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Vertice Ue, crescita e politica industriale


di Guido Colomba

Crescita e politica industriale. Per la prima volta Angela Merkel affronta un vertice Ue in una situazione nuova e difficile. Per la debolezza della Francia, per l'ostilità di Cameron (che non vuole vedere nemmeno le bandiere europee), per l'ingresso di una nuova leadership, quella di Matteo Renzi. Non è vero che i toni di Renzi siano soft o di basso profilo. Il discorso pronunciato alla Camera è stato studiato in controluce da tutte le cancellerie europee. Berlino in primis. La frase di Renzi è quanto mai perentoria: "Viola il patto di stabilità chi non parla di crescita". Sta di fatto che il trattato Ue, stipulato nel 1997, porta il titolo "Patto di stabilità e crescita". Se qualcuno ha sbagliato ora deve fare un passo indietro. Vi è una seconda grave carenza. Quella della mancata politica industriale che, dopo la tempesta finanziaria del 2008, si sta traducendo in una crescente deindustrializzazione. Un problema che non riguarda solo l'Italia (ha perso un quarto della produzione in sei anni) ma anche il resto d'Europa dove il peso globale del manifatturiero sul Pil è sceso del dieci per cento. La disoccupazione (24 milioni in tutta Europa) nasce da questa errata visione di privilegiare l'attività di servizi e finanza lasciando ad altri il ruolo industriale. Un errore tanto grave che, negli Usa, ha indotto la Casa Bianca, già tre anni fa, ad invertire la rotta con provvedimenti concreti: sconti fiscali, incentivi all'innovazione e alla ricerca. Una ricetta che sta già funzionando. Cosa ha fatto l'Europa? E' una domanda retorica visto che è stata ignorata la stessa direttiva Ue che, in otto anni, voleva elevare al 20% la quota del Pil industriale in Europa. Vi sono poi le aberrazioni attuative del patto di stabilità denunciate più volte dal Fmi e dalla Fed. Bruxelles ha avviato la procedura di infrazione perché l'Italia non paga i debiti arretrati alle imprese, che vengono bloccati proprio dal patto di stabilità (i Comuni ad esempio hanno in cassa 8,5 miliardi ma non li possono spendere). Schauble continua a parlare di rispetto dei vincoli però dall'Italia le casse europee hanno ottenuto ben 54 miliardi di euro per il salvataggio dei Paesi in crisi verso i quali le banche italiane non erano esposte se non in misura minima ma lo erano abbondantemente quelle tedesche e del Nord Europa. Dunque, dai "falchi" di Berlino vengono diffuse "false-verità" che i mass media, troppo "enbedded", si sono ben guardati dal denunciare. E' questo il senso del principio renziano di "parlare prima dei contenuti e poi delle nomine". Questo non significa dover regalare ai soliti Paesi il ponte di comando della Ue. Il Quirinale ha firmato i due decreti sulla riforma della PA (consente posti di lavoro per i giovani) e sulla competitività (start up e Pmi). A un magistrato (Cantone) è stato affidato il controllo sugli appalti presenti e futuri. Al tempo stesso, il cammino delle riforme del Senato e delle Autonomie prosegue con intensità. Dunque, Renzi va a Bruxelles con le carte in regola. E' sufficiente tutto ciò per dire che l'Italia è un Paese forte? Si può solo dire che Il Paese, a lungo compresso, ha voglia di ripartire. E' questo il senso del "rinascimento asimmetrico" che si profila all'orizzonte. I primi segnali: a) torna a crescere (+5,7%) l'export nei paesi extra europei. Il saldo dell'export manifatturiero colloca l'Italia tra i primi dieci del mondo e al secondo posto in Europa dopo la Germania. b) L'Italia è di nuovo appetibile per gli investitori esteri. c) Il patrimonio culturale è tornato ad essere considerato un asset che può contribuire al rilancio. Qualcosa si muove e un po’ di ottimismo non guasta.