Alberto
Pasolini Zanelli
Gli spagnoli stanno imparando il greco.
Non quello classico dei filosofi, ma semmai quello dei cori delle antiche
tragedie. Li hanno chiamati alle urne per eleggere delle amministrazioni locali
e ne hanno approfittato per ruggire la propria protesta. Con molta efficacia,
risultati superiori alle previsioni più favorevoli. A farne le spese sono stati
i due partiti di massa tradizionali, i conservatori e i socialisti. Nelle
elezioni di quattro anni fa avevano raccolto, sommati, il 73 per cento dei
suffragi, nel 2008 addirittura l’84 per cento. Adesso sono scesi, sempre
assieme, al di sotto della metà. Se si fosse votato domenica per rinnovare il
Parlamento, la Spagna sarebbe già oggi ingovernabile. Gli elettori erano stati
invece chiamati alle urne per rinnovare i governi di dieci regioni e di
ottomila comuni e il Partido Popular è stato sconfitto quasi ovunque. Ha perso
la maggioranza a Madrid, sua roccaforte tradizionale: sembra inevitabile una
giunta di coalizione, probabilmente guidata da una esponente della sinistra.
A Barcellona la sconfitta della forza di
governo è stata netta e la seconda città della Spagna è stata conquistata dalla
principale forza d’opposizione, il Podemos, lo stesso che si è affermato in
altri centri importanti come Valencia e Saragoza. È il partito più simile a
Syriza. È guidato dall’omonimo di un cantante famoso, Pablo Iglesias e non è
nato in una segreteria o in un congresso bensì sulle piazze spagnole come
movimento di protesta contro l’Austerity e i sacrifici di cui essa carica molti
Paesi europei. Non vennero dai palazzi ma vi si avventarono contro. Il nome
iniziale era tutto un programma: Indignados. Occuparono piazze e parchi. Si
impegnarono in scontri con la polizia, riportarono alla memoria le tensioni di
una guerra civile di ottant’anni fa. Quando diventarono un partito, però,
scelsero un nome moderato e rispettabile: Podemos, traduzione spagnola dello
slogan con cui Barack Obama si presentò sei anni fa agli elettori americani,
“Yes, we can”, Possiamo, Podemos. Ha portato fortuna anche a loro. E fu imitato
da un concorrente ancora più giovane e di tendenze liberali invece che
socialiste: Ciudadanos, “Cittadini”. Concorrenti nelle urne, ma con ogni
probabilità alleati nei governi locali della protesta diffusa. L’altro
sconfitto è il Psoe, il Partido socialista obrero (“operaio”) espanol.
Sommati, i movimenti di protesta hanno
raccolto quasi lo stesso numero di voti delle forze politiche tradizionali che
hanno retto finora il bipartitismo spagnolo fin dall’immediata trasformazione
del gioco politico a Madrid subito dopo la morte di Franco di cui cadrà il
prossimo autunno il quarantesimo anniversario. Una transizione esemplare
dall’autoritarismo militare alla democrazia, senza vendette né violenze (tranne
un goffo tentativo di golpe di un ufficiale nostalgico) Franco riposa come
allora in una cripta di una chiesa nella Sierra de Guadarrama, anche se Iglesias
ne chiede la traslazione come fine di un “culto”. Ma gli elettori iberici sono
concentrati sul presente e sui suoi tormenti, che includono una serie di
scandali che hanno coinvolto i due partiti tradizionali di governo ma che sono
centrati sull’Europa e sui suoi costi economici, politici, umani. La radice
dell’indignazione è, come altrove, l’Austerity, che ha colpito molto duramente
la Spagna soprattutto nei primissimi tempi, più dell’Italia allora e
naturalmente molto più della Grecia. Madrid ha reagito in complesso meglio. La
disoccupazione è ridiscesa molto più velocemente che a Roma o ad Atene, il che ha
spostato un poco la Spagna dalla prima linea dei dibattiti fra governi.
Continua però ad angosciare gli elettori, a nutrire la protesta, a far nascere
dei Syriza anche a Madrid e dintorni.
Il malcontento è in realtà esteso a quasi
tutta l’Europa, perfino al di fuori dello steccato dell’euro, come si è visto
pochi giorni fa in Gran Bretagna. L’onda dei “no” continua a montare, anche se
in direzioni distinte e a volte opposte. Lo stesso giorno in cui gli Indignados
di Spagna hanno “voltato” soprattutto a sinistra per esprimere il mugugno e la
protesta, i polacchi hanno votato a sorpresa ed eletto il candidato
dell’estrema destra invece del favorito dalle forze di governo, che pure poteva
presentare un bilancio abbastanza confortante. Iglesias assomiglia certamente
molto più a Tsipras che ad Andrzej Duda. È certamente “indignado” e si prepara
a dar battaglia nelle elezioni delle Cortes in programma per autunno. Si
giocherà allora il tutto per tutto, in un Paese politicamente trasformato da
bipartitico a pluripartitico in proporzioni quasi italiane. La “battaglia” è
quella, stile e metodi no.
Pasolini.zanelli@gmail.com