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Dalla rubrica "Lettere al Direttore de La Stampa

Italiani in Usa: dal disprezzo
degli inizi ai vertici di oggi
C aro Direttore, ho appena terminato di leggere il seguente breve testo che vorrei condividere con i lettori del suo giornale. «Generalmente sono di piccola statura e di pelle scura. Non amano l’acqua, molti di loro puzzano perché tengono lo stesso vestito per molte settimane. Si costruiscono baracche di legno e alluminio nelle periferie delle città dove vivono, vicini gli uni agli altri. Quando riescono ad avvicinarsi al centro affittano a caro prezzo appartamenti fatiscenti. Si presentano di solito in due e cercano una stanza con uso di cucina. «Dopo pochi giorni diventano quattro, sei, dieci. Tra loro parlano lingue a noi incomprensibili, probabilmente antichi dialetti. Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l’elemosina ma sovente davanti alle chiese donne vestite di scuro e uomini quasi sempre anziani invocano pietà, con toni lamentosi e petulanti. Fanno molti figli che faticano a mantenere e sono assai uniti tra di loro. Dicono che siano dediti al furto e, se ostacolati, violenti. Le nostre donne li evitano non solo perché poco attraenti e selvatici ma perché si è diffusa la voce di alcuni stupri consumati dopo agguati in strade periferiche quando le donne tornano dal lavoro. I nostri governanti hanno aperto troppo gli ingressi alle frontiere ma, soprattutto, non hanno saputo selezionare tra coloro che entrano nel nostro paese per lavorare e quelli che pensano di vivere di espedienti o, addirittura, attività criminali?». Sembra scritto in questi giorni da qualche leader della destra italiana. E invece no. È un passo tratto dalla relazione dell’Ispettorato per l’Immigrazione del Congresso americano relativa agli immigrati italiani negli Usa. È del 1912. Meritevole di meditazione, o no?
DEO FOGLIAZZA

La cosa più interessante che si può fare se si va in vacanza a New York è scendere sulla punta Sud di Manhattan e da lì prendere il traghetto per Ellis Island. La visita a questo piccolo isolotto - per più di mezzo secolo fu la porta d’ingresso in America da cui passarono 12 milioni di immigrati - è un’esperienza che lascia il segno. Riconosciamo i volti sporchi e i cognomi dei nostri antenati piemontesi, veneti, abruzzesi, siciliani. Li vediamo trascinare i loro averi in immensi fagotti, leggiamo la paura, la fame e la disperazione nei loro occhi. I documenti ci raccontano che spesso erano considerati come bestie, pidocchiose e d’intelligenza inferiore. Nel 2003 Gian Antonio Stella raccontò questa nostra emigrazione in un libro magistrale, «L’orda, quando gli albanesi eravamo noi». Ma gli Stati Uniti, non senza durezze, ci integrarono: aprirono le porte del Sogno Americano e oggi a comandare le frontiere e la sicurezza a stelle e strisce c’è una signora che si chiama Napolitano. La Procura che guarda la Baia è guidata da un signore che si chiama Cuomo e l’ordine in città lo ha riportato Mr. Giuliani.

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