Governo assente: la presenza che manca nella fusione Stellantis
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 10 gennaio 2021
Abbiamo assistito a un comune plauso per il matrimonio che si celebrerà ufficialmente il prossimo 16 gennaio fra la francese Peugeot (PSA) e l’Italo-Americana Fiat-Chrysler (FCA), matrimonio battezzato con l’augurale nome di Stellantis.
Un plauso giustificato perché le due imprese unite si posizionano al quinto posto nel mondo e possono quindi meglio far fronte alla nuova concorrenza e al passaggio all’auto elettrica, due sfide che richiedono enormi risorse. Si presenta però un cammino non semplice per la neonata Stellantis, soprattutto perché i concorrenti che la precedono nella classifica mondiale (VW, Toyota, GM e Renault-Nissan-Mitsubishi) non solo sono dominanti nell’enorme e crescente mercato asiatico, ma stanno anche spendendo somme immense nelle nuove tecnologie. Comunque Stellantis è in gara e tutti ci auguriamo che si inserisca stabilmente fra i vincitori.
In questa sede voglio tuttavia limitarmi a riflettere sulle possibili conseguenze della nascita di Stellantis riguardo all’Italia, dove i dipendenti sono ancora decine di migliaia e gli stabilimenti costituiscono la struttura portante di intere province. Senza contare il secolare legame affettivo fra la Fiat e il nostro paese, nonostante essa abbia spostato la sede legale ad Amsterdam e paghi le imposte a Londra.
Per portare avanti le mie riflessioni preferisco partire da una semplice analisi lessicale: in Italia l’unione fra PSA e FCA viene chiamata “una fusione” intendendo, con questo termine, un matrimonio fra pari. Al di fuori del nostro paese si parla invece di “un’acquisizione” da parte della Peugeot della Fiat-Chrysler. In effetti tutte le decisioni fino ad ora prese vanno in questa direzione: la maggioranza dei consiglieri di amministrazione è infatti indicata dal socio francese, che ha affidato il massimo incarico a Carlos Tavares, autorità assolutamente indiscussa anche per avere risanato l’Opel con la velocità di un fulmine. Motore di questa grande operazione è stato però il governo francese, che viene giustamente identificato come l’azionista forte della nuova Stellantis, anche se ha in portafoglio solo il 6,2% delle azioni. Di fronte a questa presenza politica è stato di conseguenza ridimensionato il ruolo del socio italiano (Exor) che, comunque, detiene il 14,4% del capitale di Stellantis.
Eppure l’industria italiana dell’auto si trova in una situazione in cui la difesa dei nostri interessi nazionali è non solo prioritaria, ma particolarmente urgente. Nello spazio di poco più di un decennio, siamo infatti retrocessi dal terzo al settimo posto tra i produttori europei di auto. Non solo dopo Germania e Francia, ma anche dietro alla Repubblica Ceca e alla Slovacchia. Abbiamo cioè perso posizioni sia nei confronti dei paesi a basso costo del lavoro sia rispetto ai paesi nei quali la mano d’opera è molto più costosa.
Tutto ciò sta avvenendo in un quadro nel quale gli specialisti del settore sono concordi nel dire che la sfida più urgente di Stellantis sarà la riduzione della sua capacità produttiva europea, oggi superiore ad ogni previsione di mercato anche post-pandemia.
A questo proposito l’Economist, che pure è in notevole parte posseduto da Exor, ci fa presente che il compito immediato di Tavares dovrà essere quello di resuscitare il marchio Fiat che dipende dal mercato europeo e che ha bisogno di nuovi investimenti, perché “solo la super mini 500 si vende bene”.
Credo che Tavares sia in grado di affrontare con successo questa sfida, mentre è compito del nostro governo fare in modo che la resurrezione della Fiat non avvenga solo nei suoi impianti polacchi, serbi o di altri paesi, ma anche nelle fabbriche italiane e che i nostri centri di ricerca, in tempi non lontani tra i primi del mondo, ritornino a giocare un ruolo d’avanguardia.
Non si tratta solo di fermare la chiusura degli impianti, ma di ottenere che la loro capacità produttiva sia correttamente utilizzata: da troppo tempo un’elevata quota della mano d’opera impiegata è sostenuta dai finanziamenti della cassa integrazione e degli altri ammortizzatori sociali. Tutto questo ha assoluto bisogno di una politica industriale in grado di accompagnare la nuova rivoluzione tecnologica e produttiva, coinvolgendo in un progetto nazionale l’intero settore auto e coinvolgendo i produttori di componenti che costituiscono ancora la nostra maggiore forza in tutto il settore.
Eppure, quando due anni fa si decise a livello europeo di mettere in atto una nuova politica per le batterie (che costituiscono la parte preponderante dei nuovi motori), il nostro governo di allora non si è nemmeno presentato alla riunione, col risultato che i grandi produttori di batterie si stanno collocando in Francia e Germania, godendo anche di incentivi autorizzati dalle autorità europee.
Abbiamo quindi assoluta necessità di una nuova politica italiana per l’automobile con interventi volti a riprendere, almeno in parte, il cammino perduto. Penso tuttavia che questa politica sarebbe più facile da mettere in atto se il nostro governo, dopo avere accompagnato l’FCA verso la fusione, aiutandola con il cospicuo prestito di sei miliardi di Euro, fosse entrato nell’azionariato di Stellantis insieme allo stato francese. Non dimentichiamo infatti che l’unica grande presenza italiana tra i leader mondiali dei componenti di elettronica avanzata si esprime attraverso la STMicroelectronics, nella quale sono paritariamente azionisti sia il governo italiano che quello francese e nella quale i laboratori di ricerca e gli impianti produttivi sono di conseguenza bilanciati fra i due paesi, con una sostanziale presenza nel nostro Mezzogiorno.
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