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DAL MURO DI BERLINO AL MURO DI BRUXELLES


                                        
Alessandro Petti
 
Nel bellissimo intervento di apertura del volume ‘1989 – Il crollo del muro di Berlino e la nascita della nuova Europa’, edito dal Corriere della Sera, Claudio Magris – grande germanista e uomo di cultura – scrive: “Siamo tutti o quasi conservatori incapaci di immaginare che le cose, così come siamo abituati a vederle e viverle, possano mutare. Scambiamo il presente per l’eterno”.

Cambiare invece si può. E non ce lo hanno dimostrato soltanto la caduta dopo quasi trent’anni dalla sua costruzione del muro di Berlino e, un po’ prima, la caduta dopo vent’anni del fascismo; ma anche. più recentemente e più in piccolo, la caduta, dopo sempre vent’anni, del più farsesco ma pur sempre tragico muro del ‘berlusconismo’.
Potrà cadere anche il nuovo muro cui ci troviamo oggi di fronte, il “muro di Bruxelles”? Rappresentato dai poteri forti oggi alla guida dell’Unione europea e, più precisamente, dalla politica di Austerità imposta dalla Germania?

Esattamente settant’anni fa, noi europei, ci stavamo ancora sparando gli uni contro gli altri, e il muro di Berlino ha rappresentato per molti anni ancora, dopo la pace, l’ultimo assurdo ostacolo alla nascita di un’Europa ben diversa, mossa da valori democratici condivisi. Le volontà politiche di allora, unanimi, decisero un cambiamento e cambiamento fu, certo aiutate dallo sgretolamento, al di là del muro, di un sistema iniquo e giunto ormai ‘alla frutta’.
Questo accadde quando c’era, appunto, la POLITICA.

Oggi, invece, che di ‘politica’ – intesa letteralmente come scienza e arte di governare – ce n’è di meno, perché sono in crisi molti meccanismi politici nazionali – si vedano per tutti, oltre quello dell’Italia, quelli della Francia e dell’Inghilterra, ma anche della Grecia, e persino, da poche settimane, degli USA - e non c’è, a compensare questi deficit, una POLITICA COMUNE EUROPEA, a guidare le nostre sorti è l’ECONOMIA. La quale, anziché essere guidata dalle scelte di interesse generale fatte dalla politica, guida e obbliga essa stessa le scelte politiche (v. l’Austerità).
Assistiamo cioè – per fortuna con alcune grida contrarie, tra cui quelle del nostro premier Renzi -  all’imposizione da parte di una Bruxelles a guida tedesca, di misure economiche anti-sviluppo come l’AUSTERITA’, che condizionano pesantemente le decisioni politiche dei paesi membri, in particolare di quelli, come l’Italia, più deboli. Con l’assurdità di milioni di euro stanziati dalla Commissione Europea a sostegno proprio dei paesi più deboli, ma utilizzabili solo laddove essi riescano a rientrare in certi ristrettissimi parametri: così stretti, però, da non renderne possibile l’utilizzo!
Una sorta di “COMMA 22”, se ricordate quel bellissimo film – e prim’ancora romanzo - di guerra americano di qualche anno fa: nel quale si narra di un pilota che non vuole più prendere parte alle missioni belliche che gli sono ordinate, ma che non riesce ad esserne esonerato perché il “comma 22” del codice europeo…,  pardon, del codice militare americano, prevede che “Chi è pazzo può chiedere di essere esonerato dalle azioni di guerra, ma chi chiede di essere esonerato da esse non è pazzo”.

Escludendo nel prossimo futuro, e spero anche oltre, di tornare a spararci tra europei - seppur per il ‘buon fine’ di farla finita con l’AUSTERITA’ e di abbattere il muro di Bruxelles, così come impostoci da chi vuole tenersi il potere europeo tutto per sè (leggi sempre Germania) – che cosa si può fare per combattere il pesante orpello che ci impedisce di crescere e per cercare quindi di cambiare le cose?
Prima di tutto - chiariamo subito questo punto – comportandoci come un Paese all’altezza della sfida che vuole lanciare: cioè come un Paese che non elude le regole, ma le rispetta; che non froda il fisco, ma paga le tasse; che non cambia governo ogni pochi mesi (grazie anche a una legge elettorale pessima), ma si mostra affidabile e stabile; che ha banche che non si tengono per sé i soldi trasferitigli dalla Commissione Europea, ma che li mettono a disposizione delle imprese e delle famiglie richiedenti etc etc.
Questo Paese “virtuoso”, nonostante gli sforzi e la determinazione di Renzi, non c’è ancora, tutto. Ce ne è solo un po’, e va quindi incoraggiato. Ricordiamoci ad esempio che solo pochi mesi fa una parte rilevante di cittadini ha voluto concedere una grande fiducia al nuovo premier, proprio per dare un segnale di voglia di cambiamento. E ciò pur in presenza dell’esistenza in politica ancora di Massimo D’Alema.

Almeno una fortuna, però, ce l’abbiamo: alla guida della BCE, cioè della super banca europea, vi è Mario Draghi. Il quale, resistendo alle pressioni conservatrici in senso contrario della banca centrale tedesca – sempre loro – ha promosso una serie di misure monetarie, creditizie e di controllo bancario per arginare la crisi e rilanciare lo sviluppo.
Ha detto Draghi, in occasione di un seminario in ricordo dell’economista Federico Caffè, suo grande maestro: “L’attuale inaccettabile livello della disoccupazione – il 23% dei giovani tra i 15 e i 24 anni non ha un lavoro – è contro ogni nozione di equità, è la più grande forma di spreco di risorse, è causa di deterioramento del capitale umano, incide sulle potenzialità delle economie diminuendone la crescita per gli anni a venire”.

E’ questo il primo di tutti i diritti: ‘il diritto di avere diritti’, il diritto al lavoro primo fra tutti.
Di fronte a questa tragedia sociale, che unisce in un solo destino più generazioni, dai giovani inoccupati ai meno giovani disoccupati, dovrebbe coalizzarsi un unico lungimirante fronte sia interno (fra governo, imprese e sindacati), sia internazionale (fra i paesi europei che vogliono rilanciarsi).
Invece assistiamo in Italia, finito il “berlusconismo”, in fase di stallo il “grillismo”, al rispuntare di chi si credeva morto: il “leghismo”! Per di più “annerito” dall’alleanza con la destra razzista francese di Marine Le Pen. Rispunta così la NON-CULTURA, sia politica, sia civile, quella che fa leva sui nostri peggiori istinti conservatori, per dirla ancora con Magris.

Per far fronte a questi nuovi “barbarelli” della Gallia Padana, ai loro rigurgiti di ignoranza, c’è solo un modo: educare le giovani generazioni non all’egoismo e all’individualismo, ma a capire che la dignità della persona sta nei grandi valori, nella solidarietà, nel rispetto della giustizia, nel rifiuto del razzismo, nell’amore per il bene comune.
Sta, cioè, nella cultura. 


Alessandro Petti