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Poveri ma belli: quanto vale la bellezza?


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di Alessandro Petti                                                    

Tutte le rilevazioni statistiche - italiane, europee, internazionali – ci documentano che l’Italia di oggi è  molto più povera  dell’Italia del 1990, quando i principali indicatori socio-economici ci posizionavano quasi allo stesso livello dei paesi più avanzati dell’Unione Europea (quindi del mondo).
Che cosa è accaduto in questi ultimi 25 anni, duri e difficili per tutte le nazioni, ma che sembrano essere stati ancora  più difficili e duri per noi in particolare, laddove ovunque in Europa, persino in Spagna e Grecia, si colgono sensibili segnali di ripresa dalla crisi?

Per quanto tutto - anche la religione, come ci sta insegnando questo grande Papa - abbia una dimensione politica e sociale, non toccherò questa volta alcun tema strettamente politico. Per sviluppare, invece, la tesi che solo la Cultura (e la sua dimensione politica, come appena detto) potrà fare del 2014 e degli anni a seguire la grande occasione per vivere un futuro nuovo e diverso, contribuendo in modo determinante a trasformare la ‘moltitudine’ protestataria  di oggi in un ‘popolo’ con un progetto.
 Come? Come si può trasformare in PIL  e progresso il tesoro rappresentato dalle nostre ricchezze culturali?
Ed è possibile inserire in bilancio la Cultura, considerando che siamo il Paese con la più alta densità e qualità di siti culturali del mondo? 

La ricchezza e il patrimonio prodotti dalla filiera culturale italiana, tenendo conto degli incassi di musei e monumenti  e dell’indotto che gira intorno a questo settore, sono stimati in oltre 200 miliardi di euro: una ricchezza di cui la nostra  ‘Corte dei Conti’  ha chiesto ora di  tener, per l’appunto, conto, valutandone il rating: stimandone e quantificandone cioè il valore. Con ciò aprendo un’istruttoria nei confronti di una delle principali società internazionali di rating, la terribile Standard & Poor’s, che nel 2011 – è bene ricordare – ci ha declassato tra i paesi di second’ordine del mondo, con un danno subito in termini di spread, pressione fiscale, severi controlli della Commissione Europea stimabile in circa 250 miliardi di euro.

A fare il calcolo di quanto vale la ricchezza del nostro patrimonio culturale – dall’artigianato agli alberghi, a tutta la filiera culturale, indotto compreso - ci ha provato un recente studio realizzato da Unioncamere e Fondazione Symbola (“Io sono cultura. L’Italia della qualità e della bellezza sfida la crisi”), che l’ha stimata in 214,2 miliardi di euro: un vero e proprio tesoro pari al 15,3% del PIL, con un fatturato di oltre 130 miliardi di euro!

Siamo dunque “Poveri ma belli”, come recita il titolo di un famoso film di Dino Risi (1957) che così bene potrebbe forse ancora descrivere la situazione in cui si trova il nostro Paese?
No. La nostra ‘bellezza’ purtroppo non basta. La nostra arte, la nostra storia, i nostri straordinari paesaggi purtroppo non bastano.
Insomma, con un numero di poveri che raddoppia di anno in anno, di giovani inoccupati e di disoccupati in costante crescita - grazie anche all’austerità dettataci da un’Unione Europea guidata da una più che interessata Germania -  tutta insieme la nostra  principale ricchezza nazionale  (dell’ambiente e della natura, dei beni artistici e culturali delle nostre cento città) non basta, non riesce a creare opportunità di occupazione e lavoro per il Paese. Tutto rimane al livello di solo ‘potenziale’.

Il perché lo ha bene sintetizzato, in un’intervista  a ‘Repubblica’ (del 6 febbraio us), il Presidente di Federculture, l’associazione delle aziende pubbliche e private che operano nel settore: “Essere belli non basta. Al di là dei tagli negli investimenti sulla cultura, manca una politica di sviluppo e la capacità gestionale nel fornire offerta.  Ancora non ci rendiamo conto che senza la tecnologia non si va da nessuna parte: dei 3.800 musei presenti sul territorio solo il 3% ha un’applicazione per lo smartphone, solo il 6% è dotato di audioguide o dispositivi digitali. La convivenza tra pubblico e privato  non è scandalosa: è necessaria”.

Non abbiamo consapevolezza che ”il patrimonio storico-artistico e di paesaggio di cui siamo dotati è parte del capitale collettivo della nazione”, come ha scritto Paolo Leon sulla rivista del Mulino ‘Economia della cultura’;  ciò che genera una incapacità tutta italiana di organizzare un sistema turistico e di beni culturali integrato e di comunicarlo in modo moderno ed efficace. 

Non vi potrà essere, in conclusione, crescita e ripresa economica e sociale, quindi sviluppo, se la “classe dirigente” alla guida del Paese non porrà, tra le priorità, in uno sforzo congiunto di tutti i Ministeri coinvolti (Economia, Beni culturali, Istruzione) lo sviluppo e la valorizzazione dell’immenso patrimonio naturale, paesaggistico, museale e turistico che è la nostra ricchezza e bellezza: la nostra Cultura.