e riadattare la testa in vista dei cambiamenti futuri, volendo dedicare una particolare attenzione allo scenario internazionale.
L’attenzione all’estero esigeva ed esige naturalmente uno strumento di lavoro ancorché minimo ed estremamente agile. È stato a questo proposito interamente cambiato lo statuto della Fondazione “Governare per”, trasformata in “Fondazione per la collaborazione fra i popoli“. La nuova denominazione è stata scelta in modo da descrivere accuratamente i suoi obiettivi, e non esige quindi alcun commento.
Viaggiando in Europa
Il primo cerchio di questo sguardo al mondo è naturalmente dedicato ai temi europei, sia nell’analisi del presente sia nelle possibili evoluzioni future. Questo interesse si è manifestato in una serie di convegni e di incontri in diverse parti d’Europa. Tra questi appuntamenti posso ricordare il discorso all’Università di Tarragona (dove ho ricevuto il premio per il dialogo interculturale nel Mediterraneo), all’Università di Santander, alla celebrazione del decennale della Banca Centrale Europea a Francoforte, agli “Stati generali” dell’Unione Europea a Lione e come oratore alla Conferenza Winston Churchill, in ricordo del discorso pro-Europa tenuto nel 1948 da Churchill, che si svolge ogni anno presso l’Università di Zurigo.
Questi incontri sono stati l’occasione per riprendere il tema dell’Euro, dell’allargamento, del Mediterraneo e della politica del vicinato, il cosiddetto anello dei paesi amici (come ho spiegato in “Insieme” si tratta di «[Quei]…paesi che stanno attorno all’Unione Europea, quell’anello che va dalla Russia fino al Marocco [...] con cui intraprendere una relazione speciale basata su una cooperazione stretta [...] Tutti i paesi che ne fanno parte potranno avere con l’Europa rapporti sempre più stretti, fino a condividere tutto con l’Unione tranne le istituzioni».).
Dopo il tentativo, da parte di qualche osservatore, di trattare questi temi in modo affrettato e qualunquistico, si procede finalmente verso un’interpretazione più approfondita, più equilibrata e più veritiera della politica europea impostata e attuata dalla Commissione da me presieduta tra il 1999 e il 2004. In un periodo di fortissima affermazione degli egoismi nazionali, le realizzazioni compiute sono un saldo punto di riferimento per il passato ed un punto di partenza per il futuro. Si comincia anche a riflettere su quale sarebbe la situazione oggi senza l’ancoraggio all’Euro e senza l’allargamento a nuovi paesi che, fuori dall’Unione Europea, sarebbero fonte di divisione e di turbamento. Questo soprattutto dopo che il referendum irlandese ha bloccato la positiva evoluzione di un’Unione Europea che già faticava a procedere nel suo processo di consolidamento. Mi ha fatto inoltre piacere constatare personalmente in un tranquillo viaggio, i progressi di Slovacchia, Polonia e Repubblica Ceca dopo il loro ingresso nell’Unione Europea.
In Albania
In questa linea di aggiornamento sullo “stato” della politica internazionale mi è stato di estrema utilità un soggiorno in Albania occasionato dalla partecipazione come insegnante ad un corso tenuto dall’Università di Bologna presso l’Università della Nostra Signora del Buon Consiglio a Tirana. È stata una occasione per incontrare nuovamente il Presidente della Repubblica, il Primo Ministro, il Presidente del Parlamento, i sindaci di Tirana e Durazzo. Il sindaco di Girocastro, mi ha voluto concedere la cittadinanza onoraria per quanto compiuto in favore dell’Albania durante il periodo alla Presidenza del Consiglio e alla Presidenza della Commissione Europea. È stato importante verificare quanto sia ancora vivo (anche a livello popolare) il ricordo della missione Alba che ha salvato l’Albania da una vera e propria guerra civile nel momento degli scandali finanziari e delle conseguenti violenti tensioni politiche.Con tutta la difficoltà che questo processo comporta, l’Albania sta rapidamente cambiando e iniziando il proprio percorso di modernizzazione e di democratizzazione. La prospettiva è, naturalmente, l’ingresso nell’Unione Europea, un ingresso accompagnato dalle necessarie riforme nella vita politica, economica e sociale del Paese. Vi sono molti che, naturalmente, pensano che il cammino di modernizzazione sia troppo lento, ma non dobbiamo dimenticare che sono passati poco più di dieci anni dal momento in cui l’Albania era considerata un paese in sicuro disfacimento.
