Alberto Pasolini Zanelli
Questa volta sembra
proprio cosa fatta. Solo un primo passo, ma nella direzione giusta. Dopo tre
anni di una guerra civile che ha insanguinato la Siria, inquinato i Paesi
vicini e minacciato di destabilizzare ulteriormente la regione del mondo che
meno ne avrebbe bisogno, i contendenti si ritrovano attorno a un tavolo.
Lontano dalle rovine di Aleppo, dalle imboscate nelle strade, dalle bombe nelle
piazze e nelle moschee, dai villaggi cristiani minacciati. Ci sono i
rappresentanti di quelli che in altre situazioni si potrebbero chiamare il
Governo e l’Opposizione e che qui sono eserciti nemici. I loro “generali” si
parlano, anche se chiamano le trattative con nomi differente. Gli estremisti
fra gli oppositori di Assad cercano ancora di far credere che il dittatore “è
venuto ad arrendersi”, i ministri e i diplomatici del dittatore dipingono la
loro presenza come la partecipazione a una seduta di studio sul terrorismo. Esperti
di guerriglia e repressione, non sono neppure del tutto digiuni del gergo
diplomatico e delle public relations.
Non sono fatti per capirsi ma forse cominciano a capire che in qualche modo
bisognerebbe farla finita, magari senza confessarlo, cominciare a “spegnere” la
guerra forse prima ancora di firmare un armistizio.
Glielo consigliano
in tanti.Non si sa ancora se il tavolo dei negoziati sarà proprio tondo, ma
certo deve essere largo: per un motivo o per l’altro ci devono essere seggiole
per tanti. Cominciando naturalmente dal regime di Damasco, ma senza sperare di
accogliere tutti i leader delle opposizioni, tanti e tanto divisi. Da tempo
sono più numerosi gli scontri fra i gruppi ribelli rivali, che non con le forze
armate del regime che tutti dicono di voler abbattere. Si sono azzuffati fino
all’altro ieri anche nel loro “stato maggiore” comune. Del centinaio circa di
membri della coalizione, 58 si sono convinti della necessità di partecipare ai
negoziati: 14 hanno o si sono astenuti o hanno boicottato l’intera operazione. I
meno convinti cercano di convincere gli altri che il tavolo delle trattative potrebbe
avviare la fine del regime e del dominio personale di Assad. Molto, se non
tutto, sembra indicare il contrario e cioè che i negoziati partano invece,
magari tacitamente, dalla previsione che Assad per il momento rimarrà al potere
in conseguenza degli sviluppi a lui favorevoli negli ultimi mesi sia sul
terreno militare, sia su quello diplomatico. È ormai da un anno che l’esercito
a lui fedele è alla controffensiva in gran parte del territorio,contemporaneamente
a un indebolimento di quelle “moderate” e un rafforzamento, invece, degli
integralisti, anch’essi divisi da aspre rivalità, non solo a causa della
massiccia presenza di formazioni appartenenti ad Al Qaida ma anche per la
rivalità tra i due principali finanziatori in campo sunnita, l’Arabia Saudita e
il Qatar.
Hanno voce in
capitolo, naturalmente, gli sponsor occidentali, sia pure in misura diversa. I
“falchi” erano all’inizio la
Francia e la Gran Bretagna,
cui sono parsi accodarsi, in un déjà vu
dell’intervento in Libia, gli Stati Uniti. Obama è stato sul punto di un
intervento militare, che aveva anzi già annunciato cogliendo l’occasione dalla
scoperta della presenza di gas chimici in Siria e da cui poi si è ritratto
quando la Russia
ha avviato una fattiva mediazione che è nell’interesse di quasi tutti.
L’infaticabile Kerry ha poi inserito il dramma siriano in un labirinto di
mediazioni che includono un po’ tutta quell’area del mondo, dalla Palestina
all’Iran, con cui sono state avviate altre trattative e che contemporaneamente
potrebbe essere un “suggeritore” il governo di Damasco. Assumono un piccolo
ruolo perfino la Germania
e la Spagna che
hanno mandato qualcuno a parlare con Assad, ufficialmente per informarsi sulla
sorte di alcuni cittadini europei dispersi in Siria ma qualcuno dice anche a
proporre al regime una cooperazione militare con Al Qaida. Al tavolo delle
trattative difficilmente se ne parlerà.
Anzi Obama ha
sentito il dovere di riesumare, per convincere gli oppositori a non boicottare
la conferenza l’idea che da un accordo
esca un governo di pacificazione e coalizione che escluda la persona di Assad. Parleranno
in molti, anche e soprattutto nella coscienza – e magari anche nella speranza –
di non essere presi alla lettera. La strada degli armistizi passa sovente
attraverso una valle di eufemismi e di bugie a fin di bene.