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Cercasi Hillary disperatamente

di Lucina Di Meco

Ogni tanto sono felice e orgogliosa di vivere negli Stati Uniti. La maggior parte del volte l’orgoglio ha a che vedere con Hillary Clinton (le altre conBarack Obama). Come pensano molte delle donne che l’hanno votata alle primarie del 2008 e che sono tristi all’idea di non vederla più come Segretario di Stato, Hillary rappresenta tutto quello che una donna in politica può e deve essere: competente, libera, autorevole, capace di portare avanti i diritti delle donne, sempre e comunque e di gettare le fondamenta per un cammino verso la parità che non finisce con il suo mandato. Una figura politica femminile che in Italia, dopo tanti anni di Berlusconismo, è difficile da concepire. Ve lo immaginate un ministro degli esteri italiano che parla in tutte le rassegne stampa, dalla Libia alla Cina, dell’importanza dei diritti delle donne come diritti umani?
Lavorando nella cooperazione internazionale per i diritti delle donne, ho sempre tenuto l’orecchio teso su questi temi e sentire Hillary parlare della loro centralità nella politica estera americana è stato non solo un’ispirazione, ma un sollievo. Soprattutto, dopo anni di politiche dell’era Bush che tagliavano i fondi a tutti i programmi di salute riproduttiva nel mondo che non contenessero l’insegnamento dell’astinenza come unico metodo contraccettivo. In molti casi,quelle di Hillary non sono rimaste solo parole ma si sono tradotte in politiche, come ho potuto vedere da vicino, avendo lavorato per includere la prospettiva di genere in alcuni programmi della cooperazione bilaterale americana con i paesi in via di sviluppo.
E anche dove i richiami ai diritti umani delle donne sono rimasti solo parole, il loro peso è stato enorme per animare le organizzazioni della società civile escomodare certi governi fondamentalisti. Parte del peso delle parole di Hillary si devono alla sua posizione, parte al fatto che ricoprire questa posizione sia una donna. Perché anche se non è sufficiente (o necessario) essere donna per avere a cuore le pari opportunità, alle volte è necessario essere donna per rappresentare un modello e una speranza per milioni di donne e bambine nel mondo.
Secondo uno studio recente sulla partecipazione politica delle donne, infatti, l’esistenza di modelli femminili in politica aumenta notevolmente la presa di coscienza la e partecipazione politica delle donne, soprattutto nell’infanzia e nella giovinezza. Ed è proprio puntando sull’importanza della visibilità della leadership femminile che Hillary ha portato la Segreteria di Stato e alcune delle più importanti università americane a lanciare il Women in Public Service Project, un progetto che incoraggia la formazione delle donne in alcuni settori strategici, con l’obiettivo di raggiungere la completa parità nella leadership politica e civile entro il 2050.
Ma torniamo a noi. In Italia, una Hillary Clinton non esiste. Correggetemi se mi sbaglio. E non esiste non perché le italiane siano meno intelligenti o capaci delle americane, ma perché il sistema politico e la società penalizzano gravemente le donne, tagliando le loro ambizioni e umiliando la loro immagine. Per esempio, secondo uno studio dell’UNESCO del 2012, l’immaginario collettivo riflettuto nei media italiani relega le donne a pochi ruoli convenzionali: la donna come oggetto sessuale o la donna come casalinga e madre di famiglia. Negli anni del Berlusconismo, ci sono state molte poche donne in politica con ruoli di potere e l’indipendenza, l’autorevolezza e la preparazione per poter essere modelli positivi. Anzi, la carriera politica di varie di queste donne aveva la sua origine proprio nella loro immagine da “sex symbol” nei media berlusconiani.
A febbraio, con un po’ buona volontà da parte delle persone decenti che ancora rimangono interessate alla politica in Italia, ci sono possibilità di far cambiare le cose, come chiede il movimento Se Non Ora Quando con la sua iniziativa “Un Paese per Donne”. Eppure, indipendentemente dal numero di donne a essere state candidate o che saranno elette, un cambiamento reale potrà vere luogo solo quando la società ed i media inizieranno a pretendere delle risposte e degli atteggiamenti diversi dai propri candidati e dai propri eletti sulle questioni di genere. Come?
1) Tanto per iniziare, pretendere che i candidati a premier presentino proposte specifiche per le pari opportunità e le donne. Negli Stati Uniti, i programmi dei candidati presidenziali includono iniziative specifiche con linee di bilancio corrispondenti. In Italia, al di là delle retoriche, è spesso impossibile estrapolare dai programmi qualsiasi tipo d’iniziativa concreta, ancora meno sui diritti delle donne, che sono in genere moneta di scambio tra i partiti. Invece, ora più che mai vista l’austerity, bisogna che i candidati rispondano sulla fattibilità finanziaria delle proprie proposte, non solo ai giornalisti ma soprattutto agli elettori.
2) Chiedere alle donne e agli uomini che si candidano la loro posizione su temi scomodi e necessari come l’aborto, la violenza domestica, la prostituzione e la licenza di paternità obbligatoria.
3) Cambiare il contenuto e le forme del dibattito politico in Italia. Visti da fuori, i talk show televisivi italiani appaiono una fiera della vanità maschile. Contenuti pochi, parole tante, un esercizio di retorica autoreferenziale in cui dei problemi del paese si parla ben poco. Un discorso sul chi si conosce, invece che sul cosa si conosce. In un dibattito così noi donne, più serie, che se non abbiamo niente d’interessante da dire stiamo zitte, finiamo per rimanere in un angolino, lontano dai riflettori. Mentre a riempire il palco, la televisione (e magari le urne) con monologhi vuoti rimangono gli uomini.
4) Iniziare un dibattito sulle proposte, le teorie e le origini delle pari opportunità e dei diritti delle donne. E perché no, iniziare un dibattito sul femminismo, cercando di capire perché per molti italiani e italiane, è diventato una brutta parola. Negli Stati Uniti, femminismo non è una brutta parola, ne’ una parola antica. Femminismo, per femministe auto dichiarate come Hillary Clinton, vuol dire lavorare e, se necessario, lottare, per le pari opportunità e i diritti delle donne.
Ogni cambiamento ha un inizio. Febbraio potrebbe essere l’inizio di un paese diverso per le donne e gli uomini italiani. Un paese dove è possibile che la politica appassioni e parli di contenuti. “Un Paese dove il successo delle donne è la misura del successo della società e dei suoi valori”. Le parole sono di Hillary, i fatti, stavolta, ce li dobbiamo mettere noi.