Alberto Pasolini Zanelli
Se non fosse stata
tanto ricordata e tanto amata, si potrebbe dire che Nancy era morta tanti anni
fa, dal giorno in cui Ronald Reagan, presidente dell’America e del mondo per
otto anni, generale vittorioso in una Guerra Fredda senza vittime. Lui era
stato lentamente ucciso dall’Alzheimer, aveva dimenticato alla fine tutto, ma
lei è stata l’ultima di cui serbò qualche memoria. Erano una coppia unica, alla
vecchia maniera, più simile a quelle raffigurate nei film di quanto l’una e l’altro
erano attori che non alle vicende degli schermi di oggi. Quando tutt’e due
giravano film, quando lui si avventurava nella vita politica (come dirigente
sindacale, sia pure una categoria un po’ speciale come i lavoratori di
Hollywood), quando era governatore della California e poi presidente degli
Stati Uniti e poi pensionato alla fine immemore, erano la coppia più “coppia”
della storia della Casa Bianca. Secondo alcuni, anzi, Nancy “gli stava troppo
dietro”. Secondo lei faceva solo il mestiere di moglie, che “deve essere la
migliore amica del marito” e dunque seguirlo nel suo ambiente professionale,
ascoltare il suo genere di “pettegolezzi”, quelli che invece delle scappatelle
dei vicini di casa riguardavano i destini del mondo, incluse migliaia e migliaia
di testate nucleari.
Nancy dava anche
consigli? Indubbiamente sì. Ma non sì, di solito nel senso della moderazione ma
qualche volta anche nella fermezza. La politica estera pareva non fosse il suo
interesse più intimo, ma non è detto che Nancy vi fosse estranea. Una delle sue
ultime immagini pubbliche, scattata al funerale di Ronald, la vede con la mano
posata sulla bara con un solo vicino che compie lo stesso gesto e con i
lucciconi: era Mikhail Gorbaciov. Tanto longevi entrambi, i coniugi Reagan avevano
navigato diversi mari della vita. Figlio lui di un calzolaio, lei con un padre
adottivo, entrambi con una carriera cinematografica non proprio eccelsa.
Entrambi divorziati, uno dei loro film, fra i meno noti, riassume un po’ la
loro vita: di argomento bellico, lui fa il comandante di un sommergibile, lei
un’infermiera, molto, molto preoccupata. Tranne la parentesi della Casa Bianca,
vissero quasi sempre in California, anzi nella California del mito, che Ronald
adorava. In una frase rimasta storica, un po’ anche come allegra gaffe, egli la
dipinse così: “La
California è stupenda in primavera, soprattutto quando c’è un
sacco di cavalli attorno”. Non era e non è proprio tutta così, ma Ronald Reagan
fu coerente: andò a vivere in un ranch dalle cui finestre si vedevano davvero,
in primavera, i destrieri.
Rimasta vedova,
Nancy vendette quel ranch e tornò a vivere nella California reale, a Los
Angeles. Molto ritirata, anche per l’età (è morta a 94 anni), ma anche perché non
le piaceva più la politica, ammesso che le fosse davvero mai piaciuta. Il
motivo più noto è la sua rottura con il Partito repubblicano, per motivi
sentimentali e intimi. Poco dopo la scomparsa del vecchio presidente distrutto
dall’Alzheimer, uno dei suoi successori, George W. Bush, propose una legge che vietasse,
per motivi religiosi, una delle pochissime possibili cure di quel morbo
tremendo. “Le parve”, disse qualcuno, che “glielo volessero ammazzare un’altra
volta”. Non si fece più vedere alle cerimonie di partito. Mandò anzi un figlio
a fare un discorso a un Congresso del Partito democratico, come foro per
lanciare quella sua protesta. Un’eccezione ci fu per l’apertura semielettorale
della “campagna” di quest’anno, che si tenne nel museo Reagan. Nancy salutò
brevemente con la mano, non disse una parola, si fermò il meno possibile.
Nelle cerimonie,
nei comizi, nelle polemiche repubblicane di quest’anno si è parlato come mai
prima della memoria e della eredità di Ronald Reagan. I candidati si scambiano critiche
brucianti, spesso raggruppate sotto l’accusa reciproca di avere “tradito” la
sua eredità politica. Incolpandosi l’un l’altro di non essere abbastanza
“falco” come Reagan oppure di esserlo troppo, distorcendo e tradendo l’eredità
più importante che egli lasciò all’America e al mondo, cioè la fine di una
Guerra Fredda durata mezzo secolo e la cui “battaglia” decisiva si svolse senza
che si sparasse un colpo, con la fine del regime sovietico e con l’accordo per
cominciare a mettere via tutte quelle bombe atomiche.
La verità è che “il
mondo è cambiato”, non solo per il meglio e chi vorrebbe, come alcuni “falchi”
repubblicani, ricondurlo ai temi e alle soluzioni del secolo scorso
contribuisce a complicare quella eterna transizione che si chiama Storia. No,
mancano i Reagan nelle cerimonie del loro partito. E ci se ne accorge. La
guerra tra un demagogo come Donald Trump che assomiglia a tratti a un
energumeno e un establishment inflessibile nelle sue formule ideologiche, ha
toccato proprio in queste ore una possibile svolta con la “coperta” rinuncia di
uno dei due concorrenti di Trump, Marco Rubio, al fine di “fare mucchio” con i
sostenitori del suo rivale Ted Cruz per spostare il conto dei delegati a
“delimitare” le vittorie di Trump nel primo terzo della maratona elettorale. Si
faranno vedere assieme, molto probabilmente, alle esequie di Nancy Reagan.
Senza Gorbaciov, stavolta.