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Washington e Roma, la svolta




di Guido Colomba

C'è un'offensiva del governo Renzi per convincere gli investitori internazionali che l'Italia sta cambiando pelle ed è un buon posto per investire. Il tutto in vista dell'imminente semestre europeo (dal primo luglio) a presidenza italiana. Il ministro dell'economia Pier Carlo Padoan è andato a Londra mentre a Washington è presente il viceministro dello sviluppo economico, Carlo Calenda, per accelerare il negoziato Ue-Stati Uniti sulla zona di libero scambio (Ttp). A Roma vi è stato un incontro tra lo stesso premier Matteo Renzi e Larry Fink, numero uno di BlackRock, il potente fondo Usa divenuto uno dei primi azionisti (5%) di Intesa SanPaolo e Unicredit, del Banco Popolare (6,8%), del Monte Paschi (3,1%), di Telecom (4,8%), di Azimut (5%). Il filo conduttore è ridurre le diseguaglianze con il rilancio del manifatturiero in tutto l'Occidente, rovesciando la fallimentare geopolitica della "delocalizzazione passiva" in atto da venti anni. Una politica "globale", che ha portato alla più grave crisi del dopoguerra con tassi di disoccupazione mostruosi, chiaramente antagonista della scelta di Putin a favore dell'espansione euro-asiatica e del contenimento della UE. A Washington il confronto analitico risiede nel Peterson Institute, con l'ausilio della potente Us Chamber of Commerce. Non sorprende la sostituzione, al vertice dell'Eni, di Paolo Scaroni la cui fallimentare politica appiattita sugli interessi della Russia ha prodotto una perdita di risultati assai grave (-15,6%) attutita da cessioni di asset. La crisi ucraina nasce proprio dallo scontro sottostante sulla politica energetica tra Europa e Russia. La riforma della pubblica amministrazione, annunciata dal governo Renzi, ha dunque un doppio significato. Il primo rappresenta la garanzia che l'Italia offre ai partners europei sul riposizionamento italiano nel combattere quei lacci che fanno della macchina statale italiana, innervata da potenti e inamovibili burocrati, il vero ostacolo per un rilancio economico. Il secondo costituisce il messaggio interno ai vari protagonisti politici e sindacali (ma la Cgil non ha niente da dire sulla riforma dello Stato?): il vero motore della svolta renziana è il consenso dell'opinione pubblica. Quindi niente decreti-legge o disegni di legge, destinati ad essere impallinati nel tic-toc tra Camera e Senato (per non parlare della trappola dei decreti attuativi). Ciò significa che i veti incrociati contano sempre meno con inesorabile perdita di potere delle lobby sindacali e dei connessi adepti politici. Le riforme a 360 gradi divengono il vero protagonista dell'azione governativa. Ed è quello che Stati Uniti ed Europa vogliono sentirsi dire. Un dato è certo: è venuto meno il convincimento in Europa e negli Usa che i problemi possano regredire spontaneamente. Con un codicillo: le incertezze della Bce nel combattere la deflazione e l'euro forte derivano da questo peccato di origine alimentato dalla "grande coalizione" di Berlino. (Guido Colomba)