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Bce, l'altra faccia della crisi europea


 
European Central Bank headquarters (Eurotower)

di Guido Colomba

Per primo Trichet ha dato l'esempio. Quello di non capire la gravità della crisi "subprime" tanto da aumentare il costo del denaro. Poi nell'estate del 2011 è arrivato il nuovo presidente della Bce, Mario Draghi, che ricopriva la carica di governatore della Banca d'Italia. Cosa è accaduto da allora? Molti economisti, tra cui Krugman, sono molto critici. Le banche centrali di Usa (Fed), Londra e Giappone, hanno finanziato il sistema economico senza con ciò alimentare l'inflazione. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: crescita economica, occupazione in forte ripresa, utili delle imprese tornati ai livelli pre-crisi. La Bce ha fatto il contrario consentendo un credit crunch disastroso. Siamo in piena deflazione, la stretta creditizia strangola le imprese, la disoccupazione è a livelli mai visti, intere filiere industriali rischiano di scomparire. Il costo per l'Italia ( ha perso un quarto della produzione industriale con un 1,2 milioni di disoccupati in più) è molto salato come ha ben documentato  Tabellini (Sole 24 Ore -12 maggio). Purtroppo, nonostante queste evidenze, la Bce continua a non agire. Il timing indicava l'opportunità di un intervento QE (riduzione dei tassi, acquisto di titoli di Stato e di collateral bancario privato) almeno sei mesi prima delle elezioni Ue del 25 maggio. Ora è tardi. E lo sarà ancora di più nei prossimi mesi perchè uscire dalla deflazione non sarà facile. Le responsabilità di Draghi sono evidenti. Innanzitutto per non aver contrastato i diktat tedeschi. Altro che indipendenza della Bce dalla politica. La verità è che gli interessi della Germania e dei paesi del Nord Europa hanno fatto premio all'interno della BCE. Purtroppo, in Italia si tende troppo a lodare chi ha il potere. In genere le lobby sono specializzate in questo mestiere. Basti pensare che l'ex ministro Grilli, assunto (decisione formalmente ineccepibile) da una grande banca internazionale, mostra scarsa attenzione al conflitto di interessi proprio mentre si tornano a cavalcare le privatizzazioni. Ma il costo ulteriore di uno shock deflazionistico è un tema ancora inesplorato. Ai cultori della "macroeconomia istituzionale" poco importa l'economia reale (l'ex ministro del Tesoro, Saccomanni, nel giugno 2013 disse che "non erano rinvenibili tagli della spesa pubblica...). Non si deve confondere l'indipendenza con l'assenza di controlli verso i supertecnici o i mandarini dello Stato (oggi la GdF è andata al Mef per fuga di notizie). Vale l'esempio Usa dove alle audizioni del Presidente della Fed i congressisti esaminano il suo operato e gli chiedono conto di come stia attuando il suo mandato. La Bce ha fallito l'obiettivo sulla stabilità dei prezzi basata su un tasso di inflazione del 2%. Siamo sotto l'1%: la differenza di un punto percentuale vuol dire che tra il 2012 e il 2015 vi è stata una "leva deflazionistica" del 3%. Ciò fa salire il debito pubblico di quasi 4 punti percentuali pari a oltre 60 miliardi. Una cifra, precisa Tabellini, superiore all'intera "manovra appena varata dal governo Renzi". Con l'aggravante di ripetersi ogni anno. A questo onere di finanza pubblica si aggiunge il costo ben più salato che colpisce il settore privato nel quale, come denuncia il Censis di De Rita, l'area della quasi povertà si accresce ogni anno. Manca una politica economica europea che consenta effetti redistributivi. Per Berlino questa ipotesi avrebbe "effetti distorsivi" sulle economie nazionali. Una apparente "neutralità politica" che sta strangolando l'Italia. 
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Molto belli i due articoli di Colomba e Pasolini Zanelli. Concordo pienamente. 
Maurizio V.  Torino