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Globalizzazione Intergalattica



Alberto Pasolini Zanelli
La Storia ci prepara forse un altro regalo, un’altra sorpresa, forse un’altra trappola. La Storia o piuttosto la fantastoria, che si collega meglio con la fantascienza. Gli abitanti della Terra continuano ad azzuffarsi, fra l’entusiasmo di alcuni e le angosce di tanti, sulla “rivoluzione” che chiamiamo globalizzazione, quasi l’apertura di una nuova era che renda il mondo più irriconoscibile. E intanto succedono cose che potrebbero portarci a un ulteriore salto (in alto ovvero, secondo i gusti, nel buio). Cose piccole o grandi. Vedremo fra poco.
La notizia è, in sé, piccola. Per la prima volta la Terra ha importato qualcosa dagli spazi. Dagli spazi extraterrestri. Dall’aldilà di quella Frontiera. Un piccolo oggetto, modesto di dimensioni: una facciata, un pezzo di “carta” elettronico, da integrare con un computer, il primo 3/D printer importato da Fuori. L’indirizzo è Cape Canaveral, la International States Station. Una “facciata” per l’involucro di un printer. Un pezzo di plastica, insomma. E neanche perfetto: un pezzetto si è andato a incollare un po’ più in là dell’obiettivo. “Non tornerà a succedere”, assicurano quelli della Nasa. Sono in programma un’altra ventina di arrivi per le prossime settimane. Dovranno costituire il primo “shop su domanda” per la sostituzione di pezzi che si guastino nello Spazio. “Un piccolo passo – disse il primo astronauta ad aver posato il piede sulla Luna ormai decenni fa – ma un salto in avanti per l’umanità”. Nessuno ha osato adattare lo storico Bollettino della Vittoria a questa innovazione; tranne uno dei boss della Nasa, che ha ricordato quanta strada è stata percorsa “dal giorno in cui il primo essere umano ricavò da una roccia il primo utensile”. Il secondo passo non richiederà millenni, stavolta: il nuovo modello sarà molto più grande e ambizioso.
Un discorso tecnico. Non toccava alla Nasa entrare nel merito di quelle che dovrebbero essere le reazioni dei non specialisti a un evento che potrebbe cambiare le frontiere, le dimensioni, l’idea stessa di quello che chiamiamo mondo. Finora abbiamo fatto tutto in famiglia, compresa la globalizzazione, ovvero mondializzazione: sempre cose di casa nostra. La “scoperta” che il nostro pianeta non è un “totale” da spartire o sfruttare assieme, bensì una parte, un partner, una “nazione” le cui frontiere stanno per perdere significato se non quello “trattabile” con dei partner che neppure sappiamo se esistano ma che comunque hanno un loro spazio. In termini tanto più modesti e concreti, gli oggetti made in China che i Paesi europei comprano per risparmiare sui costi di produrli diventeranno oggetto di concorrenza da Altrove e Pechino si metterà in fila dietro a Roma o a Parigi per importare cose e ottenere prestiti per pagarle a qualche superbanca interplanetaria e, perché no, intergalattica. Senza calcolare che anche certe superistituzioni potrebbero finire nel lager dei debitori. C’è già chi si prepara ad arrampicarsi, invece, nell’Olimpo dei creditori. C’è già una rispettabile banca del Texas, la Lamar Savings di Austin, che ha chiesto al governo il permesso di aprire una filiale sulla Luna: ci tiene ad arrivare prima sul nuovo mercato. Per lo sbarco su Marte, in calendario per il 2024, hanno già scelto la zona di atterraggio: il pendio di un vulcano battezzato, appunto, Monte Olimpo. Nei lanci dello Shuttle oltre la metà già sono targati business segno, dicono alcuni, che l’avventura è ormai irreversibile, che commercializzazione e industrializzazione dello Spazio non sono sogno o programma o incubo ma quasi, ormai, realtà che potrebbe diventare quotidiana. Fra i prodotti in cima alla lista del realizzabile ci sono ormoni purificati ed enzimi anticoagulanti, agenti anticancerogeni, ma anche “lenti purissime” per gli occhiali. E naturalmente, microchips, per computer. Chi fabbricherà queste cose? Naturalmente dei robot, proprio come accade sulla Terra. Fatti magari differenti, dal momento che nell’Universo “globalizzato” non avremo più il privilegio di avere macchine a nostra immagine e somiglianza. Non è neanche detto che le faremo noi. Magari in qualche lontana galassia ci saranno maestri e artigiani fatti con qualche venatura speciale di silicio. Umani? Per quell’epoca, probabilmente, quanto noi. Che comunque siamo pronti a modificare le leggi sull’emigrazione. Il primo a dirsi pronto è stato il Papa, con una promessa: se gli “omini verdi” da qualche parte esistono e verranno a trovarci, lui è pronto ad accoglierli con un abbraccio fraterno.