Unica via d’uscita: ogni Stato sia autorizzato a produrre il suo vaccino
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 31 gennaio 2021
Negli ultimi mesi mi sono più volte chiesto se il compito di fare previsioni economiche debba essere trasferito dalla competenza degli economisti a quella dei virologi.
Questo non tanto perché si sia aperta una nobile gara a chi sbaglia di più tra le due categorie, ma perché gli andamenti dell’economia, in questa fase storica, dipendono ormai quasi esclusivamente dal comportamento del virus. Tutto ciò emerge dal confronto dei dati economici tra il terzo e il quarto trimestre dello scorso anno. A una forte ripresa, quando si pensava che il virus fosse sconfitto, è seguita la stagnazione di fine d’anno, quando l’epidemia ha ricominciato il suo corso.
Se il passato è dipeso dall’andamento del virus, non sorprendiamoci che il futuro dipenderà, come emerge dalla lettura delle ultime previsioni del Fondo Monetario Internazionale, dalla diffusione del vaccino. La battaglia per il vaccino è in pieno svolgimento e ogni paese usa le armi che ha a disposizione.
Al vertice della protezione vaccinale non troviamo però un paese produttore ma Israele che, con un’intelligente strategia preventiva, si è assicurato il vaccino, garantendo alla casa produttrice tutte le informazioni di cui essa ha bisogno per monitorare i comportamenti e gli effetti del vaccino stesso. Una specie di raffinato scambio scientifico fra il vaccino e le cartelle cliniche dei cittadini.
Tra i paesi maggiori la corsa al vaccino è dominata da Stati Uniti e Gran Bretagna, entrambi grandi produttori ed entrambi sempre più orientati a privilegiare il mercato interno. Data la loro limitata capacità produttiva, ne deriva, per quanto possibile, la riduzione della fornitura agli altri mercati.
Di qui le complicate controversie con l’Unione Europea che, da un lato ha compiuto uno straordinario passo in avanti mettendo tutti i 27 paesi membri nelle stesse condizioni per l’acquisto, ma che, da un punto di vista produttivo, si trova in una situazione di debolezza.
Tutto questo in un mercato diventato, dopo la seconda ondata della pandemia, un campo di vera e propria lotta per la supremazia.
Non si tratta soltanto di profitti aziendali dei produttori, ma del primato dei paesi. Non voglio entrare nei termini giuridici della controversia fra Unione Europea e imprese produttrici che sostengono di essersi impegnate solo a fare del “loro meglio” (best effort) per consegnare le quantità in precedenza pattuite.
Nutro tuttavia grandi dubbi che questo “loro meglio” sia compatibile non solo con l’indefinito aumento delle forniture al mercato interno, ma anche con la vendita a paesi terzi disposti a pagare prezzi superiori a quelli stabiliti nei contratti in precedenza pattuiti con l’Unione.
Stando così le cose si pone il problema se, in presenza di un dramma che coinvolge tutta l’Umanità, non si debbano mutare le pur sacre regole della proprietà intellettuale e si debba invece rendere possibile, a tutti coloro che rispettano le dovute norme, la libera produzione dei vaccini esistenti, purché siano approvati dalle legittime autorità sanitarie.
Tutto questo dovrà essere naturalmente accompagnato dai necessari accordi per sovvenire alle spese di ricerca e di sviluppo sostenute dalle imprese, ma non è ammissibile che la salute dell’umanità venga messa a rischio dalle restrizioni del mercato, anche perché penso che, ragionevolmente, Cina e Russia siano disposte a compiere un’apertura che gioverebbe in modo impressionante alla loro immagine.
Non dico questo pensando solo all’Italia o all’Europa, ma esaminando tutti gli elementi disponibili dai quali emerge che l’attuale gestione della Pandemia non solo sta producendo tragedie ovunque, ma sta paurosamente aumentando le differenze fra ricchi e poveri.
Mi limito a un solo dato drammatico. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità vi sono 42 paesi che stanno in qualche modo lavorando sul vaccino per il Covid-19. Di essi 36 sono nazioni ad alto livello di reddito, sei a livello medio e nessuna tra i paesi più poveri.
Data la scarsa capacità produttiva esistente, miliardi di esseri umani rimangono e rimarranno senza protezione di fronte a questo sempre più insidioso virus.
Questo non è umanamente ammissibile. Non solo in Europa, ma in tutto il mondo, con particolare attenzione per l’Africa, dobbiamo quindi creare delle partnership per aumentare subito (insisto subito) la capacità produttiva dei vaccini.
All’Italia spetta un compito particolare in materia, non solo in quanto capace di mobilitare le sue imprese farmaceutiche e le aziende che, insieme a quelle germaniche, detengono il primato mondiale per il confezionamento dei vaccini, ma soprattutto perché abbiamo la responsabilità della presidenza del G20 che, pur con i suoi limiti, è l’unica struttura oggi in grado di lanciare questo progetto, mobilitando gli stati e le organizzazioni internazionali, a cominciare dalle Nazioni Unite, dall’Unione Europea e dall’Unione Africana.
Non si tratta solo di un progetto per fornire un’ancora di giustizia a questo mondo squilibrato, ma per garantire a tutti noi sicurezza, stabilità e crescita. Come noi abbiamo il dovere di offrire il vaccino ai nostri cittadini con la massima velocità, così lo dobbiamo fare con il resto del mondo.
Non per semplice solidarietà, ma nella consapevolezza che il virus, se non lo estirpiamo in tutto il globo, ritornerà ancora a trovarci a casa nostra, appesantito da ulteriori mutazioni alle quali non è detto che si possa efficacemente fare fronte.
No comments:
Post a Comment