L’Italia ha avuto un presidente del consiglio che pagava Cosa nostra mentre sedeva a Palazzo Chigi. E non negli anni Cinquanta, ma almeno fino alla fine del 1994 quando la mafia aveva già mostrato il suo volto più feroce: aveva fatto a pezzi Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Paolo Borsellino, otto agenti di scorta, dieci civili, comprese due bambine. Quel presidente del consiglio si chiama Silvio Berlusconi ed elargiva denaro ai mafiosi sempre nello stesso modo: tramite il fido Marcello Dell’Utri. Ne sono sicuri i giudici della corte d’Assise di Palermo. E lo scrivono nelle motivazioni della sentenza che ha condannato l’ex senatore di Forza Italia a dodici anni di carcere alla fine del processo sulla Trattativa tra pezzi dello Stato e Cosa nostra.
L’ex parlamentare – recentemente scarcerato per motivi di salute – è stato condannato per violenza o minaccia a un corpo politico, amministrativo o giudiziario dello Stato. Ha cioè trasmesso al primo governo della Seconda Repubblica la minaccia di Cosa nostra: la promessa di altre bombe e altre stragi se non fosse cessata l’offensiva antimafia dell’esecutivo. Che in qualche modo cede. E inserisce una piccola leggina pro mafia in un decreto legge che non aveva visto nessuno. Ma della cui esistenza Vittorio Mangano fu informato da Marcello Dell’Utri. Che di quel governo non faceva parte.
“Berlusconi sapeva dei contatti tra Dell’Utri e Cosa nostra” – D’altra parte quell’esecutivo minacciato dai boss era presieduto da un uomo che i boss li paga da anni. Almeno fino al 1992, diceva la Corte di Cassazione che ha condannato in via definitiva Dell’Utri per concorso esterno. I giudici presieduti da Alfredo Montalto, però, la pensano diversamente. Ci sono “ragioni logico-fattuali che conducono a non dubitare che Dell’Utri abbia effettivamente riferito a Berlusconi quanto di volta in volta emergeva dai suoi rapporti con l’associazione mafiosa Cosa nostra mediati da Vittorio Mangano (ma, in altri casi, anche da Gaetano Cinà). Il fatto che Berlusconi fosse stato sempre messo a conoscenza di tali rapporti è, d’altra parte, incontestabilmente dimostrato dal ricordato esborso, da parte delle società facenti capo al Berlusconi medesimo, di ingenti somme di denaro, poi, effettivamente versate a Cosa nostra. Dell’Utri, infatti, senza l’avallo e l’autorizzazione di Berlusconi, non avrebbe potuto, ovviamente, disporre di così ingenti somme recapitate ai mafiosi”, scrivono nelle 5252 pagine delle motivazioni della sentenza depositate nel giorno dell’anniversario della strage di via d’Amelio.
“Da Berlusconi soldi a Cosa nostra fino al dicembre del 1994” – Il fatto che Berlusconi pagasse Cosa nostra, come detto, era noto ma fino ad oggi ritenuto provato solo fino al 1992, cioè prima dell’inizio delle stragi e a due anni dall’impegno politico dell’imprenditore. “È determinante rilevare che tali pagamenti sono proseguiti almeno fino al dicembre 1994 quando a Di Natale fu fatto annotare il relativo versamento di L. 250.000.000 nel libro mastro che in quel momento egli gestiva, perché ciò dimostra inconfutabilmente che ancora sino alla predetta data (dicembre 1994) Dell ‘Utri, che faceva da intermediario, riferiva a Berlusconi riguardo ai rapporti con i mafiosi, attenendone le necessarie somme di denaro e l’autorizzazione a versare e a Cosa nostra”.
Il pentito: “Soldi dal serpente”. Cioè dal Biscione – I giudici si riferiscono a Giusto Di Natale, pentito della famiglia di Resuttana che ha raccontato di come Cosa nostra etichettasse con la parola “sirpiente” – cioè dal siciliano, serpente – il denaro ricevuto come “pizzo” dalle aziende dal Biscione e cioè da Berlusconi. “Una volta venne il Guastella (il killer Pino Guastella ndr) , non mi portò il denaro, ma mi disse di annotare 250 milioni di lire, dice: Scrivici u sirpiente, che queste sono le antenne televisive di Berlusconi che si trovano a Monte Pellegrino. Il serpente stava per il Biscione, insomma, volgarmente il Biscione che c’era nella pubblicità di Mediaset e invece di scrivere Biscione mi ha detto scrivi u sirpiente, in siciliano, per capire che si trattava delle antenne televisive”. A che periodo si riferisce Di Natale? “Siamo a fine anno, le grosse cifre entravano ogni volta a fine anno: ’94 siamo … nel fatto delle antenne televisive. Ogni gruppo di estorsioni, ogni estorsione aveva il suo referente diciamo”. E il referente di quell’estorsione è Vittorio Mangano.
