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L’India si è capovolta.

Alberto Pasolini Zanelli
L’India si è capovolta. L’espressione non è esagerata: sono stati quattrocento milioni di votanti, la maggioranza assoluta dei chiamati alle urne, su ottocento milioni di elettori a capovolgere i rapporti di forza nel più popoloso Paese democratico del pianeta. Non è cambiato solo il governo: è cambiato il sistema, non nel senso che le istituzioni siano in pericolo, ma perché è un’intera nuova classe dirigente a salire al potere, spazzando via rapporti di forza che possono essere definiti secolari dal momento che risalgono a ben prima che l’India conquistasse la sua indipendenza nel 1947. Era nata per opera di una élite illuminata, di una dinastia colta, di una ideologia “laica” non priva di simpatie per il socialismo; e adesso è al potere una formazione tradizionalista, nazionalista, integralista e decisamente populista. La Prima Famiglia dell’India, fondata Nehru è passata alla storia sotto il nome di Gandhi, il Partito del Congresso aveva preparato, voluto e negoziato il trasferimento dei poteri dall’impero britannico e si era trasmesso il potere, con pochissimi “intervalli”, per due terzi di secolo. Gandhi come vessillo, Nehru come fondatore, un’altra dinastia di Gandhi a gestirla, producendo figure storiche come Indira, la premier assassinata e curiosità come Sonia, la ragazza piemontese che ereditò il potere e seppe, almeno fino a ieri, gestirlo e distribuirlo. L’India dei Gandhi era, come metafora oltre che letteralmente, una nazione di “Bramini”, la casta superiore nel millenario sistema di caste, unico per l’India.
Adesso è arrivato l’“uomo del popolo”, Narendra Modi. Al posto di un’aristocrazia laica, un fervido induista; al posto di una classe dirigente vagamente socialdemocratica, un leader che punta molto sulla libera iniziativa, in competizione con la Cina per una nuova leadership mondiale, di un partito che già dall’opposizione seppe avviare l’esperimento “liberale” che ha fatto dell’India uno dei “miracoli” del passaggio fra i due millenni e che ha subito un “rallentamento” allarmante per le sue abitudini e invidiabile per le nostre: negli ultimi dodici mesi il reddito nazionale è cresciuto “solo” del 4,5 per cento. Il primo plauso viene dunque dal mondo economico, l’allarme risuona da altri angoli del Grande Paese. Il futuro secondo Modi attrae, il passato di Modi preoccupa. In un Paese così profondamente religioso ma con tante religioni e dunque “obbligato” ad essere laico, egli introduce l’eredità di quel movimento nazionalista indù che, soprattutto agli inizi, si era rifatto a modelli dell’Europa totalitaria. Il suo fondatore era un ammiratore di Mussolini, le sue giovani leve erano e sono tuttora addestrate a una obbedienza pronta e assoluta di stampo più germanico che romagnolo, il leader stesso è stato accusato di una qualche sorta di complicità in uno dei tanti drammi provocati da opposti fanatismi religiosi. Narendra Modi era alla sua prima carica importante, governatore dello Stato del Gujarat quando uno dei tanti incidenti prese un aspetto quasi genocida. Correva il 1992 e il neoeletto parve volere incoraggiare le violenze invece che reprimerle. Ne uscì un pogrom che causò la morte di oltre mille persone, quasi tutti musulmani. Non era il primo e non fu l’ultimo caso del genere, ma le dimensioni e un precedente angoscioso gli diedero una risonanza straordinaria. Era stato un giovane attivista di quel partito ad assassinare il Mahatma Gandhi.
In seguito Modi adottò e mantenne uno stile e una ideologia più moderata, ma la sua ascesa verso il potere nazionale allarmò ben presto molti musulmani, che a loro volta affluirono alle urne contribuendo a un livello che molte antiche democrazie europee invidiano: oltre il 60 per cento. Un record, così come le sono dimensioni della vittoria di Modi. Che ha fatto il possibile nella campagna elettorale per attutire certi ricordi e diffondere una nuova immagine di se stesso. Di esperto economista e, nella misura in cui ciò è possibile in India, di “laico”. Uno dei suoi slogan più noti era una chiara promessa, riferita a uno dei problemi peggiori dell’India, la carenza di strutture igieniche. Se vincerò le elezioni, disse Modi, “farò costruire prima le toilette e poi i templi”.