Politica estera ed esercito comune europeo per decidere e difenderci insieme
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 24 novembre 2019
Poche settimane fa il Presidente Macron, in una dirompente intervista all’Economist, ha puntato il dito sulla progressiva e inarrestabile crisi della NATO e sulla necessità di una politica europea di difesa comune, resa più urgente dalle recenti divergenze tra le due sponde dell’Atlantico su problemi di vitale importanza come il riscaldamento climatico, il trattato di non proliferazione con l’Iran, l’attacco turco contro i curdi in Siria e le tensioni commerciali.
Macron, a parte la crudezza dei termini usati, ha perfettamente ragione quando dichiara che la NATO deve essere radicalmente riformata e l’Unione Europea deve assumere la responsabilità di costruire una propria politica estera e di difesa.
Mentre siamo grati a Macron di avere sollevato il problema con tanta crudezza, dobbiamo tuttavia constatare che la politica francese, anche negli ultimi anni, si è radicalmente discostata da questi obiettivi: pur tenendo conto della modesta rilevanza italiana, Macron è intervenuto nella politica interna del Libano (dove i nostri soldati sono da molti anni i principali garanti di una difficile pace) senza nemmeno parlare al nostro governo.
È difficile poi dimenticare come il Presidente francese abbia ordinato di bombardare la Siria senza farne parola alla Germania.
Risulta infine di dubbia interpretazione l’ambiguo comportamento della Francia nella guerra di Libia. Almeno nel quadrante mediterraneo e africano, che più di ogni altro interessa alla Francia, l’identità nazionale ha fatto premio sui propositi europei: fino a qui nulla di nuovo nella storia dei comportamenti dei nostri cugini d’oltralpe.
Tuttavia tre giorni fa il ministro della difesa francese, la signora Florence Parly, ha chiesto agli europei un aiuto comune nel portare avanti l’azione militare che la Francia sta sostenendo da sei anni in Mali per contenere senza successo i gruppi armati islamici che, nonostante la nostra speranza di prevalere nella lotta contro il terrorismo, stanno invece dilagando in tutti i paesi a sud del Sahara.
La ministra francese ha infatti perfettamente ragione quando sostiene che questa crescente offensiva delle milizie islamiche costituisce un pericolo mortale per la sicurezza e gli interessi vitali dell’Europa.
Il problema nasce dal fatto che un’azione europea contro il terrorismo (così impegnativa, così gravosa in termini di costi e così rischiosa in termini di vite umane) può essere portata avanti solo se fondata su una politica comune.
Per rimanere nello stesso ambito territoriale africano conviene infatti ricordare che, seppure in una dimensione assai minore, è stato rifiutato l’aiuto offerto dal nostro governo al Niger assediato dai terroristi perché avrebbe potuto mettere in discussione il ruolo fino ad allora giocato dall’esercito francese. Deve essere quindi chiaro che, se noi europei vogliamo avere un futuro, dobbiamo operare insieme. Deve essere tuttavia altrettanto chiaro che la solidarietà nasce non solo dalla condivisione di pur nobili obiettivi (come la lotta contro il terrorismo) ma da politiche decise in comune.
È infatti impossibile mettere in atto un’operazione militare congiunta in qualsiasi paese del Mediterraneo o dell’Africa se i rapporti con quel paese vengono gestiti in modo esclusivo da un solo governo europeo.
Questo è l’ostacolo che maggiormente si oppone alla costruzione di una politica estera e della difesa europea, anche se, nella comune opinione, si pensa che l’ostacolo sia soprattutto costituito dai costi necessari per mettere in atto tale politica.
I costi non sono certo trascurabili, ma sono alla nostra portata. Basti tenere presente il ruolo che gioca oggi la Russia nel campo militare anche se il suo PIL si colloca fra quello spagnolo e quello italiano e, quindi, a meno di un settimo di quello dell’Unione Europea. Per non parlare della Turchia, che è divenuta potenza regionale con un PIL che è poco più della metà di quello russo.
Possiamo anzi sottolineare che, almeno in una prima fase, i costi di un esercito comune europeo sarebbero compensati dai risparmi su quanto oggi si spreca in conseguenza delle attuali disfunzioni organizzative e della mancata standardizzazione degli armamenti.
Non ci dobbiamo quindi stupire che nel primo incontro tra i ministri francese e tedesco, dopo l’intervista di Macron all’Economist, non si sia fatto alcun sostanziale passo in avanti sui problemi della difesa, trovando la convergenza solo su un possibile accordo per la creazione di una Commissione di esperti delegati ad approfondire gli elementi di conoscenza sui problemi strategici.
Quando un incontro politico finisce con la proposta di formare una Commissione per approfondire problemi già ampiamente conosciuti, significa che siamo ben lontani da una qualsiasi soluzione. Per difenderci insieme dobbiamo infatti decidere insieme.