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La fantapolitica del Corriere



Paolo Valentino per il “Corriere della Sera”

È stata una «voce dal sen fuggita», quella di Joe Biden a proposito di Vladimir Putin che non può più rimanere al potere. Un'altra delle tante gaffe, che hanno costellato la carriera politica dell'attuale capo della Casa Bianca. Come quando nel 2009, alla cerimonia in cui Barack Obama firmò la legge sulla riforma sanitaria, l'allora vicepresidente, trascinato dall'entusiasmo, si lasciò scappare la frase: «Questo è un fottutissimo grande risultato».

Ma questa volta non c'è solo la tendenza incontrollata all'anarchia verbale, che da sempre caratterizza Joe Biden.

E per quanto da ventiquattrore gli «spin doctor» americani si affannino a spiegare che il presidente non intendeva invocare un «regime change» a Mosca, in realtà la frase con cui ha chiuso il discorso di Varsavia sembra piuttosto confermare cosa sperino in cuor loro Biden e la sua l'amministrazione. È una speranza realistica?

Non per il momento, Putin è ancora molto solido, è la risposta che danno esperti e osservatori. Ma quali sono gli scenari possibili per un'eventuale uscita di scena dello Zar? Qui ne analizziamo tre, valutandone dinamiche e probabilità.

Per quanto possa sembrare paradossale in un Paese dove il potere del moderno Zar è quasi assoluto, la Russia è una Repubblica federale presidenziale, con una Costituzione che prevede perfino una procedura di impeachment. Gli articoli 92 e 93 della legge fondamentale russa prevedono infatti che il presidente possa essere rimosso per «alto tradimento o altro crimine grave».

Dovrebbe essere la Duma, la Camera Bassa del parlamento, a iniziare la procedura, che poi andrebbe confermata e conclusa dalla Corte Suprema. Sarebbe infine il Consiglio della Federazione a decidere entro tre mesi se approvare la rimozione o respingerla. «Ma la Duma non lo farà, perché è sotto il pieno dominio di Putin», spiega Christopher Tremoglie, del Washington Examiner , esperto del sistema costituzionale russo.

Le cose però potrebbero cambiare, secondo lo studioso, se l'insoddisfazione popolare crescesse e alcune formazioni parlamentari decidessero di sfruttare il malcontento, trovando una sponda dentro lo stesso Cremlino.

Lo scenario del golpe di palazzo è scritto nella storia russa e sovietica. Dagli Zar a Krusciov, a Gorbaciov, quando la Russia entra in uno smutnoe vremya , un periodo dei torbidi, sono i boiardi che finiscono per sbarazzarsi del sovrano. Brian Taylor, docente alla Syracuse University, è convinto che «con la guerra e soprattutto con il suo andamento catastrofico, le possibilità di un golpe contro Putin siano aumentate».

Ma la quadratura del cerchio è difficile. «Occorre il coordinamento dell'élite politica, dell'esercito e del Fsb, i servizi, che al momento non vedo», ha detto a Repubblica Mark Galeotti. In realtà, il controllo di Putin sui siloviki , gli uomini della forza, buona parte dei quali suoi compagni d'armi dai tempi di San Pietroburgo, è per il momento solido e a prova di tutto.

La fedeltà degli apparati di sicurezza non è in discussione: «Egli sarebbe in pericolo se le élite percepissero che non ha più l'appoggio dei servizi e allo stesso tempo si verificassero proteste di massa della popolazione scontenta», dice Abbas Gallyanov, un analista che ha fatto lo speechwriter per Putin e adesso lavora come consulente politico indipendente. E aggiunge: «Se lo vedessero abbastanza indebolito e si convincessero che possono farlo senza rischi, allora le élite potrebbero tradire Putin. Ma non è per domani».

Qualcuno evoca in proposito perfino lo scenario della «tabacchiera», quella con cui fu avvelenato lo Zar Paolo I, il figlio di Caterina la Grande: quando propose di attaccare le Indie britanniche insieme ai francesi, l'aristocrazia pensò che non fosse più sano di mente e fece scattare il tranello.

«In questi casi ci possono essere accelerazioni improvvise - ha spiegato il Premio Pulitzer Tom Friedman al nostro giornale -. Cifre prudenti dicono che almeno diecimila soldati russi sono stati uccisi.

Dovranno pure restituirne le salme alle famiglie. Oppure non li riporteranno mai a casa, il che è anche peggio. Cosa succederebbe se fra dieci giorni, un mese centinaia di migliaia di persone scendessero in piazza e la polizia non riuscisse a contenerli?».

Lo scenario della strada che costringe il tiranno ad andarsene, modello Ucraina 2014, non è plausibile. Ma gli scricchiolii, nella forma di proteste diffuse e prese di posizioni contro la guerra, si sentono già ora e il proseguimento della campagna militare, combinato con il crescente peggioramento delle condizioni di vita potrebbero fare da catalizzatore.

Dopotutto, ricorda l'economista Sergei Guriev, che lavorò nel team di Putin prima di andare in esilio a Parigi, citando un vecchio adagio russo, «alla fine il frigorifero batte il televisore». E il presidente russo, con i soldi per tenere contenta la popolazione sembra aver ormai esaurito anche gli altri filoni della raccolta del consenso.

E se lasciasse lui... Ammesso che Putin lasciasse di sua sponte, chi potrebbe prenderne il posto? La lista degli usual suspect è nota: il premier Michail Mishustin, il sindaco di Mosca Sergeij Sobjanin. E poi c'è il nome in pectore, quello di Alexeij Djumin, attuale governatore di Tula, ex capo della sicurezza di Putin, che lo considera più di un fedelissimo. Ma di lui parleremo un'altra volta.

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