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Bill de Blasio, nuovo sindaco di NYC



Alberto Pasolini Zanelli
Il Partito Democratico – quello Usa – ha da qualche ora due eroi. Il primo si gode il sole, il secondo spala la neve. Barack Obama, presidente e leader, ha inaugurato il 2014 nel luogo anche climaticamente più remoto dalle stanze del potere di Washington. Bill de Blasio ha assunto la carica che viene spesso definita come seconda per importanza negli Stati Uniti: quella di sindaco di New York. E i maggiorenti del partito si sono stretti accanto a lui, nel gelo, dimenticando un po’ anche il loro “comandante in capo” che si è preso qualche giorno di riposo. Lui, de Blasio, ha cominciato a lavorare duro non appena ha prestato giuramento in una cerimonia che, anche per la profusione di neve e di ghiaccio, è stata molto vicina alle coreografie natalizie. Quando ha preso la pala in mano  per una variazione “polare” della posa della prima pietra, ha ricevuto tutti gli onori riservati a un leader. Gli ha “somministrato” il giuramento addirittura un ex presidente, Bill Clinton, fiancheggiato da esponenti storici, a cominciare dal governatore dello Stato di New York, Mario Cuomo.
Little Italy nella Grande Mela, ma è stato di più di un festival etnico. L’uomo che discende (da parte di madre perché il padre è tedesco) si è presentato però come rappresentante di tutte le minoranze, soprattutto di quelle più disagiate, come portavoce di una protesta globale e soprattutto dei non privilegiati. L’oratore più illustre era il “neodemocratico” Clinton, ma la Bibbia su cui de Blasio ha giurato apparteneva a Franklin Delano Roosevelt, l’icona dei “veri democratici” nella tradizione “liberale”. Se impugnando la pala da neve il nuovo sindaco ha voluto “plagiare” i simbolismi di Papa Francesco, il suo discorso inaugurale, soprattutto l’atmosfera in cui era avvolto, è stato una rivendicazione degli ideali e delle opere del New Deal. Un riferimento storico quasi d’obbligo, perché collega due Americhe attraverso un ponte di ottant’anni: dalla Grande Depressione degli anni Venti e Trenta al faticoso rialzarsi dalla Grande Recessione del 2008. E con un altro collegamento ancor più evidente: l’allargamento rapido e a tratti vertiginoso delle distanze di reddito fra gli americani, che sacrificano soprattutto la classe media ma in una città come New York coinvolgono più visibilmente quelli che il sindaco Bill chiama i poveri come Papa Francesco.
Sul piano della politica pratica l’avvento di de Blasio indica un possibile spostamento del baricentro ideologico e strategico. Quello di Obama è moderatamente “liberale” in un arduo equilibrio e per la successione si offre, quasi come scontata, la candidatura di Hillary Clinton, più moderata che liberale e che segnerebbe, per esempio in politica estera, uno spostamento verso il centro. de Blasio non può avere evidentemente ambizioni di concorrente ma rappresenta e propone un’alternativa decisamente “liberale”, in termini italici, una svolta a sinistra. La ricerca di un confronto anche duro con i repubblicani che da tempo si vanno spostando verso destra. Ci sono sempre meno “moderati” in America, il centro continua ad essere uno spazio largo ma sempre più vuoto. Per rimanere a New York de Blasio, eletto con quasi i tre quarti dei voti, è il primo sindaco democratico dopo vent’anni di repubblicani alla guida del comune. I suoi predecessori, peraltro apprezzati e di successo, sono stati il competentissimo Michael Bloomberg e Rudy Giuliani, incarnazione di Legge e Ordine. de Blasio capovolge le priorità e si presenta fra l’altro con due impegni: attenuare certe pratiche poliziesche e “aumentare le tasse ai ricchi” per redistribuire le risorse. Proprio quegli obiettivi che i repubblicani hanno a torto attribuito a Obama, uomo in realtà molto cauto. Ciò di cui egli era sospettato de Blasio lo proclama e lo propone come strategia alternativa anche per la Casa Bianca nel 2016 ma soprattutto per le elezioni congressuali di quest’anno. Egli è pronto a cavalcare alcune delle onde più gonfie di questa America contraddittoria, che assottiglia gli stanziamenti per i disoccupati ma galoppa su nuove leggi “progressiste”, dalle nozze fra omosessuali alla legalizzazione della marijuana. Continua la radicalizzazione della politica Usa. Se i repubblicani si sono spostati per anni sempre più a destra, pare oggi che i democratici vogliano incamminarsi sulla stessa via ma in direzione opposta. Sognano forse un’America simile alle Hawai delle vacanze presidenziali: lo Stato che lo ha votato con più larga maggioranza, nella cui assemblea siedono ventitré democratici e due repubblicani. New York non è così: Bill de Blasio ne avrà di neve da spalare.
pasolini.zanelli@gmail.com