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Il «partito della resa» ha gettato la maschera.


Antonio Polito per il Corriere della Sera

Il «partito della resa» ha gettato la maschera. È ancora minoritario, ma punta ormai al bersaglio grosso: portare l'Italia nel campo di Mosca, confermando così l'antico pregiudizio per cui non finiamo mai una guerra dalla parte in cui l'abbiamo cominciata. Abbandonata l'equidistanza iniziale del «né con Putin, né con la Nato», superata la «neutralità attiva», sta venendo infatti allo scoperto un movimento, per ora più mediatico che altro, di sostegno esplicito al tiranno.

Tenterà di sfruttare l'angoscia e la paura degli italiani per aiutarlo a vincere la guerra in Ucraina. Il successo che finora non ha ottenuto sul campo, a causa della sorprendente resistenza ucraina, Putin può infatti raggiungerlo in un altro modo: se cede il fronte interno dell'Occidente, e si raffredda il sostegno alla causa di Kiev.

Così in marcia con Putin è tornata pure la «vecchia guardia», un'attempata ma intellettualmente dotata pattuglia di nostalgici dell'Urss, per i quali la sua caduta è stata «la più grande catastrofe geopolitica del XX secolo». L'Economist ha dedicato la copertina alla «stalinizzazione» di Putin: sempre più aggressivo fuori dai confini, sempre più dittatore in patria, dove si rischiano quindici anni di carcere a chiamare «guerra» la guerra.

Magari il paragone è un po' esagerato, anche se lo stesso Putin l'ha evocato dicendo di voler «denazificare l'Ucraina». Ma di sicuro ha galvanizzato i nostri ex bolscevichi in sonno: per loro la colpa è degli ucraini. E allora basta commuoversi - l'ha detto Luciano Canfora - «con la storia di Irina che perde il bambino, un caso particolare»: ciò che conta è la Storia con la S maiuscola, e quella cammina sui cingoli dei carri armati, e chi più ne ha vincerà.

La «new entry» tra i putinieri di complemento sono invece quelli della «resa umanitaria». Sostengono che arrendersi è un dovere morale (era il titolo di apertura del Riformista di ieri), per risparmiare vite e sofferenze. È un'altra forma di «spaesamento etico» che nasce a sinistra, solo in apparenza più pacifista della versione neo-stalinista, perché è proprio per averla avuta vinta in Georgia, in Crimea, nel Donbass, in Siria, che Putin si è deciso a fare di nuovo la guerra, e su più larga scala.

La resa è la droga dei tiranni: più ne avranno e più ne vorranno. L'unico difetto di questa proposta è che i diretti interessati, gli ucraini, non sembrano condividerla. Bisognerebbe insomma costringerli alla resa. Esattamente ciò che sta provando a fare Putin. E così il cerchio si chiude.

Altri cerchi si chiudono invece tra destra e sinistra nel variegato mondo social dell'hashtag #IoStoConPutin. Secondo una ricerca di «Reputation Science», pochi account iniziali hanno alzato un'onda tra tutti coloro che credono a Lavrov quando dice che «questa non è un'invasione», ma non hanno creduto al Covid e alle bare di Bergamo, e prima ancora all'abbattimento delle Twin Towers o allo sbarco sulla Luna.

Accomunati dall'odio per l'establishment, l'Europa e la democrazia, eroici combattenti per la libertà degli italiani dal green pass si battono ora per la schiavitù degli ucraini. Se vince Putin, perdono Draghi, Macron e von der Leyen, e tanto per loro basta. Perfino tra i deputati, ovviamente Cinquestelle, ce n'è qualcuno, come tal Lorenzoni, che non vuole Zelensky in collegamento con Montecitorio «perché l'Ucraina è un Paese schierato in guerra». Al Bano, al confronto, è un gigante.

Citiamo la reazione indignata del cantante italiano più amato in Russia («Come non cambiare idea su Putin con quello che sta facendo?») perché la grande maggioranza degli italiani la pensa come lui e non come i nostri putinieri. Ma c'è un ma: la guerra alla lunga porterà anche da noi, se non sangue, sudore e lacrime. Già si parla di razionamenti, di austerity, di un grado o due in meno di riscaldamento, di guai grossi per l'industria agroalimentare e per la spesa. E infatti da qualche giorno la parte più «populista» dei media si concentra sulla benzina piuttosto che sull'Ucraina.

Il grande pericolo è che le due spinte, quella politica a favore del tiranno e quella sociale per difendere il nostro tenore di vita già squassato dalla pandemia, si congiungano intorno all'illusione che se la diamo vinta a Putin tutto tornerà come prima. Sbagliato da ogni punto di vista: resteremmo solo dalla parte sbagliata di un'emergenza che non finirebbe certo con la resa dell'Italia.

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