Ciao Oscar,
ancora una volta la domanda si impone a tutte le coscienze. Per quanto tempo possiamo concederci il lusso o/e la vigliaccheria di essere indifferenti? Cosa si dice ad una figlia quando ti chiede di morire? Non lo so. Una figlia… Colei che ha sostituito con la sua presenza cio’ che per noi e’ valsa come identita’ per tutti questi anni. Il nostro futuro ed il futuro del mondo intero. La speranza e la certezza. La nostra unica possibilita’ di restare immortali e continuare ad essere. Il senso stesso della vita. … vuole morire. Vuole annientare cio’ che siamo stati, siamo e saremo. E non c’e’ possibilita’ di ritorno, di rimediare. E sai che questa volta non puoi fare niente, non puoi darle la tua vita ne’ cio’ che rimane di un corpo che era vivo poco fa.
La cancellazione a priori di cio’ che potra’ essere il mondo con la sua esistenza. Non lo so. Credo che pero’ la prima cosa che si fa e’ di guardarla negli occhi per capire se lei stessa ha capito bene cosa stia chedendo. Ma forse ancora piu’ importante e’ capire perche’ un essere umano stia chiedendo che qualcuno debba spegnere la sua vita. Non una figlia quindi ma riconosecere in essa un essere umano. E come si identifica un essere umano? Non lo so, ci penso…Sono tanti I punti di riferimento che portano al riconoscimento di un essere vivo. Respira, si nutre, prolifica, interagisce con l’ambiente e lo cambia, si difende dalla sua distruzione e combatte le malattie e chissa’ quanto altro ancora. Ma un essere umano…? L’umano nell’essere come si identifica? Non lo so, ci penso…Insomma tutto cio’ che puo’ essere utile per identificare un polpo vale anche per un uomo ed una donna e pure evolutivamente, sono distanti milioni di anni e di entrambi possiamo dire che sono vivi. Cosa fa di un essere umano un essere umano? Non lo so, ci penso…Poi pero’ mi capita di andare a lavorare e vedo pazienti che soffrono nei letti di ospedali. I parenti intorno che soffrono con loro ed un enorme macchina organizzativa, costosissima, che cerca di tenere su un apparato che agisce fondamentalmente per alleviare il dolore di tutte queste persone. Allora forse capisco qualcosa di piu’ dell’essere umano. E’ essere umano chi e’ capace di gestire il dolore. E si, perche’ un polpo forse patira’ dolore, un cane, una pecora, un coccodrillo anche. Certo bisognerebbe chiederlo a loro ma credo che possiamo dire con una certo grado di certezza confortevole che questi esseri viventi non gestiscono il dolore e forse ne sono solo vittime, forse…E’ essere umano quindi chi almeno tenta di gestire il dolore. Ma non deve essere gia’ e solo il proprio dolore bensi’ il dolore come fatto, un fatto della vita stessa, una certezza, un principio al quale non ci si puo’ sottrarre, che sempre e’ stato e sempre sara’. Quindi non si puo’ fare altro che tentare di gestirlo. Magari neppure eliminarlo ma semplicemente gestirlo. Ed allora se questo e’ vero e tornando alla domanda iniziale: Cosa si dice ad una figlia che ti chiede di morire? Ancora non lo so. Ma forse bisognerebbe chiederci se dietro questa domanda cosi’ arrogante, irriverente e competamente mancante di rispetto per cio’ che fa del mondo il mondo cioe’ la vita, ci sia un dolore. Un dolore talmente grande che diventa insopportabile, ingestibile. Ma come misuriamo noi la grendezza del dolore? E di quello degli altri? Non lo so. Poi stamattina leggo sul giornale La Repubblica (http://www.repubblica.it/esteri/2010/01/26/news/sentenza_londra-2084803/) che un giudice ha assolto con formula piena una signora accusata di aver aiutato la propri a figlia a morire. Non importa di dove sia la signora e quanti anni aveva la figlia. Il dolore e’ universale ed indifferente all’eta’, al sesso ed all’origine geografica di chi lo patisce. Ed e’ proprio per questo che tutti dobbiamo interrogarci. Porci una delle domande piu’ ovvie ma non banali che siano mai state formulate da essere umano: cosa avremmo fatto noi? La ragazza che e’ stata aiutata a morire soffriva di Encefalomielite mialgica cronica anche nota come sindrome da fatica cronica. Soffriva al punto tale da preferire la morte. Cosi’ un bel giorno, dopo aver tentato diversi suicidi, ha chiesto alla madre di aiutarla a porre fine a quel dolore, un dolore che non poteva piu’ essere gestito e che aveva col tempo, annientato ogni significato di vita. La madre lo ha fatto nel modo forse piu' opportuno, usando la morfina che temporaneamente inibisce i circuiti neuronali che codificano per il dolore ma questa volta e' per sempre. Era un essere in vita si, ma che essere? Sempre piu’ spesso ci ritroviamo di fronte alla nostra limitata capacita’ di poter gestire il dolore quale esso sia il nostro o quello degli altri ma soprattutto non possiamo piu’ far finta che questo problema non esiste. I criteri per diagnosticare l’Encefalomielite mialgica cronica comprendono: la presenza di una stanchezza debilitante che riduca le attività quotidiane e lavorative di almeno il 50% nonché l'esclusione di qualsiasi altra causa (oncologica, infettiva, endocrina, reumatologica, psichiatrica etc.) di stanchezza. I criteri includono disturbi neurologici (quali deficit della memoria, difficoltà alla concentrazione, cefalee), linfadenopatia latero-cervicale, bruciore in gola, febbricola o febbre, e dolori muscolari e/o articolari in assenza di esami di laboratorio alterati. In Italia non e’ riconosciuta come “malattia” dai medici di medicina generale bensi’ e’ definita come una sorta di depressione. Il problema c’e’, esiste e non si chiama solo l’Encefalomielite mialgica cronica ma ha anche altri nomi di altre malattie ma tutte arrogantemente si nascondono dietro un commune alias: indifferenza. Ma al dolore non si puo’ essere indifferenti, prima o poi capita pure a te. Spero che non sia mia figlia a chiedremi di morire ma se dovesse succedere voglio essere preparato, e’ tempo di cominciare…
Dr. Saverio Gentile, Ph.D Asst. Professor
Laboratory of Ion Channel Phosphorylopathy Department of Pharmacology Loyola University Medical Center 2160 First Avenue Maywood, IL 60153 Bldg. 102; R3641
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