Alberto
Pasolini Zanelli (Riga)
Nei
Paesi Baltici la crisi è nell’aria. Da mesi forze aeree della Nato conducono
esercitazioni dalla Lettonia alla Lituania, senza neppure tentare di
“spersonalizzare” il “nemico”. Sono manovre unicamente e apertamente antirusse.
E sono una presenza costante. Cambiano i partecipanti, i modelli militari ma
non la direzione di marcia, o di volo. Vi hanno partecipato ormai quasi tutte
le nazioni Nato, inclusa l’Italia che ha mandato una squadriglia di caccia a
pattugliare i cieli apparentemente incolumi della Lituania. Naturalmente ci
sono gli alleati più stretti dei Paesi Baltici, gli scandinavi e, soprattutto,
gli americani, che hanno i “modelli” più nuovi da mostrare, con effetti molto
incoraggianti per la popolazione civile. I governi chiedono, di tanto in tanto
ma alquanto spesso, presenze nuove o prolungate, ulteriori esperimenti e
soprattutto un più chiaro messaggio alla grande nazione confinante con queste
tre piccole Repubbliche.
I russi, naturalmente, non vogliono né
potrebbero essere da meno e perseguono analoghi test, estendendoli fino agli
spazi aerei e alle acque territoriali di Paesi come la Svezia. Inoltre Putin si
serve anche della retorica delle parole, in cui sovente eccelle e regolarmente
denuncia, anche in prima persona, quello che definisce il “pericolo nazista” in
quell’angolo del Baltico. Egli afferma che “fenomeni di neonazismo sono
diventati abituali in tutti i Paesi baltici, particolarmente in Lettonia”, che
ospita, soprattutto nella sua regione più orientale, una nutrita componente
etnica e linguistica russa. Il riferimento è anche di quasi attualità: qualche
mese fa sfilarono per Riga un paio di migliaia di ottantenni e novantenni,
alcuni indossando le uniformi delle Waffen SS. Marciarono, con passo alquanto
meno marziale di allora, per ricordare le battaglie del 1944, al tempo del
riflusso militare, della ritirata definitiva delle armate di Hitler e
dell’avanzata decisiva di quelle di Stalin. Fra i due mali, molti lettoni
scelsero quello che pareva loro il minore e si arruolarono in centomila per
combattere i russi sotto l’effigie di chi gli forniva armi e divisa. Una
“stranezza” della Storia che si spiega con il passato e, all’epoca, il presente
delle popolazioni baltiche, indipendenti fieramente dal medioevo e collegate
all’Occidente dalla loro presenza nella Lega anseatica, nata nella Germania
settentrionale. Questa indipendenza fu demolita quando lo Zar Pietro il Grande
decise di fare della Russia una potenza anche marittima, costruì Sanpietroburgo
e si annesse le zone costiere vicine. Il ritorno all’indipendenza si fece
attendere fino al 1918 e non durò molto: già nel 1939 l’Unione Sovietica
stipulò un accordo con la Germania (il Patto Stalin-Hitler) che restituiva
quelle Repubbliche a Mosca. Due anni dopo esse furono invase dai tedeschi, che
furono accolti piuttosto favorevolmente perché combattevano contro i russi. Che
però prevalsero e già alla fine del 1944 i baltici erano ritornati al dominio
sovietico.
Un andirivieni che portò lutti e
persecuzioni e scatenò le passioni di parte di quei popoli. La terza
indipendenza, quella odierna, è figlia della disgregazione dell’Urss, ma la
memoria non poté che essere tenace e ravvivata dalle vessazioni del regime di
Stalin, che comprendevano la deportazione o “eliminazione” delle borghesie
baltiche e l’immigrazione di ceti operai russi per l’industrializzazione. Cattivi
ricordi risvegliati dagli eventi attuali in Ucraina, fino a far tracciare
paralleli con le peripezie di questi popoli così diversi. In parte sono i russi
a subire ora delle discriminazioni e quindi a rivolgersi alla madrepatria per
qualche forma di appoggio. Putin balzò presto sull’occasione e proclamò,
riciclando in parte una frase già pronunciata da Hitler, che la Russia “non può
rimanere inattiva di fronte alle minacce a dei suoi cittadini”. A proposito dei
Paesi Baltici queste rimasero parole, nel caso dell’Ucraina si sono trasformate
in fatti e suscitano forti timori a Riga, Tallinn e Vilnius, donde partirono
appelli alla solidarietà del ritrovato Occidente. Di qui la presenza,
soprattutto ma non esclusivamente aerea, della Nato. Di qui anche un progetto
che, non ancora attuato, ha contribuito più di ogni altro a esacerbare le
reazioni del Cremlino: l’installazione di difese antimissilistiche tra la Lituania
e la Polonia con la giustificazione un po’ singolare che queste barriere erano
necessarie per difendere quelle zone nordeuropee prossime alla Finlandia da
attacchi nucleari iraniani. Bush intendeva probabilmente farlo, Obama ha
rinviato e rallentato l’iniziativa, non però interamente: il Congresso di
Washington ha deciso stanziamenti di centinaia di milioni di dollari “per
dissuadere la Federazione Russa dal destabilizzare ed invadere Stati
indipendenti dell’Europa Centrale e Orientale”.