(di Marcello Sorgi da La Stampa)
Non è affatto scontato, come ieri al contrario erano in molti a sostenere, che il voto per la decadenza di Berlusconi da senatore corrisponda alla sua fine politica. E tuttavia, la sua esclusione dal Parlamento, la condanna definitiva per frode fiscale, e quelle che tra poco lo saranno per concussione e sfruttamento della prostituzione minorile, oltre ai processi appena aperti per compravendita di parlamentari e corruzione di testimoni, mettono il Cavaliere in condizioni precarie.
Inoltre, hanno il loro peso l’età ormai avanzata e il normale logoramento di vent’anni in politica. Se non è proprio la fine, è chiaramente l’inizio di un declino che potrebbe essere rapido e ripido.
Ma anche prima di assistere alla conclusione del suo ciclo, occorre farsi la domanda che in Italia è difficile porre per qualsiasi uomo politico, ma per il leader del centrodestra diventa improponibile. E cioè: Berlusconi è stato o no l’uomo-simbolo della Seconda Repubblica, che con la sua improvvisa e imprevedibile discesa in campo, la legittimazione a sorpresa di Fini e della destra estrema fino a quel momento emarginata, e di Bossi e della Lega come forza di governo, ha introdotto il bipolarismo in Italia e per la prima volta ha reso possibile che gli elettori scegliessero i governi o li mandassero a casa, tal che per due volte il centrodestra e il centrosinistra si sono alternati alla guida del Paese?
E prima ancora, Berlusconi è stato o no l’imprenditore innovativo che con il talento, gli animal spirits e le male arti di molti altri esponenti della sua categoria, ha introdotto in Italia la tv commerciale e ha contribuito a una modernizzazione e a un mutamento culturale del Paese paragonabile solo a quello della Rai dei primi Anni Cinquanta e Sessanta?
Oppure - ecco il centro del problema - Berlusconi è stato solo uno spregiudicato corruttore, della politica, del costume, della vita pubblica, un personaggio privo di qualsiasi fondamento di etica, di senso delle istituzioni, di consapevolezza del bene comune, uno che insomma ha badato sempre e solo agli affari suoi?
In attesa che gli storici - ma ci vorrà del tempo - sciolgano questo dilemma, si potrà osservare che quella che oggi concerne Berlusconi è una questione che in passato ha riguardato quasi tutta la classe dirigente della Prima Repubblica e buona parte di quella della Seconda. Da Tangentopoli in poi, infatti, leader e premier italiani incappati nelle maglie della giustizia sono stati archiviati con l’infamia di essere, o essere stati, dei criminali. Non politici responsabili, occasionalmente o prevalentemente, di attività illegali, ma delinquenti tout-court. E se per Craxi, dieci anni dopo la scomparsa, è dovuto intervenire il Presidente della Repubblica Napolitano, per ristabilire la verità storica e affermare che, al di là di singoli fatti giudicati nei processi, il leader socialista era stato un politico di prima grandezza, capace di imporre una spinta innovatrice a un Paese anchilosato, e se per Andreotti, malgrado la mezza assoluzione e la mezza condanna, legata alla prescrizione, dalle accuse di mafia, nessuno s’è sognato, al momento della morte, di considerarlo un boss della criminalità organizzata, è esattamente l’opposto il destino riservato a Berlusconi. Di non poter, in sostanza, essere in alcun modo disgiunto, e anzi di essere sopraffatto, dal peso della sua biografia giudiziaria rispetto a quella politica, di non poter assistere, nell’ora del tramonto, a una serena valutazione dei risultati, degli errori e dei meriti (qualcuno ce ne sarà pure) della sua vita pubblica.
È per questo motivo che Berlusconi avrebbe fatto meglio a presentarsi al Senato - come Craxi appunto fece alla Camera - e pronunciare il suo ultimo intervento, invece di arringare la folla infreddolita di via del Plebiscito e disertare l’aula di Palazzo Madama. Avrebbe potuto dimettersi, un minuto prima di farsi cacciare via dai suoi avversari, dicendo con franchezza: io almeno ho provato a cambiare, su alcune delle cose che volevo fare, anche senza ammetterlo, molti di voi eravate d’accordo, ma piuttosto che darvi la soddisfazione di farmi fuori grazie a un infortunio giudiziario, me ne vado. Una conclusione del genere, impossibile conoscendo il personaggio, lo avrebbe fatto uscire di scena da statista. Invece, per non passare alla storia come un pregiudicato, e tentare impropriamente di cancellare l’onta della condanna con il voto dei cittadini, Berlusconi ha scelto di combattere fino allo stremo la sua ultima, disperata, battaglia. E così, la Seconda Repubblica finisce esattamente come la Prima.