Alberto
Pasolini Zanelli
Un abbraccio e
un “mani in alto”. Messi assieme per creare una specie di festival dello stile
politico dell’uomo della Casa Bianca, che è riuscito a incollare dentro poco
più di un giorno due dichiarazioni politiche destinate ad avere una forte
risonanza. La prima riguarda l’Italia e consiste in una specie di fidanzamento
fra Donald Trump e Giuseppe Conte, non sorprendente se non per il suo calore e
costituisce, soprattutto nel tono, una novità. Il secondo è un messaggio che
non presenta nulla di realmente nuovo ma cerca, probabilmente riesce, di
incollare nello stesso discorso una apparente novità, che è un’offerta ai
governanti di Teheran ricalcata su quella ribadita da lunghi mesi al dittatore
nordcoreano Kim Jong-un. Consiste in una promessa quasi esattamente formulata
nello stile dei messaggi a Pyongyang: “Parliamoci, io sono pronto in qualsiasi
forma e in qualsiasi momento”. Ma non ci sono promesse e non si ritrovano
novità. Le differenze, infatti, sono, concretamente, decisive in assenza di
quella alternativa di toni in Corea che ha caratterizzato lo stile diplomatico
del neopresidente Usa nei primi due anni della sua presenza alla Casa Bianca.
Costellata di minacce, però associate più frequentemente a promesse almeno una
delle quali mantenuta: il vertice a Singapore all’insegna della cordialità e
dei segnali alternati di proposte. Una “generosità” non comune, soprattutto
perché si è mostrata dopo che l’interlocutore aveva pronunciato un passo di
risonanza mondiale: “Cari amici, mi sto facendo l’arma nucleare. Vedete un po’
voi che cosa potete offrirmi per ottenere qualche sconto” e avviare delle
trattative fra Pyongyang e Washington, che erano non si erano mai aperte in
mezzo secolo dopo una guerra, arenata poi in mancanza di un armistizio e dalla
più volte ribadita intenzione di non chiedere e non offrire concessioni.
Ricordiamo invece come questa fase si è conclusa: senza risultati concreti per
ora, ma con l’intenzione manifesta di andare avanti al di là perfino di un
dialogo e di valutazioni politiche e umane della democrazia americana nei
confronti dell’ultimo e più bellicoso dittatore comunista.
Nel “testo” di
oggi rimane solo la disponibilità a parlarsi, ma in tempi meno serrati e con un
concreto cambio di indirizzo. Trump ha meno fretta anche in seguito ai
promettenti sviluppi, anche perché sembra deciso a cambiare l’interlocutore,
essendosi convinto dei ripetuti moniti dei suoi più diretti collaboratori,
soprattutto militari, che l’Iran non è la Corea del Nord anche perché al suo
vertice non c’è un “comandante” unico: il presidente Rouhani, l’uomo politico
eletto che più volte ha manifestato interesse preferenza per riprendere il
dialogo con l’America, bensì il leader “religioso” Khamenei, che non ha mai
nascosto la propria convinzione che in una forma o nell’altra, la guerra degli
anni Cinquanta continuerà.
Washington, che
ha condotto per mesi una politica di “pacificazione” condita però da un
ultimatum che consiste nel mantenere le condizioni presenti nel documento
complessivo di richieste e di sanzioni firmato al termine del lungo “confronto”
fra nove nazioni, sette delle quali considerano le clausole e le promesse come
mantenute, mentre all’America interessa quella respinta. Di qui i continuati
moniti e minacce, ribaditi e riassunte nelle ultime ore nel testo di un
messaggio inviato al presidente Rouhani: “Mai, mai minacciare nuovamente gli
Stati Uniti, altrimenti soffrirete conseguenze senza uguali nella storia. Noi
non siamo più un Paese che sopporta le Sue parole demenziali di violenza e di
morte. State attenti”.
L’Iran non ha
ancora risposto e non sembra scosso né spaventato. Il suo ultimo messaggio
viene da un portavoce di Khamenei: “Non ci lasciamo impressionare. Il mondo ha
sentito (da Trump) parole ancora più violente pochi mesi fa in una escalation
di minacce alla Corea del Nord. Gli iraniani si sono abituati a questo
linguaggio per quarant’anni. E sono stati testimoni di migliaia di imperi,
incluso il nostro, che hanno preteso da altri Paesi più della vita. State attenti!”.