Alberto Pasolini Zanelli
Aveva gli
occhi lucidi Fidel Castro nel momento della stretta di mano a Francois
Hollande. Dilatati, quasi spaventati, cerchiati di emozione. Troppo per
l’incontro con una personalità eccellente ma non esaltante come questo presidente
francese. A commuovere Fidel era molto probabilmente l’occasione, il ritorno in
pubblico dopo un settennato di “reclusione”. E, ancor di più, l’imminenza di un
nuovo “vertice”, quello con Papa Francesco, che non sarà solo un abbraccio ma
segnerà la resurrezione politica di colui che, bandiera della Rivoluzione nel
mondo, era diventato per molti soprattutto il fratello di un dittatore. Quello
che ha a sua volta incontrato il Papa e ha annunciato di essere pronto a
“tornare a pregare”. Fidel, quando incontrerà il Papa, parlerà di un futuro che
è anche politica: come costruire sull’altra riconciliazione, quella fra Cuba e
gli Stati Uniti, a cominciare dalla mediazione per porre fine alla guerra
civile in Colombia.
Insomma è
giunto il momento di buttare via il “coccodrillo” di Castro, tenuto pronto per
tanto tempo in attesa della notizia che non faceva ormai più notizia: la sua
scomparsa anche fisica. Invece eccolo risorto, un Patriarca dal lungo autunno,
come si addiceva, in fondo, a un intimo amico di Garcia Marquez, poco dopo che
i primi refoli di primavera spirassero sul regno che era stato suo ed è ancora
governato in suo nome. Con lui sarebbe scomparso l’Ultimo Comunista (o si
diceva fino all’altro ieri, prima che nell’America Latina cominciassero a rispuntare
i suoi emuli che si definiscono discepoli) e invece ha avuto l’abbraccio di un
Papa.
Di questa
“resurrezione” Fidel non aveva né colpe né meriti. Era morto al mondo. Ma un
pezzo di mondo lo aveva riscoperto: ritenevano di avere bisogno di una leggenda
vivente, il Che Guevara era leggenda ma morto da troppo. E allora avevano
cominciato ad evocare Fidel, rispolverando di lui il passato remoto. Ma adesso
Fidel è di nuovo coinvolto in una leggenda di simbolo opposto e imprevedibile:
quello del Conciliatore. Sono memoria antica, adesso, la sua infanzia e la sua
giovinezza piccolo borghesi, l’attacco alla caserma dei fedeli del dittatore
Fulgencio Batista, il carcere, la grazia e l’esilio, la lunga avventura di
guerra.
L’infanzia
e la giovinezza piccolo borghesi, l’attacco alla caserma dei fedeli del
dittatore Fulgencio Batista, il carcere, la grazia e l’esilio, la lunga
avventura sulla Sierra, l’ascesa a prediletto dei mass media “progressisti”
americani, la vittoria, il potere. E il successo più famoso, quello sulla
“controrivoluzione” armata dalla Cia e abbandonata da Kennedy sulle spiagge
della Baia dei Porci. L’agiografia resuscitata sorvola sul resto, che include
la gestione fallimentare di mezzo secolo. Fidel Castro inaugurò il suo potere
facendo celebrare negli stadi i processi ai nemici politici prima delle
esecuzioni capitali. Lo ha ricordato di recente, fra l’altro, la figlia Alina:
“Guardavamo dei filmetti e di colpo ci fecero vedere delle fucilazioni”. Prima
dei “batistiani” poi, ma senza tv, di centinaia di compagni di lotta che si
erano rifiutati di seguire Fidel nella strada dell’asservimento a Mosca e poi
nelle avventure per esportare la “rivoluzione” come nella remota Angola, di
appoggio a interessi strategici dell’Urss in cambio del mantenimento dell’isola
da parte del Cremlino mentre i cubani fuggivano affrontando il mare sulle
zattere.
I boat
people nacquero all’Avana prima ancora che in Vietnam. Qualche volta Castro li
fermava, qualche volta li spingeva fuori, per alleggerire tensioni e malcontento,
poi tornava a stringersi la vite della repressione. E diceva no a tutti coloro
che gli consigliavano di defilarsi. Erano in tanti e tanto diversi, incluso
perfino don Manuel Fraga Iribarne, ex ministro di Franco, che gli offrì di
ospitarlo nella sua Galizia, terra degli avi di entrambi. Rimase uno spacciatore di sole e di droga. Il
sole per i distratti vacanzieri capitalisti in un’isola caraibica “diversa”,
dagli alberghi e le ragazze a buon mercato, la droga di un sogno alimentato di
irresponsabilità storica . Quando la malattia lo costrinse a lasciare i poteri effettivi, li passò a chi
governava in suo nome. Come fondatore di una dinastia, Fidel riporta indietro
la sua ambizione di creare qualcosa di diverso da una dittatura-azienda a
conduzione familiare. È un prezzo che non ha scelto di pagare, evidentemente,
impostogli dalla longevità, dal logorio e dalla malattia crudele degli ultimi
anni. E adesso la resurrezione. Non c’è poi da meravigliarsi troppo se la
famiglia Castro, pur rivendicando la propria fede comunista, tende le braccia
verso l’altra Fede, ricorda gli anni del seminario, allievi entrambi dei
gesuiti, come Papa Francesco e dimentica che, da dittatore in prima persona,
Fidel Castro aveva proibito, fino a pochi anni fa, ai cubani di celebrare il
Natale. Il primo pontefice americano, che tanto ha fatto per rompere il gelo
fra l’Avana e Washington e ci è riuscito al punto da dare una nuova occasione
al leader della Cuba Revolucionaria.