Alberto Pasolini Zanelli
È stato lungo e difficile
accordarsi su qualcosa che riguarda il procedimento di impeachment
contro il presidente Trump, ma almeno le due parti (e i “giudici”) sono stati
puntuali. Alle 10 di ieri mattina erano tutti pronti in una sala spaziosa e
fastosa; alcuni testimoni disposti a “parlare”, altri cui ciò è proibito dai “superiori”
alla Casa Bianca. Fra i più attesi, un magistrato di tendenze democratiche,
Daniel Goldman, che è già stato “inquisitore federale” a New York. I repubblicani
gli mettono contro Steve Castor, “ispettore” della Camera dal 2005. Nessuno dei
due è atteso a interrogare personalmente in aula il presidente o i suoi più
intimi collaboratori. Se ci arriveranno, si dovrà aspettare forse settimane. La
“linea” dei repubblicani è infatti di negare le “evidenze” che gli accusatori
hanno presentato e presenteranno. Un compito non facile per nessuno, che
richiede molto zelo e molta pazienza.
Il documento di partenza copre
diciotto pagine ed è scritto dai difensori: si apre infatti con l’accusa di
avere mancato la promessa del principale accusatore democratico. L’interrogativo
principale è se Trump abbia subito realmente le pressioni del primo ministro
ucraino Volodymyr Zelensky, aprendo così un procedimento di do ut des. Un
altro molto atteso è John Bolton, il più noto “falco” di tutte le
amministrazioni repubblicane, ma ogni volta allontanato prima o poi per i suoi
consigli giudicati troppo aggressivi. Ciò è accaduto anche a Trump su argomenti
che non si limitano all’Ucraina ma anche al Medio Oriente, in particolare all’Iran.
Bolton non ha finora deciso se presentarsi oppure no, accontentando in un caso
gli accusatori e nel caso opposto dare un’energica stretta di mano al
presidente. Situazioni come questa si ripeteranno per parecchi giorni,
praticamente tutti quelli in cui durerà l’inchiesta. Le parole più severe,
finora, sono state pronunciate dalla presidente della Camera Nancy Pelosi, che
ha citato le “offese degne di impeachment, che vanno dalla corruzione al
tradimento”; accenno alle trattative col presidente ucraino e con diversi
intermediari, fra cui presumibilmente il figlio dell’ex presidente Joseph Biden,
già durante la campagna elettorale del 2016. È una delle strade che la difesa
ha chiuso più saldamente perché la più pericolosa per Trump, che la Pelosi definisce
così: “Il presidente deve pagare lo scotto, perché nessuno è al di sopra della Legge
e lui la ha violata, ha tradito il suo giuramento al momento di assumere la
carica di presidente, la nostra politica estera, la sicurezza nazionale e l’integrità
del nostro sistema elettorale”. Va ricordato che la presidente della Camera
fino a pochi giorni fa aveva parlato ripetutamente contro l’ipotesi dell’apertura
sollecita del procedimento di impeachment, mettendo in guardia i suoi
colleghi di partito che ne sarebbe scaturita una “rissa” che avrebbe “distratto”
gli elettori e coloro che hanno il compito di esporre le proposte legislative e
il nuovo quadro politico secondo le vedute del Partito democratico che devono essere
in primo piano durante l’intera campagna elettorale che si conclude fra
esattamente un anno. Ma le pressioni dei deputati che l’hanno eletta presidente
della Camera, mettendola praticamente al posto di leader di tutto il partito
fino a quando non sarà stato scelto il candidato alla Casa Bianca, carica cui
Nancy non aspira. Anche perché ritiene che i democratici potranno avere dei
vantaggi spostando il fulcro delle loro polemiche dal campo dei principii
morali e costituzionali a quello dell’interesse immediato degli elettori. Non a
caso le polemiche interne nelle varie “pre elezioni” si concentrano in questi
giorni e settimane sul programma avanzato dalla senatrice Elizabeth Warren di istituire
una tassa sui patrimoni dei miliardari, con due scopi: ricostruire il sistema
scolastico abolendo i privilegi e istituire un servizio medico nazionale. Ma di
queste cose, e di altre, si potrà discutere meglio quando la battaglia dell’impeachment,
cominciata ieri mattina, sarà conclusa in un modo o nell’altro.