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Gianni Agnelli: ricordi in liberta'


Dieci anni dalla morte di Gianni Agnelli. Chi ha avuto la ventura di conoscerlo dal vivo non puo' dimenticarlo.  
Nell'aprile del 1974 Gianni Agnelli viene eletto presidente della Confindustria. A quei tempi chi scrive era assistente di Luigi Orlando, presidente della Societa' Metallurgica Italiana, meglio conosciuto come 'Il re del rame', Orlando era vicepresidente over all della Confindustria. Gli assistenti dei tre padri nobili dell'industria italiana (Pirelli, Agnelli e Orlando) erano autorizzati a stare in seconda fila dietro ai propri boss che sedevano intorno al grande tavolo ovale della sala del direttivo.
Le riunioni del massimo consesso della Associazione degli imprenditori italiani erano caratterizzate dai monologhi dei piccoli e medi industriali che, galvanizzati dalla possibilita' di avere come interlocutori quei personaggi, intrecciavano interventi spesso noiosi e fuori luogo.
Agnelli, semisdraiato nella poltrona, occhi chiusi, ogni tanto una tirata forte dal naso, ascoltava senza manifestare fastidio. Gli unici momenti di attenzione li rivolgeva quando il giovane Carlo De Benedetti  prendeva la parola rivelando una preparazione finanziaria di largo respiro. Quando il dibattito andava per le lunghe Agnelli prendeva la parola. In pchi secondi sintetizzava il suo punto di vista sul quale poi si celebrava l'unanimita' della decisione. Non perche' fosse la posizione di Agnelli, ma perche' si trattava della proposta piu' illuminante di tutto il dibattito.
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Agnelli, quando arrivava a Roma con il suo aereo, voleva guidare personalmente l'auto. Una volta, recandosi con il direttore generale della Confindustria Mattei all'aeroporto per un impegno su Milano, il presidente della Fiat che amava guidare come un matto, divertendosi a precedere la scorta, arrivo' all' ingresso di Ciampino a tutta birra con la sua 131 Sport. Il soldato di guardia non fece in tempo a sollevare la sbarra. Urto violento, sbarra andata in mille pezzi e l'avvocato e il suo direttore generale si imbarcano sull'aereo Fiat. Al termine della giornata ritornano a Roma. Nel frattempo i funzionari Fiat di Roma avevano provedduto a sostituire la macchina che si era acciaccata. "Vede, caro Mattei, la qualita' delle auto Fiat?", disse l'avvocato con un sorriso impenetrabile.

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La prima volta che Berlusconi fece il suo ingresso nella Giunta della Confindustria, il parlamentino degli imprenditori, cerco' disperatamente di farsi notare da Agnelli, Pirelli e Orlando che di proposito lo evitavano.

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Alla fine del 1985 Prodi , presidente dell IRI e Fabiani, AD della Finmeccanica, stavano rientrando in aereo privato da Londra dove avevano firmato una lettera d'intenti con il vicepresidente della Ford per la vendita dela disastrata Alfa Romeo. Mentre erano in volo, le agenzie inziarono a battere dichiarazioni di esponenti politici dell'arco costituzionale, sindacalisti, economisti, imprenditori che si schieravano contro la cessione dell'azienda automobilistica all'odiato straniero. Prodi fu costretto a cancellare la lettera d'intenti con relativa brutta figura nei confronti dell'interlocutore americano. L'Afa ando' alla Fiat che fece finta di pagare qualcosa. Mesi dopo il settimanale inglese Econmist organizzo' un convegno al Grand Hotel di Roma. Incontrandosi nella hall dell'albergo, Agnelli disse a Romano Prodi: "Lei e' quello che mi e' costato di piu'." E la risposta del professore fu:  "Le ho dato la 164. Non voleva pagarla?" In effetti la 164 divenne poi l'ammiraglia della FIAT che non aveva esperienza nella produzione di auto di prestigio.

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Nel palazzo di vetro della Confindustria vi era un ascensore dedicato solo alla presidenza e del quale potevano usufruire anche gli assistenti dei vicepresidenti.
Una mattina appena entrato nell'ascensore ho visto piombare dentro anche Gianni Agnelli che andava di fretta. "Caro Bartoli, come sta?" (Agnelli aveva introdotto nel linguaggio corrente italiano l'omologo del "how
are you?" che in inglese significa interesse zero da parte di chi usa la formula).
Improvvisamente la cabina si blocco' a meta' del quinto piano. "Provi a spingere qualche bottone", mi disse l'avvocato. Ci provai ma nello stesso momento il fato volle che le lenti dei miei occhiali uscissero dalla montatura, non so perche', e cadessero a terra. Qualche istante e le porte dell ascensore bloccato a mezzo piano si aprirono ed apparvero un paio di canne di mitra rivolte ovviamente al sottoscritto che venne poi recuperato dopo l'Avvocato quando finalmente azionarono la salita manuale del maledetto aggeggio.

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Amato e odiato in maniera viscerale da milioni di italiani, Gianni Agnelli si imponeva per il fascino che derivava da una solida educazione e da uno stile inimitabile. Ed anche il fatto che fosse un play boy gli conferiva un tocco di aristocratico ben distante da certi comportamenti di pescicani arricchiti che fanno sfoggio della loro consistenza economica immiserendosi in una macelleria sessuale da postribolo di lusso.
Si potra' giudicare il suo operato come imprenditore in maniera negativa, ma resta il fatto che Agnelli era un simbolo all'estero di un grande stile italiano e non suscitava certo ilarita' tra i potenti del momento che ambivano alla sua compagnia.
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Per finire:
Una mattina mi reco nel bagno del sesto piano del palazzo della Confindustria. Mentre mi avvio al lavello l'Avvocato esce da una toilette, mi vede, mi saluta, mi da' la mano e se ne va senza lavarsi. E mi torna alla mente la storia di De Amicis e del tale che ha stretto la mano al Re.  "Qua, piccino, che ho ancora calda la mano! - e gli passò la mano intorno al viso, dicendo: - Questa è una carezza del re."   Ma ho risparmiato i miei figli.

Oscar
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Complimenti, davvero simpatici quei flash back su Gianni Agnelli, gran personaggio.
Sempre piacevole leggere il suo blog.
Un cordiale saluto,
Massimo Rosa
P.s. potrei pubblicare su Il Caffè, il mio giornale on-line citando la fonte...of course?
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