Alberto Pasolini Zanelli
da Atene
La parola “proemio”
può essere consentita perché si riferisce a un evento che è al contempo raro ed
antico. La Grecia ,
che quasi tremila anni fa inventò il termine e la realtà della democrazia,
connotato principale dell’Europa, è andata a votare con un paio di giorni di
anticipo sugli altri Paesi del continente. E così può offrire dei risultati,
per quanto atipici, oltre che dei pronostici. Non ci ha dato invece una
sorpresa: hanno vinto quelli che era facile pronosticare vincitori, i partiti
della protesta, primo fra tutti Syriza, il cui leader Alexis Tsipras, è
candidato alla presidenza della Commissione Europea come leader dell’intera
Sinistra. Ha vinto ad Atene e in gran parte delle province, comprese le più
remote isole dello Ionio e dell’Egeo, sconfiggendo quasi ovunque i partiti di
governo, socialista e liberal-conservatore, cioè le formazioni politiche cui è
toccato il penoso dovere di tenere aperta la bottega alle condizioni imposte dall’Europa
merkeliana e dai Poteri europei e planetari.
Non è una sorpresa:
gli umori ellenici erano noti da tempo, espressi non soltanto negli slogan delle
dimostrazioni ma anche con i sassi che più volte sono volati nella piazza
centrale di Atene, massime in occasione della visita della Cancelliera di
Berlino dell’autunno scorso. Si è votato per ora per le amministrazioni locali.
Se gli umori non cambieranno in pochi giorni, se i greci voteranno allo stesso
modo nelle elezioni per il Parlamento europeo, la confraternita della protesta
partirà in testa. Non è un buon auspicio, non è una sorpresa. È una piccante
curiosità che il candidato vincitore ad Atene si chiami Gavrill Sakelaridis, omonimo
di quel Gavrill Princip, l’uomo che cent’anni fa uccise a Sarajevo l’Arciduca
d’Austria dando così il via alla Prima guerra mondiale. Una curiosità, certo, ma
l’espressione di un malumore diffuso. