Alberto
Pasolini Zanelli
Se
la frequenza fosse l’equivalente dell’affluenza nel processo elettorale, si
potrebbe dire che l’Egitto è un Paese fervidamente democratico. Fra ieri e oggi
è tornato alle urne per la quarta volta in meno di tre anni, con traguardi che
si potrebbero definire ambiziosi: una ennesima, nuova Costituzione. In realtà
il pendolo, se batte sempre più in fretta, lo fa ogni volta nella direzione
opposta alla “restaurazione democratica” che era nei sogni di coloro che
accesero le luci della Primavera Araba. Restaurazione è, ma del regime
precedente a quel soffio di libertà e di emancipazione che per qualche tempo
sospinse le speranze di alcuni nel mondo arabo-musulmano e le illusioni di
molti in Occidente. E l’Egitto è, oggi come allora, il baricentro di quella parte
del pianeta.
Parlare
di restaurazione è non solo lecito ma obbligatorio. Non solo perché la pesante
mano dei militari è visibile nelle misure d’ordine che accompagnano le
votazioni e che in sé sarebbero giustificate data l’indubbia tensione che
circonda i procedimenti elettorali. Molte urne sono presidiate dai soldati,
nelle maggiori città ci sono stati incidenti, scontri con i Fratelli Musulmani,
raffiche di mitra a Giza, a due passi dalle vetuste Piramidi. Ma l’essenza non
è quella: conta di più il fatto che a votare ci vanno in pratica solo i
sostenitori del nuovo-vecchio regime. I Fratelli Musulmani boicottano la
consultazione, diretta contro di loro da coloro che li hanno scaraventati giù
dal potere e messi fuori dalla legge. Ha chiesto invece di partecipare al voto
Hosni Mubarak, tuttora in carcere come ex dittatore, che vuole una scheda per
scriverci il suo “sì” al governo attuale. Il risultato non potrà dunque che
essere plebiscitario e costituire un ulteriore passo, più lungo degli altri,
verso la reinstallazione al Cairo di un regime più autocratico e
prevedibilmente più repressivo di quelli che l’Egitto ha conosciuto negli
ultimi decenni.
Fra
le “innovazioni” che i cittadini sono stati chiamati a ratificare nella nuova
Costituzione c’è ad esempio l’esenzioni dell’esercito, della polizia e dei
servizi segreti dal controllo delle autorità civili, e anzi l’“autorizzazione”
di questi organi di sottoporre i civili a processi di Corte Marziale.
L’opposizione raccomanda l’astensione e non può fare altro perché quando ha
tentato di propagandare il “no” è incorsa in arresti e persecuzioni. Le
dimostrazioni pubbliche, poi, sono state proibite per tutta la cosiddetta
campagna elettorale.
Né
sotto il torchio si trovano solo gli islamisti, sia dei Fratelli Musulmani
vincitori delle ultime elezioni, sia di altre organizzazioni più radicali di
tendenze salafite: almeno quattro leader della famosa rivoluzione “primaverile”
del 2011 contro la dittatura di Mubarak sono finiti in carcere e ogni voce di
opposizione è stata imbavagliata. Un partito di opposizione laica, Forte
Egitto, ha tentato di organizzare una campagna per il “no” ma ha desistito
quando hanno cominciato ad essere arrestati i suoi militanti. “Il nuovo regime
– ha commentato il suo leader Ahmed Salem – non ci offre che il ritorno a
Mubarak senza Mubarak, alla corruzione e al bavaglio”. Questo referendum,
infatti, è anche il prologo all’elezione del nuovo presidente secondo la nuova
Costituzione, che sarà quasi certamente il generale Abdel-Fattah al-Sisi.
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