Illusione olimpica: gli Usa e la Cina giocano con il destino delle due Coree
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 11 febbraio 2018
Lo spettacolo dell’apertura dei giochi olimpici invernali di Pyeongchang ha colpito tutti per la sua bellezza ma anche per il suo inaspettato livello di raffinatezza tecnologica. A ben guardare questo è il naturale frutto di una realtà unica nel nostro pianeta. Considero infatti la Corea del Sud il paese che più di tutti al mondo è stato capace di tradurre la scienza in prodotti commerciali che si impongono a livello globale. Una nazione con solo cinquanta milioni di abitanti (dieci meno dell’Italia) che primeggia in un incredibile numero di grandi settori produttivi, dai componenti elettronici ai desalinizzatori, dai televisori agli elettrodomestici, dalle centrali nucleari ai più complessi lavori marittimi, arrivando inoltre ad essere il quarto nella produzione mondiale di automobili.
Un paese che, approfittando dell’apertura dei mercati, ha superato, in meno di cinquant’anni, i trentamila dollari di reddito pro-capite partendo da una miseria indescrivibile e puntando essenzialmente su un solo strumento: la scuola. Sulla scuola si concentrano in modo quasi ossessivo la vita quotidiana e gli orizzonti futuri della Corea del Sud. Il resto viene di conseguenza.
Questa è la realtà di metà della penisola coreana perché, oltre il confine del 38°parallelo, emerge un mondo opposto: una diffusa miseria (meno di mille dollari di reddito pro-capite), periodiche carestie e una tecnologia ristretta al solo settore militare. Una nazione che spaventa il mondo perché gestita da una dittatura ferrea e imprevedibile, che approfitta del modesto livello tecnologico necessario a costruire la bomba nucleare e concentra su di esso lo strumento per fare paura a tutti. Anche perché il dittatore nord coreano vive nell’ossessione di finire come Gheddafi, la cui tragedia è avvenuta immediatamente dopo la sua rinuncia alla strategia di costruzione dell’ordigno atomico.
Per decenni il 38° parallelo non è stato solo il confine fra due Stati ma fra due mondi, con una permanente guerra fredda che si materializza a sud nella presenza di oltre trentamila soldati americani e a nord con la Cina che perpetuamente fornisce al paese il minimo di cibo e di risorse energetiche di cui ha bisogno per sopravvivere.
Non solo una pace finora impossibile ma una tensione che dura da decenni e che ora terrorizza il mondo con una minaccia nucleare nelle mani di una persona incontrollata e incontrollabile che, negli ultimi tempi, sembra volere mettersi di traverso perfino nei confronti dell’amico-protettore cinese. Un amico che, nonostante i segni di disagio nei confronti della Corea del Nord, non potrà permettere la riunificazione delle due Coree almeno fino a quando rimarranno sul suolo coreano le decine di migliaia di soldati americani che, in caso di riunificazione, arriverebbero fino al confine con la Cina e, seppure per pochi chilometri, con la Russia.
In questo quadro il Presidente della Corea del Sud, in mesi di lavoro nascosto, ha compiuto il vero e proprio capolavoro diplomatico di invitare gli atleti, e con essi gli esponenti politici della Corea del Nord a rinnovare il mito della tregua olimpica, facendo sfilare le due Coree sotto un’unica bandiera. Con questo gesto il Presidente Moon Jae-in ha pagato un prezzo politico molto alto. Da un lato la sua popolarità, pur rimanendo ancora elevata, si è notevolmente abbassata anche perché la giovane generazione sud-coreana non si ricorda più del paese unito ed è quindi riluttante di fronte ad un unificazione che dovrebbe caricarsi del peso della povertà del Nord.
Dall’altro lato, come si è visto dalla manifesta irritazione del Vice Presidente Americano che alla cerimonia di inaugurazione si è reso protagonista di tutti i dispetti e di tutte le scortesie possibili, gli Stati Uniti sono contrari a qualsiasi tipo di dialogo perché ritengono che esso darebbe semplicemente tempo e respiro al dittatore Kim Jong-un per portare a termine il suo programma nucleare. Vi sarebbe un’apertura in cambio di nulla. Assistiamo quindi all’apparente contraddizione che, mentre nello stadio di Pyeongchang le due Coree sfilano sotto un’unica bandiera, il Presidente Trump promette di fare sgorgare il sangue dal naso di Kim Jong-un.
A loro volta, i coreani del Sud stanno diventando meno filo-americani non solo per le sempre più frequenti incomprensioni politiche ma anche (e forse soprattutto) per le tensioni economiche in conseguenza dei dazi imposti all’ingresso negli Stati Uniti delle lavatrici di produzione coreana. Decisione ritenuta drammaticamente pericolosa in un paese che vede la propria prosperità indissolubilmente legata al commercio internazionale e che quindi si pone preoccupanti interrogativi nei confronti del carattere erratico ed imprevedibile della nuova politica americana.
Manteniamo quindi quel senso di serenità e di speranza che ci ha dato la bellissima cerimonia di Pyeongchang e plaudiamo alla coraggiosa lungimiranza del presidente Moon, ma teniamo ben fisso nella nostra mente che, finché la Cina e gli Stati Uniti non arriveranno ad un compromesso sul disarmo nucleare del Nord e sul ritiro delle truppe americane dal Sud, dovremo rassegnarci al fatto che la tregua olimpica non potrà trasformarsi in una pace duratura. Adesso accontentiamoci di goderci lo spettacolare confronto tra le migliori atlete e i migliori atleti del mondo, nella speranza che le azzurre e gli azzurri tornino in Italia con un copioso numero di medaglie.