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UNA MERKEL DEL XIII SECOLO




Alberto Pasolini Zanelli
Non è sempre vero che chi ignora la storia è condannato a ripeterla. Ci sono memorie che si nascondono, altre che si mettono in piazza alla prima occasione propizia, altre ancora che non c’è bisogno di nascondere perché nel frattempo se ne sono tutti dimenticati. Tutti i tipi riaffiorano in queste ore, presumibilmente decisive, di appuntamento fra la scelta del popolo greco su che fare con l’Europa e quella, più importante purtroppo, dei governi e dei poteri forti europei su che fare della Grecia. Venga o no eletto Tsipras domenica, Atene rimetterà sul tavolo una cartella di ricordi piuttosto recenti che non la riguardano direttamente: il trattamento che la “Conferenza europea sul debito” del 1953 escogitò per la Germania, che era allora, otto anni dopo la consumazione della sua catastrofe bellica, nel pozzo dell’indebitamento continentale. La soluzione si trovò attraverso una “clausola di crescita”: pressappoco quello di cui i greci avrebbero bisogno oggi.
I greci, diciamo, e non la Grecia, perché se ci si rifà alla storia quest’ultima è un piccolo Paese relativamente recente, una creazione della diplomazia ottocentesca; ma i greci, anzi la “grecità” (per non scomodare il termine giusto, ma troppo elevato, l’ellenismo), hanno una presenza millenaria, nel bene e nel male, nei trionfi e nelle sofferenze. Hanno creato l’Europa più o meno tremila anni fa, ma sono stati anche quasi distrutti dagli europei, appena otto secoli fa e per motivi attualissimi: per cose di debiti e di banche, capri espiatori di una crisi economica continentale. L’Europa era lungi dall’essere unita all’epoca, i greci lo erano in una forma che potremmo considerare abnorme: non erano una nazione, però erano una civiltà e un impero. La metà rimasta dell’Impero Romano aveva la capitale a Costantinopoli, ma parlava da Bisanzio e pensava in greco. E in greco facevano affari, bene immersi nel sistema bancario europeo, a quanto pare dedito anche allora al vizietto della “moneta facile”, che ogni tanto la buttava in terra. Accadde, fra l’altro, all’epoca della Quarta Crociata, che avrebbe dovuto liberare per l’ennesima volta la Terra Santa dagli Infedeli islamici, decise invece di buttarsi sui cristianissimi bizantini, partner e “complici” della “globalizzazione” dell’epoca, nel commercio delle spezie, della seta e dei beni di lusso in genere. Le “superpotenze” in questi affari erano prevalentemente italiane: Venezia, Genova, Pisa. Avevano contatti, uffici a Costantinopoli, privilegi, manager che laggiù avevano imparato il mestiere e i suoi trucchi, attiravano nel Mercato abbondanti capitali stranieri a buon mercato. Finché, nel tredicesimo secolo, ci si accorse che qualcuno aveva esagerato e metteva in pericolo l’equivalente medioevale della Banca centrale europea, cioè la Serenissima Repubblica di Venezia. In preda al panico, si volle passare, anche allora, dalla dolce bevanda della “moneta facile” alla droga avvelenata dell’Austerity. Qualcuno doveva pagare le spese e i “banchieri” del Canal Grande decisero che dovevano essere i greci di Bisanzio. Siccome però non se ne fidavano più di quanto oggi la signora Merkel si fidi di quelli di Atene, decisero di ricorrere, per instaurare un Patto di Stabilità, alle sanzioni, secondo le abitudini di un’epoca abituata a ricorrere prima alla spada e poi alle chiacchiere. E così i Crociati si fermarono a Costantinopoli, causarono – si direbbe oggi – una crisi di governo, abbatterono l’imperatore e misero al suo posto uno scelto da loro, un certo Baldovino di Fiandra di cui sentirono di potersi fidare. Lo incoronarono nel 1204 come capo di un Impero Latino, destinato a durare cinquant’anni, poi cominciarono ad incassare i loro crediti. Di contante non ce n’era abbastanza e si “rifornirono” di beni mobili e teoricamente immobili. In altre parole, saccheggiarono l’Impero, prendendone come pegni i tesori che avrebbero restituito una volta il debitore fosse ridiventato solvente.
Non accadde mai interamente e così molti “pegni” rimasero nell’Europa non greca. Il più noto sono i quattro cavalli asportati da Costantinopoli e da allora in bella mostra in piazza San Marco a Venezia. Si ignora se la signora Merkel, e magari anche Mario Draghi, siano andati di recente a dargli un’altra occhiata. Per ispirarsi.