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Pateracchio o Grande Coalizione?



di Alberto Pasolini Zanelli

Dopotutto, abbiamo ancora qualcosa da insegnare. Proprio nella politica, proprio ai tedeschi. Che si sono rassegnati a riconvertirsi a una formula di governo che avevano inventato loro ma che ultimamente si era meritata il marchio made in Italy. Noi la chiamiamo pateracchio, loro, più nobilmente, Grande Coalizione. Si chiama così una formula politica in cui ci sono dentro la Destra e la Sinistra. Da noi con la Sinistra davanti, da loro con la Destra. Da noi prima e dopo delle elezioni “fallite”, loro solamente dopo. Forse per questo ci hanno messo di tempo a decidersi: sono andati alle urne in settembre, si sono accordati alla fine di novembre, il governo entrerà in funzione per San Silvestro.
Niente di nuovo, si potrà dire: al governo rimane la signora Merkel, che però prima dominava una maggioranza ristretta con l’aggiunta del piccolo Partito liberale e da domani deve dirimerne una tanto più ampia che contiene però un grosso rivale, i socialdemocratici. Non è una novità: la formula è già stata sperimentata due volte, con esito mediocre la prima, in una fase di transito dal dominio “nero” (il colore dei democristiani tedeschi) dei primi anni della Repubblica Federale a uno “rosso”, la tinta dei socialdemocratici. Dagli eredi di Konrad Adenauer ai seguaci di Willy Brandt. La seconda volta fu imposta da una novità felice e stressante: i postumi della riunificazione, coniugati con una crisi economica di forte entità. E fu un successo, quello che permette alla Germania di dominare oggi l’Europa. Un “innovatore” di sinistra, Gerhard Schroeder, fece le riforme necessarie su cui riposa oggi Frau Angela. Che infatti ha vinto anche stavolta, ma non stravinto come ci si aspettava. I junior partner liberali sono fuori dal Bundestag e dunque quel paio di voti che mancavano alla Cancelliera li hanno dovuti fornire i socialdemocratici, che invece sono tanti. Per questo le trattative sono durate così a lungo, per questo c’è ancora bisogno di una “ratifica” referendaria da parte degli iscritti alla Spd, il 14 dicembre su un programma che è già stato convenuto e che appare più prudente che innovatore, contiene qualche rassicurante promessa per i tedeschi e promette ben poco a noi.
Riforme poche, in gran parte concessioni alla sinistra: aumento delle pensioni e del minimo salariale, doppia cittadinanza agli immigrati nati e cresciuti su suolo tedesco, dunque principalmente turchi. I sindacati applaudono, gli investitori manifestano ansie per “i troppi assegni in bianco”. Li rassicurerà, probabilmente, il prossimo passo, cioè la distribuzione delle poltrone di ministro, quella che probabilmente deluderà gli europei, soprattutto quelli collocati al di qua delle Alpi. Diventerà probabilmente ministro degli Esteri il socialista Frank-Walter Steinmeier “veterano” della collaborazione con la Merkel e soprattutto rimarrà ministro delle Finanze Wolfgang Schaeuble, “falco” dell’Austerity, confortato dall’introduzione, chiesta dalla Csu bavarese, di una tassa per gli automobilisti con targa straniera che si trovino ad attraversare il suolo tedesco. Per il resto le attese sono che la Germania “continuerà nei prossimi anni a crescere più in fretta del resto d’Europa”.
Non tutti plaudono. Una severa critica all’impostazione generale della Merkel nei confronti dei vicini e “colleghi” della Ue viene dal più “senior” dei Cancellieri della Germania postbellica, guida storica del Paese in anni difficili prima che si affacciasse l’alba di una riunificazione resa possibile soprattutto da eventi rivoluzionari fuori dalle frontiere tedesche. Helmut Schmidt ha tracciato di recente un ritratto politico e psicologico della donna che attualmente gli succede alla guida della Germania, la sua concittadina amburghese Angela Merkel: “Non ha l’Europa nel cuore. La capisce, certo, con la sua mente razionale, ma le mancano la simpatia, la voglia di aiutare. In una parola, la Solidarietà. Quella che invece la Germania sarebbe tenuta a mostrare, visto anche che ha un surplus di 240 miliardi di euro. Potrebbe, dovrebbe spendere di più, rimettere qualche debito così come ne furono rimessi alla Germania negli anni Cinquanta. Potrebbe, dovrebbe aiutare Paesi come la Grecia e la Spagna, concedere prestiti a lungo termine”. Schmidt avanza anche una spiegazione del perché la Merkel finora non lo ha fatto: perché è cresciuta nella Germania dell’Est. “E, come molti suoi concittadini ma anche come i cechi e i polacchi, è cresciuta sperando che la libertà venisse, come è poi accaduto, dall’America, non dall’Europa”.
pasolini.zanelli@gmail.com