“Dell’Utri parlava con Mangano parlava di legge” – Se Dell’Utri è la cinghia di trasmissione della minaccia di Cosa nostra al governo Berlusconi, nel 1994 Mangano – lo stalliere di Arcore – rappresenta direttamente la volontà della Piovra. “Dell’Utri interloquiva con Berlusconi anche riguardo al denaro da versare ai mafiosi ancora nello stesso periodo temporale (1994) nel quale incontrava Vittorio Mangano per le problematiche relative alle iniziative legislative oggetto dei suoi colloqui con il medesimo Mangano, così che non sembra possibile dubitare che Dell’Utri abbia informato Berlusconi anche di tali colloqui e, in conseguenza, della pressione o dei tentativi di pressione che, come si detto, anche secondo la Corte di Cassazione, erano inevitabilmente insiti negli approcci di Vittorio Mangano e che, altrettanto inevitabilmente per la caratura criminale dei richiedenti, portavano seco l’implicita minaccia di ritorsioni, d’altra parte, già espressamente prospettata, come si è visto sopra, durante la precedente campagna elettorale”. Per i giudici è il passaggio fondamentale, cioè la prova che effettivamente il governo Berlusconi percepì la minaccia mafiosa.
Le leggi a favore dei boss raccontate “in anteprima” ai boss – Talmente tanto che – in almeno un’occasione – il primo esecutivo guidato da Forza Italia portò avanti iniziative legislative favorevoli a Cosa nostra. E Cosa nostra venne informata prima degli stessi ministri del governo Berlusconi. “Ci si intende riferire al fatto che in quella occasione del giugno – luglio 1994 Dell’Utri ebbe a riferire a Mangano ‘in anteprima’ di una imminente modifica legislativa in materia di arresti per gli indagati di mafia (lo racconta il pentito Salvatore Cucuzza: “Per quanto riguardava il 416 bis, per quanto riguarda l’arresto sul 416 bis c ‘era stata una piccola modifica … “) senza clamore, o per meglio dire nascostamente tanto che neppure successivamente fu rilevata, inserita nelle pieghe del testo di un decreto legge che rimase pressoché ignoto, nel suo testo definitivo, persino ai Ministri sino alla vigilia, se non in qualche caso allo stesso giorno, della sua approvazine da parte del Consiglio dei Ministri del Governo presieduto da Berlusconi”. In pratica Mangano sapeva di modifiche di legge decise dal governo prima che ne fossero informati gli stessi ministri. Di che cosa si parla? “È stato effettivamente riscontrato che tra le pieghe nascoste del decreto 14 luglio 1994 n. 440, v’era anche una ‘piccola modifica‘ dell’art. 275 c.p.p. nella parte in cui stabiliva che per il reato di cui all’art. 416 bis c.p. dovesse essere sempre applicata la misura della custodia cautelare in carcere salvo che non fossero acquisiti elementi tali da escludere la sussistenza delle esigenze cautelari. Si trattava, in sostanza, di quella presunzione di legge che, di fatto, imponeva sempre il carcere per gli indagati di mafia arrestati”. Tradotto: Mangano sapeva prima di molti ministri che il governo voleva alleggerire la norme antimafia e lo sapeva nonostante si trattasse di una norma “mai pubblicizzata e, anche per la sua tecnicalità, non ricavabile dalla lettura di giornali”.
“Leggi anticipate a Mangano per provare il rispetto degli impegni” – Cosa nostra sapeva di proposte di legge che non conosceva nessuno. E lo sapeva perché gliele raccontava Dell’Utri. “A ciò si aggiunga che quel decreto legge era stato deciso per intervenire su reati del tutto diversi da quelli di mafia (v. anche testimonianza Maroni, già riportata,a proposito della sua sorpresa quando gli fu fatta notare dal Procuratore Caselli la modifica concernente la comunicabilità delle iscrizioni nel registro degli indagati: “E io gli chiesi: come è possibile, che cosa c’entra la corruzione e la concussione, la custodia cautelare?”) e che, pertanto, non vi era ragione per la quale un soggetto estraneo al Governo, qual era Dell ‘Utri, fosse informato sino ai più minuti – e, si ripete, nascosti – dettagli di quel provvedimento idonei ad incidere anche sui reati di mafia”, sottolineano i giudic. E ancora: “Ora, il fatto che, invece, Dell’Utri fosse informato di tale modifica legislativa, tanto da riferirne a Mangano per provare il rispetto dell’impegno assunto con i mafiosi, dimostra ulteriormente che egli stesso continuava a informare Berlusconi di tutti i suoi contatti con i mafiosi medesimi anche dopo l’insediamento del Governo da quest’ultimo presieduto, perché soltanto Berlusconi, quale presidente del Consiglio, avrebbe potuto autorizzare un intervento legislativo quale quello che fu tentato con l’approvazione del decreto legge del 14 luglio 1994 n. 440 e, quindi, riferirne a Dell’Utri per “tranquillizzare” i suoi interlocutori, così come il Dell’Utri effettivamente fece”.
“B. destinatario finale” – Cosa vuol dire tutto questo? “Si ha definitiva conferma, pertanto, che anche il destinatario finale della pressione o dei tentativi di pressione, e cioè Berlusconi, nel momento in cui ricopriva la carica di Presidente del Consiglio dei Ministri, venne a conoscenza della minaccia in essi insita e del conseguente pericolo di reazioni stragiste (d’altronde in precedenza espressamente già prospettato) che un’inattività nel senso delle richieste dei mafiosi avrebbe potuto fare insorgere”. Silvio Berlusconi, presidente del consiglio, già definito “utilizzatore finale” e da oggi anche destinatario finale della pressione di Cosa nostra. Pagata anche dopo le stragi. Dall’uomo che sedeva a Palazzo Chigi. È nata così la Seconda Repubblica italiana.