Translate

Scrivono a Guido Colomba


Caro Guido, 
ho letto con molto interesse la tua ricetta di politica economica postata sul Blog di Oscar Bartoli. Ne condivido gli ingredienti principali. Tuttavia ne cambierei  in modo non marginale la successione dell’utilizzo.  A partire dall’ancoraggio europeo. A mio avviso si tratta di un punto da raggiungere con la credibilità di risultati e impegni condivisi da tutte le parti interessate. Non si può pretendere che sia una premessa indiscussa. Su questa base,  farei aprire la sequenza delle azioni da svolgere con un altro punto, quello della spesa pubblica (sulle dispersioni  della politica arriverò dopo). Tu releghi la riduzione della spesa pubblica al quinto posto. Io la considero invece un elemento essenziale per arrivare a quella condivisione di risultati e impegni che ritengo essere la base di un solido ancoraggio europeo. La riduzione della spesa pubblica è un passaggio fondamentale anche per ridurre responsabilmente il fardello fiscale abnorme che, fra i tanti guasti di cui è causa in Italia,  rileva in primis il calo della domanda interna, in un paese che ha 60 milioni di abitanti. Un paese che quindi non può e non deve presentarsi come un’economia…giovane….e fragile… tutta proiettata sull’esportazione. L’Italia si poteva accontentare di una tale immagine nei primi anni ’60,  quando ancora era considerata un’economia postbellica. Oggi dev’essere la domanda interna a rappresentarne la forza economica. E la domanda interna si alimenta con una produzione efficiente, libera di svilupparsi senza impropri lacci della macchina burocratica, compresi quelli rivenienti dalla macchina sindacale, ormai pletorica e paralizzante.  Non a caso associo la necessità di rianimare la domanda interna con la produzione manifatturiera.  Vedo come uno spettro keinesiano minacciosissimo la prospettiva di una domanda alimentata da un’occupazione costruita su una  “politica industriale” fatta di progetti megagalattici e dispendiosi. Per carità, non facciamo nuove Melfi, nuove Iri, nuove Efim. Il mostruoso debito italiano è partito proprio da quel tipo di scenario.  Let’s forget it. Uno scenario industriale costruito su interessi e personalismi politici centrali e locali, che in troppi casi non corrispondevano a un’economia sana. Progetti montati da finanziarie pubbliche, più o meno periferiche,  buone soprattutto a produrre poltrone, in genere per politici anziani, usciti di scena. In un lontano passato,  delle varie finanziarie regionali, di “bacino”, di “polo” scrissi anch’io. In qualche caso con entusiasmo e  traendone addirittura un premio di ricerca economica da parte della Commissione Europea. Dio mi perdoni l’ingenua, giovanile presunzione. Molti di quegli organismi, o  realtà consimili,  continuano a  esistere e a costare alla collettività.  No, non è quella la strada per alimentare progetti industriali, soprattutto quelli di maggiore capitalizzazione e spessore internazionale. Per far venire soggetti come Ikea a produrre in Italia bastano i bravi falegnami italiani e bastano relazioni industriali non oppressive. Oggi formalmente si è alleggerita una parte delle pratiche più punitive per il fronte datoriale. Ma nel contempo è aumentato in misura rilevante il ruolo interdittivo dei magistrati. Troppi dei quali,  anziché considerarsi un Ordine dello  Stato, si considerano un Potere. E con tale prospettiva, sempre più s’interessano all’attività politica, con il rischio che le loro sentenze appaiano influenzate proprio dalle personali propensioni ideologiche. Una proposta: in tale situazione, vista la difficoltà a sradicare questi preoccupanti dubbi in chi alla giustizia deve affidarsi, soprattutto tra coloro che dall’estero vorremmo fossero invogliati a investire nell’industria italiana,  non sarebbe il caso di trasformare, democraticamente,  in elettive alcune posizioni di spicco della magistratura, come avviene in altri paesi dell’Occidente? Forse sarebbe una soluzione di trasparenza che ci farebbe fare un passo avanti proprio verso quell’ancoraggio europeo, economico e istituzionale, nel quale in tanti in Italia ci riconosciamo,  spesso con inadeguata consapevolezza.
Julia Giavi Langosco
______________________________________




La seconda notizia riguarda la California (38 milioni di abitanti) che appena due anni fa ha sfiorato la bancarotta come la Grecia con un debito superiore ai 600 miliardi e un deficit corrente di 26 miliardi.


sei proprio sicuro di quanto dici?
A me risultano numeri diversi  http://en.wikipedia.org/wiki/California#Economy
A fronte di 2 triliardi di PIL, solo 256 billion di debito accumulato. L'italia ha un
rapporto debito PIL al 126%, la California non arriva al 30%. Non è certo default
ma solo blocco dei pagamenti proprio per evitare che la situazione degeneri e dopo
anni diventi come quella greca ed italiana. Per evitare confusioni bisognerebbe
chiarire che il vostro "bancarotta" non c'entra un trubo con il concetto di "default".
È comunque una buona notizia.

Francesco Forti
______________________________________