All’ONU
In settembre comincia in modo imprevisto una nuova attività, quella di presiedere un così detto “gruppo di alto livello” (High Level Group) nominato dal Segretario Generale delle Nazioni Unite (in accordo con l’Unione Africana) per cercare nuove regole e nuovi finanziamenti indispensabili a rendere più efficace il Peacekeeping in Africa. Il compito era quello di redigere di un rapporto, che presenterò in marzo al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, attraverso una serie di aggiornamenti e approfondimenti ma soprattutto operando con un lavoro comune che si è svolto fra la sede delle Nazioni Unite di New York e la sede dell’Unione Africana di Addis Abeba. La diversità delle due città non potrebbe essere più stridente e, nello stesso tempo più efficace nel descrivere quale debba essere lo sforzo per aiutare l’Africa ad uscire dal suo stato di “continente dimenticato”. Questo lavoro si è fatto via via più appassionante, anche se non è facile assorbire in fretta gli aspetti tecnici ed operativi del peacekeeping. Mi ha aiutato l’esperienza politica e operativa delle due missioni di peacekeeping da me direttamente organizzate in Albania e in Libano durante i due periodi della mia presidenza del Consiglio. Missioni che sono da tutti ricordate tra i casi di successo in questo campo.
A rendere ancora più importante questo compito è l’evidenza dei dati che dimostrano quale sia la differenza, in termini di sviluppo, fra paesi che vivono in pace e paesi vittime dei conflitti. La frase “non c’è sviluppo senza pace” non è una espressione retorica ma la semplice descrizione della realtà. Una parte non trascurabile di questo rapporto è dedicato alle fonti di finanziamento che possono permettere alle Nazioni Unite e all’Unione Africana di organizzare in modo efficace il peacekeeping. Problema che diventa sempre più acuto con l’aggravarsi della crisi economica. Viene tuttavia spontaneo ricordare che la sproporzione fra le spese militari e quelle dedicate al peacekeeping è tale da essere persino difficile da spiegare.Basta un dato sintetico. Il totale delle spese dell’ONU per il mantenimento della pace nel mondo è stato nel 2007 attorno ai 7 miliardi di dollari.Una cifra forse non trascurabile a livello microeconomico, ma che è minore del costo di due settimane della sola guerra in Irak. Anche per questo motivo pongo sempre il problema della partecipazione al processo di peacekeeping in Africa come prioritario in tutti gli incontri politici e i contatti da me compiuti a livello internazionale. Questi contatti non sono naturalmente limitati ai leaders europei ma riguardano una sfera più ampia che va dall’Asia, all’America e all’Africa, dove è iniziato un dialogo sistematico sia con i leaders dell’Unione Africana sia con i responsabili politici dei paesi che si trovano in situazione di maggiore difficoltà e tensione.
Dialogo (e questo deve essere sottolineato) non significa parlare solo con quelli che la pensano come te o ti sono vicini nell’azione politica. Dialogo significa interagire anche con coloro che stanno provocando problemi e tensioni, non cessando mai di mettere sul tavolo le nostre convinzioni e le nostre analisi. Continui sono perciò i colloqui (anche telefonici) con tutti i leaders africani, anche con coloro che più hanno tensioni e problemi con la comunità internazionale. La mia esperienza mi ha sempre portato a concludere che non il dialogo ma la mancanza di dialogo ha provocato le maggiori tragedie dell’umanità. Ho ricordato spesso in passato la mia sorpresa nel constatare come i protagonisti della politica medio-orientale in molti casi non si fossero mai parlati fra di loro, né nei rari momenti di distensione né nei periodi di maggiore tensione. Farsi la guerra senza essersi mai scambiati direttamente alcuna parola appartiene alle grandi tragedie dell’umanità contemporanea.
