Alberto Pasolini Zanelli
Fra il sacro e il profano, è stato
il giorno più lungo di Bernie Sanders. Misurato sul calendario, si è esteso per
più di una giornata, ma l’orologio è testimone della “unità di tempo”. C’è
stato di mezzo, naturalmente, il jet lag, per cui il candidato alla Casa Bianca
si è fatto buone ventiquattro ore senza un minuto di riposo. Ed è passato,
prima della parentesi aerea, dal profano al sacro. Un profano ancora più
profano di quanto si potesse prevedere: il match a New York con la concorrente
Hillary Clinton è stato piuttosto all’ultimo sangue, senza la ricerca di un
piano più alto che molti potevano legittimamente attendersi da un confronto fra
due candidati (sia pure dello stesso partito) che hanno, oggi come oggi, le
quotazioni più alte nella corsa alla Casa Bianca. All’abbassamento dei toni ha
contribuito essenzialmente la Clinton, che ne aveva tutto l’interesse ed è in
gran parte riuscita ad imporlo come stile. Lei gioca sull’esperienza, che è
notevole (come ex senatore, ex Segretario di Stato e moglie di un ex
presidente) che ammanta il sostegno, probabilmente decisivo, della “macchina”.
Anzi, di due: quello aperto, istituzionale delle strutture di potere nel
Partito democratico e quello, meno definibile se non proprio occulto, dei
Potenti d’America. Sanders non ha dalla sua l’Esperienza (senatore di un micro
Stato fra i cinquanta che fanno gli Usa), né gli appoggi altolocati e neanche
la macchina del partito (quella più visibile) perché è stato eletto e rieletto
come indipendente, non fa parte del Partito democratico, che lo ha tenuto
finora come “ospite” nel suo gruppo senatoriale.
Di suo Sanders ha quasi solo le
idee, anzi, l’Idea, di una fila di “riforme” che, se “sfondassero”, porterebbero
a una trasformazione del sistema economico-finanziario e dunque anche politico
negli Stati Uniti, partendo da un’analisi delle conseguenze sociali della
“globalizzazione” e proponendo riforme che in gran parte dovrebbero bloccarla e
sospingerla all’indietro. Lui la chiama “rivoluzione” e si definisce
“socialista”: due parole che normalmente in America suscitano paura o irrisione,
ma che Sanders è riuscito in pochi mesi a mettere di moda. Questo ha facilitato
il “miracolo” della sua ascesa in pochi mesi, forse anche col fascino di parole
nuove. Il suo lessico non si compone di imprenditori, investimenti, Mercato,
non è infarcito di cifre. Si accontenta di due numeri, “uno” e “novantanove”,
la misura della “diseguaglianza” che starebbe soffocando la democrazia in
America. Di conseguenza è logico che la sua avversaria cerchi di inchiodare
Sanders a un ruolo di irresponsabile sognatore, dedicando il meno possibile dei
“tempi” dei dibattiti al confronto di idee e legandolo invece il più possibile
allo scontro di personalità, di critiche, di rimproveri e, infine, di
pettegolezzi in cui spesso riesce a coinvolgere l’antagonista.
Saranno andati avanti così per oltre
due ore, a New York e poi, con il solo intervallo di un “pisolino” in aereo, Sanders
è stato catapultato in un dibattito che formalmente verteva sugli stessi
problemi, ma che ne illustrava l’altra faccia: alla Pontificia Accademia delle
Scienze Sociali, che ha organizzato uno scambio di idee a un livello
completamente diverso, a Roma, invitando teologi, scienziati sociali,
intellettuali cattolici e no ma sempre su un altro set di problemi, di idee, di
proposte. Quelle due cifre di Sanders, quell’“uno” e quel “novantanove”, sono
diventate i dati di un problema non americano, ma mondiale, non carico di
teorie, contestazioni e spiegazioni ma considerato un Male in sé, un problema
umano e non finanziario. In sostanza, un peccato. Soltanto un’“emergenza” come
questa poteva far balzare in primo piano una “tavolata” in linguaggio teologico
e stile vaticano senza un battage pubblicitario; e attirare anche politici e
statisti, più spesso del Terzo Mondo.
La presenza di uno dei candidati
più forti alla presidenza degli Stati Uniti ha cambiato tutto, forse prendendo
di sorpresa anche gli organizzatori. A questo punto un “concilio” di contenuto
economico si è trasformato, per la presenza contemporanea del Papa e di un
quasi presidente degli Usa, in un incontro al vertice. Che non si è tenuto però
nella palazzina aperta come tributa agli ospiti, ma ha trovato il suo “centro”
nel colloquio privato successivo fra Jorge Bergoglio e Bernie Sanders. Non è
stato fornito il testo, si può supporre che non sia stato un “dibattito” nel
senso usuale di confronto-scontro, bensì di un incontro fra due persone, una
delle quali consolidata e indiscussa come il Papa, l’altra immersa nelle più
basse atmosfere di una campagna elettorale. Se accadesse un miracolo che il
prossimo novembre faccia volare Sanders alla Casa Bianca si potrà parlare di un
“vertice” storico senza precedenti, almeno nel corso di molti secoli.