Alberto Pasolini Zanelli
Le campagne
elettorali, molto spesso e un po’ ovunque, sono anche il “gioco del se”. Quando
i candidati e i partiti sono scarichi di promesse e desiderano qualcosa di
nuovo per condire le reciproche minacce, allora, ma solo in qualche caso,
ricorrono a una variante che può rispondere alla sigla “ma se invece”. Nel
primo caso si dice “se voterete per noi…”. Come alternativa “se voterete per
loro” ma anche “se invece aveste votato per lui”. L’ultimo gioco è il più
raffinato, ma anche il più censurato, perché conduce spesso a ragionare in
termini che i latinisti residui chiamano ancora “periodo ipotetico di terzo
tipo”. Le ipotesi retroattive, la controstoria. È un gioco vecchio quasi quanto
la Storia,
famoso e scomunicato, che ha i suoi “classici”. L’esempio più famoso è ancora
quello due secoli dopo: che cosa sarebbe successo se un generale francese di
nome Groucey fosse arrivato prima del generale prussiano Bluecher
all’appuntamento con Napoleone a Waterloo, ad aiutarlo invece che ad inchiodarlo.
O se Cesare avesse dato retta a sua moglie a quelle Idi di Marzo e fosse
rimasto a casa invece di andare a farsi pugnalare in Senato. O se il re del
Portogallo avesse allargato i cordoni della borsa alle richieste di Cristoforo
Colombo invece di lasciarlo, come finanziatore, nelle mani del re di Spagna. E
naturalmente se Cleopatra avesse avuto il naso un po’ più lungo, o se ad Attila
non fosse venuto un coccolone a frenare la sua sete di conquista.
C’è anche una
domanda serissima, anzi, la più importante di tutte, cui tentò di rispondere,
in una sua rara opera narrativa a metà fra la fantastoria e la fantareligione,
il serissimo saggista Roger Caillois: cosa sarebbe successo se Pilato avesse
trovato il coraggio di assolvere e liberare Gesù. La risposta di Caillois
arriva all’ultima pagina: non ci sarebbe il cristianesimo. Dal sublime al
ridicolo, che cosa sarebbe dovuto succedere perché non arrivassero mai Hitler, Stalin, la bomba
atomica e Facebook? Secondo un professore americano di Scienze Politiche,
William Riker, sarebbe bastato che Elbridge Gerry avesse votato in un altro
modo il 16 luglio 1787 alla Convenzione Costituzionale americana, quella che
doveva decider sul progetto di emendare la Costituzione spostando
una parte dei poteri dai singoli Stati al governo federale. Si trattava, in
altri termini, di trasformare i nascenti Stati Uniti da Confederazione in Unione.
Il dibattito era
stato serrato e gli schieramenti di forza quasi uguale. Gerry era uno dei
delegati del Massachussetts e dei più fieri avversari di ogni mossa che
rafforzasse quello federale. Anzi, egli voleva diluire quel poco che c’era in
modo da rendere gli Stati pochissimo uniti e, di fatto, indipendenti. Ma era
anche il tipo, nell’opinione dei colleghi, un uomo estremamente volubile.
Accadde proprio in quel voto decisivo sul Grande Compromesso, che mediava fra
le due pendenze ma di fatto favoriva l’Unione. Gerry parlò duramente contro la
proposta, poi alla conta, votò “sì”. Solo Dio sa il perché, dal momento che
egli, una volta approvato l’accordo con il suo suffragio decisivo, lo denunciò
in termini durissimi e anzi abbandonò i lavori per, promise, andare in giro per
gli Stati a far propaganda contro la sua ratifica. Il suo era stato dunque solo
un lapsus, un capogiro mentale. Senza il quale, secondo il professor Riker,
oggi non esisterebbero gli Stati Uniti.
Al loro posto ci
sarebbe un’America del Nord simile all’America del Sud: divisa in tanti Stati
non sempre in buoni rapporti fra loro. “Basta guardare il mappamondo – spiega
lo studioso – per vedere che non c’è niente di inevitabile nel fatto che
l’America del Nord è unita e quella del Sud divisa. Le dimensioni sono quelle,
in entrambe c’era un nucleo culturale unificatore: inglese nel Nord, spagnolo nel Sud. Ciò però
non impedì che l’America Latina avesse, invece di una Rivoluzione, tante
rivoluzioni non sincronizzate e si dividesse dunque in tante nazioni. Solo
l’emendamento alla Costituzione approvato grazie al capriccio di Gerry
Elbridge, consentì alle ex colonie
britanniche a scendere in guerra tutte dalla stessa parte”. Kriker si dedicò
poi “con gusto” a ridisegnare l’America settentrionale: il Texas e la California
indipendenti, il resto del Sud al Messico, la Virginia leader del Sud
in quanto principale potenza commerciale. Il Nord non avrebbe mai avuto quel grande
Mercato in cui sviluppare le sue potenzialità industriali, dunque neanche per
fare la guerra civile. Col risultato che la schiavitù sarebbe rimasta in vigore
fino alla sua naturale estinzione (un paio di decenni dopo).
Nessuna di queste
speculazioni può sembrarci di grande interesse. Ma invece le conseguenze maggiori
del voto di Gerry le avrebbe sentite proprio l’Europa. Perché l’America del
Nord divisa alla sudamericana non sarebbe mai diventata una grande potenza e
non le sarebbe neppure mai venuto in mente di partecipare alla Prima Guerra
Mondiale, che senza di lei sarebbe stata soltanto una delle tante guerre
europee e il suo esito sarebbe stato quasi certamente l’opposto di quello che
sappiamo. Avrebbe vinto la
Germania, nel 1918 o magari nel 1919. Con lei, l’impero
austro-ungarico e la Turchia. I
tedeschi si sarebbero presi buona parte delle colonie francesi e britanniche e
magari un pezzo di Russia. La quale avrebbe perduto in ogni caso la guerra e
quindi avrebbe avuto anche così una rivoluzione bolscevica. Ma in un’Europa
dominata dal Kaiser, l’esercito tedesco sarebbe intervenuto, prontamente e
duramente, a soffocarla.
Quel che più conta,
i tedeschi sarebbero stati potenti, soddisfatti e tranquilli. Nessuna nevrosi,
nessuna ansia di rivincita e dunque niente nazismo. Hitler non sarebbe mai
diventato noto o potente. Forse non sarebbe mai neanche entrato in politica. Di
sicuro non avrebbe preso il potere e dunque non avrebbe scatenato la Seconda guerra mondiale.
In mancanza della quale a nessuno, tanto meno a una delle tante piccole
Americhe, sarebbe venuto in mente costruire una bomba atomica. Anche per
questo, conseguenza per ora ultima, il secolo appena ieri concluso non sarebbe
stato il Secolo Americano. L’attrazione culturale del continente (balcanizzato)
sarebbe stata, ha lasciato scritto Kriker, “più o meno a quelle di un Paese del
Sud America”. E dunque niente Guerra Fredda, niente Uomo nello Spazio, niente
rock ‘n roll, niente terrorismo islamico contro la Superpotenza, niente Reagan,
niente Kennedy e, sì, niente Donald Trump. Quel signor Gerry proprio non aveva
capito niente.