In questo quadro e in questa prospettiva si inserisce un viaggio in Iran, invitato (insieme all’ex Segretario Generale dell’ONU Kofi Annan ed altri leaders politici e religiosi) ad un incontro della Fondazione Khatami sul dialogo fra le religioni. È stata un’occasione non solo per parlare a fondo con l’ex Presidente della Repubblica Khatami più aperto verso la democrazia e l’occidente, ma per incontrare ancora una volta l’attuale Presidente Ahmadinejad, il “leader” supremo Khamenei, il sindaco di Teheran e gli altri leader iraniani. Un’occasione per ribadire le aspettative europee nei confronti dell’Iran a spingere questo Paese non solo verso un mutamento del suo ruolo nel Medio Oriente ma anche riguardo al problema nucleare, punto di tensione e di rischio per tutta la politica mondiale.
Il rapporto con l’Iran aveva raggiunto un momento molto significativo quando, durante il mio primo Governo avevo fatto (unico leader europeo) un viaggio ufficiale a Teheran. Un viaggio compiuto, dopo un lungo dialogo con il Presidente americano Clinton. Da un lato la presidenza di Khatami e dall’altra la presidenza Clinton permettevano infatti un pur ristretto spazio di colloqui, spazio che si è progressivamente chiuso in seguito. Il cambiamento della politica iraniana è la chiave di volta per la soluzione di molti problemi dell’area medio orientale ed è un mutamento difficile ma possibile anche perché la politica americana ha indebolito drammaticamente tutti i nemici dell’Iran. Se vi fosse razionalità in politica la dirigenza iraniana avrebbe tutta la convenienza a passare ad una nuova fase di dialogo con gli Stati Uniti e l’Europa. E forse dovrebbe anche erigere un monumento a Gorge W. Bush nella piazza centrale di Teheran proprio perché, con la sua politica, ha regalato all’Iran il ruolo di grande potenza regionale.
L’interesse per la Cina
In novembre ho compiuto un lungo viaggio in Cina. Per essere preciso a Pechino. Un viaggio dedicato a una serie di seminari su problemi politici ed economici di fronte all’Accademia del Partito Comunista Cinese, all’Accademia del Ministero degli Esteri, ai diplomatici in pensione ed ai giovani della scuola diplomatica. E con incontri con le massime autorità competenti sui problemi africani e, riguardo agli aspetti più tecnici della crisi, con la China Development Bank e la China Investment Bank. I seminari erano divisi equamente fra temi di politica e di economia internazionale ma, nella discussione che seguiva la mia introduzione, i temi economici hanno finito con il prevalere.Per la Cina si tratta infatti di affrontare per la prima volta dopo l’inizio del grande periodo di sviluppo, una pesante e diffusa crisi economica. Grandissima preoccupazione ma anche una precisa coscienza del nuovo ruolo che la Cina può svolgere nell’economia mondiale non solo come protagonista nella produzione ma anche come il più grande possessore di titoli del debito pubblico americano.Lunghe sono state le discussioni sul grande piano di rilancio della spesa pubblica cinese.Interessante notare che mentre i commentatori americani ed europei ne accentuano soprattutto l’aspetto degli investimenti in infrastrutture (ferrovie, telefoni e strade) l’analisi interna pone soprattutto l’accento sull’enorme aumento di spesa nel settore sanitario, scolastico, della ricerca e del sostegno del reddito delle categorie più disagiate, soprattutto nelle campagne.Se questa è la prospettiva e se i tempi di questa spesa saranno rapidi, queste decisioni provocheranno (attraverso un sensibile aumento del potere di acquisto interno) un forte e positivo processo di riequilibrio dell’economia mondiale. Dimensioni e rapidità delle spese sono naturalmente le condizioni perché si ottengano risultati in linea con le aspettative.Gli incontri sul problema africano sono stati rivolti a promuovere un forte impegno cinese per il peacekeeping in Africa.Un’Africa pacificata e con forti tassi di sviluppo è, tra l’altro, la migliore garanzia per gli enormi investimenti compiuti e in via di realizzazione da parte cinese nel continente africano. Di massima importanza è stato l’incontro privato di oltre due ore con il Primo Ministro Wen Jiabao, con il quale si è discusso con estrema franchezza e libertà sui temi più delicati sul tappeto; dalla crisi economica internazionale, ai rapporti con l’Unione Europea, al Tibet e alle prospettive della politica mondiale, soprattutto dopo il risultato delle elezioni americane.Come atto di cortesia, le immagini dell’incontro sono state inserite nel telegiornale delle 19, di fronte al quale siedono abitualmente più di 500 milioni di telespettatori.
