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Rancore sociale

Guido Colomba

Se ne è accorto anche Paul Krugman, il premio nobel americano, fortemente anti-Trump. A dieci anni dalla crisi l'Europa si è ripresa ed ha salvato l'euro. Nel 2008 quasi nessuno negli Stati Uniti avrebbe scommesso un dollaro sulla sopravvivenza dell'euro. Ed ha citato le famose tre parole di Draghi che hanno salvato l'euro: "Whatever it takes". Il mutamento si è riflesso anche sullo scenario pre- elettorale italiano. Forse per la prima volta, tutti gli osservatori, di destra, di centro e di sinistra, stanno facendo le pulci alle promesse elettorali, quasi tutte destinate in caso di attuazione ad aggravare il debito italiano. Sarà bene ricordare che, in soli tre anni, il debito è aumentato di 120 miliardi di euro ad un ritmo medio di quaranta miliardi l'anno (nonostante ciò gli investimenti pubblici sono crollati del 30 per cento...). "Vi è stata una svalutazione interna - osserva Paul Krugman -da parte di Paesi che negli anni precedenti alla crisi sono stati sopravvalutati a causa degli imponenti afflussi di capitali e dell'inflazione". A cominciare dalla Spagna, seguita da Grecia, Italia e Portogallo. Di fatto l'Europa meridionale ha pagato un prezzo altissimo. Alla fine, dopo una transizione dolorosa, la svalutazione interna ha funzionato. "La vera sorpresa - afferma Krugman - é stata di natura politica: la volontà delle élite al potere di pagare questo prezzo anziché rompere con l'euro". Con il risultato che, a distanza di dieci anni, l'Europa è tornata ad essere un sistema economico funzionante con la valuta che si sta rafforzando nei confronti del dollaro. Cosa ci riserva il futuro postelettorale? Secondo Jacques Attali, economista e consigliere di quasi tutti i presidenti francesi, "le decisioni importanti della vita si prendono nell'interesse dei figli. L'economia è positiva solo quando va a beneficio delle generazioni future oltreché della nostra". L'economia sociale (sostenibile) rappresenta oggi il 10% dell'economia mondiale ed è in rapida ascesa. Inoltre, Attali prevede che il "crowd funding" (finanziamento diretto alle imprese dei singoli risparmiatori) salirà a 1000 miliardi di dollari già entro il 2020. Per l'economista Lucrezia Reichlin "un governo ha due modi di incidere: (1) investendo sulla qualità del sistema educativo, grande assente nei programmi elettorali. (2) Formulando un programma che favorisca l’adozione delle nuove tecnologie basato su incentivi, azione regolamentare ed infrastrutture". Su questo il governo uscente si è cominciato a muovere con la cosiddetta “Industria 4.0”. Ed è significativo che Confindustria, abbandonando per la prima volta le richieste di nuovi sgravi fiscali, abbia proclamato a gran voce alle assise di Verona, l'esigenza di una seconda stagione di riforme per l'Italia trovando piena concordanza con il premier Gentiloni. Dunque, un "soccorso" tempestivo degli imprenditori in presenza di una politica che non funziona. Tutto bene? Non proprio. La recente riunione del Gruppo dei Venti, presieduto e animato dall'economista Luigi Paganetto, ha fatto emergere due verità. (a) la politica di bilancio è sempre vista, sia con governi di destra che di sinistra, sul lato delle entrate. La dinamica e la struttura delle spese vengono dopo confermando così la occasionalità delle decisioni di spesa; (b) ciò porta alla seconda verità, quella legata alla precarietà della finanza pubblica spesso giudicata sull'"orlo del precipizio". Un elemento che spiega il perché dei costanti ritardi nei pagamenti della P.A in tutte le direzioni persino verso i rimborsi per le spese relative all'accoglienza degli immigrati. Un affanno che alimenta il "rancore sociale" richiamato dal sociologo De Rita.