Translate

L'Europa alle urne. Londra



Alberto Pasolini Zanelli
da Londra
Se l’affluenza dovesse riflettere esattamente l’interesse degli elettori per una chiamata alle urne, le Isole Britanniche dovrebbero avere fra i quozienti più bassi. Non sono e non sono mai stati degli europeisti appassionati, al punto che hanno seccamente rifiutato di adottare l’euro; hanno sempre preferito e contrapposto una blanda “zona di libero scambio” alla “Europa carolingia” di cui tanto si è parlato fra Parigi e Berlino.
Questa volta, invece, l’interesse degli isolani sembra destinato a superare quello dei “continentali”. Ma neppure in questo caso per zelo unitario bensì per i motivi opposti: a muovere gli “inglesi” alle urne europee c’è l’antica spinta separatista, questa volta moltiplicata per tre. Fra il 15 marzo e il 18 settembre tutto o parte dell’elettorato verrà consultato in tre diverse occasioni con tre domande diverse nella sostanza ma molto simili nella forma. Il voto per il Parlamento europeo potrebbe dare il risultato più clamoroso tra tutte le altre ventisette tribù del nostro continente. È possibile, anzi probabile, che i grandi partiti tradizionali, i conservatori, i laburisti e i liberali, vengano superati e sconfitti da una forza politica nuova nel cui nome c’è tutto il programma: Partito dell’Indipendenza del Regno Unito. Indipendenza, si intende, dall’Europa. Contemporaneamente cresce però un altro partito di contestazione: quello Nazionalista Scozzese, che propone e quasi intima, dunque, non già l’Indipendenza del Regno Unito ma quella dal Regno Unito e dunque la rinascita di una Scozia sovrana. Ma in Scozia è attiva una terza contestazione: quella di due isole che ne fanno parte ma sono pronte, anzi prontissime, a rendersi indipendenti dalla Scozia. I motivi della dissidenza numero tre sono molto simili a quelli della numero due e si riassumono in una sola parola: petrolio. La Scozia se ne vuole andare dall’Inghilterra (e dal Galles) perché è lei ad avere i giacimenti petroliferi e vorrebbe godersene indivisa e indisturbata i pingui frutti. Ma gli abitanti delle Orkney e delle Shetland posseggono in realtà la parte maggiore del petrolio “scozzese” e non vedono perché debbano essere “sfruttati” da un governo ad Edimburgo in maniera analoga a quello in cui gli abitanti di Edimburgo si sentono sfruttati da un governo a Londra.
Questa contesa essenzialmente di interessi è però ammantata, come è buona regola da quelle parti, da profonde rivendicazioni dalle radici in una storia molto antica. Che la Scozia sia stata conquistata dagli inglesi con la forza è ben noto: la contesa è stata davvero all’ultimo sangue, incluso quello di una regina decapitata per ordine della parente seduta sul trono un po’ più a Sud. È meno noto al di sotto della Manica che i fieri isolani delle Shetland e delle Orkney sono diventati scozzesi in una data che essi considerano molto recente: nel 1468. E non furono conquistati con le armi bensì furono un dono nuziale del re Cristiano I di un altro Regno Unito, quello di Danimarca e Norvegia, come parte della dote del matrimonio della figlia col re Giacomo III di Scozia. Pare che non abbiano mai smesso di sentirsi norvegesi e non scozzesi così come gli scozzesi non si sono mai sentiti inglesi. Non parlano un dialetto gaelico ma una fiera parlata germanica, non indossano il kilt e sventolano la loro bandiera. Sono insomma almeno altrettanto “scozzesi” degli scozzesi nei confronti degli inglesi. Per completare le diversità non sono chiamati alle urne (gli abitanti sono in tutto 45mila) ma prenderanno le loro decisioni in base al voto degli altri. Essi puntano sul fatto che una sconfitta degli “europeisti” di Londra o una vittoria dei nazionalisti di Glasgow avrebbe come conseguenza automatica la caduta di tutti i legami. Pronti gli inglesi di andarsene da Bruxelles, gli scozzesi di dire addio a Londra, ai fieri isolani di lassù potrebbe venire in mente di ricongiungersi con i loro cugini di Copenaghen (magari nella forma di una semiautonomia che la Danimarca concede già alle isole Faroe’) oppure di Oslo, anche perché la Norvegia è oggi il Paese più ricco d’Europa e nelle loro vene scorre lo stesso Oro Nero.
Si potrebbe pensare che si tratta, dopotutto, di “quattro gatti”; ma possono bastare, se non a decidere per gli altri sessanta milioni di concittadini, a dare una spintarella a un numero sufficiente di costoro per fare crollare la fragile associazione con l’Europa. Di cui la Norvegia ha sempre rifiutato di far parte ed è quindi la vera isola del Mare del Nord.