Credo che l’attenzione da me dedicata fin dal lontano passato all’Asia (ed in particolare alla Cina) fosse davvero ben posta e che oggi ci si accorga finalmente come e dove si stanno spostando i punti di riferimento dell’economia e della politica mondiale.
Al Cairo per il Peacekeeping
Anche in questo caso con riferimento al Peacekeeping in Africa ma con allargamento ai principali temi politici (soprattutto il Medio Oriente) è stato il viaggio in Egitto, proprio nel giorno immediatamente precedente la tregua di Gaza. Sui problemi tecnici del Peacekeeping e sul ruolo dell’Egitto si è concentrato l’incontro con il Ministro della Difesa Tantawi e con il Ministro per la Cooperazione Internazionale, Signora Aboulnaga. Si è invece parlato soprattutto di politica internazionale nel lungo e amichevole incontro con il Presidente Mubarak. Indubbiamente, anche spinto da necessità di politica interna, il Presidente Mubarak è riuscito ad organizzare una tregua che, se anche non potrà dare pace duratura al Medio Oriente, ha però il grande merito di porre termine al tragico elenco di vittime dei bombardamenti di Gaza.
Infine in Messico
Diversa è stata la motivazione del viaggio in Messico, dove sono stato invitato dal Senato messicano a partecipare al dialogo fra le forze politiche e sociali per riflettere e formulare rimedi riguardo alle conseguenze della crisi economica mondiale sul Paese. Questo lungo “dialogo” è stato preceduto da un seminario a cui ho partecipato insieme all’ex Primo Ministro Spagnolo Felipe Gonzales e agli ex Presidenti della Repubblica del Cile Lagos e dell’Uruguay Sanguinetti. Il dibattito si è concentrato sulla politica necessaria per diversificare l’export del Paese (ora per oltre l’80% verso gli Stati Uniti) e sugli strumenti da adottare per fare riprendere gli investimenti ora in grandissima crisi. Alle analisi economiche si è affiancato l’esame delle conseguenze di una criminalità diffusa, che è arrivata a produrre 6.270 morti solo nel corso del 2008.
Su questi temi si sono concentrati anche gli incontri con il Presidente della Repubblica Calderon e con i massimi rappresentanti dei tre maggiori partiti rappresentati in Parlamento, cioè il Partito di Azione Nazionale (PAN), il Partito Rivoluzionario Istituzionale (PRI) e il Partito della Rivoluzione Democratica (PRD). Con i rappresentanti di numerose Associazioni non Governative e negli incontri all’Università Iberoamericana di Puebla (gestita dai gesuiti) e all’Università Statale di Città del Messico l’interesse è stato soprattutto sulle Piccole e Medie Imprese Italiane, sulla politica per lo sviluppo e la lotta alla criminalità nel Mezzogiorno e, soprattutto, sull’esperienza politica dell’Ulivo, alla quale è dedicato (da tutte le categorie incontrate) un particolare interesse.
Non è stato sempre agevole spiegare a tanti appassionati osservatori perché l’Ulivo sia prematuramente appassito.
Romano Prodi
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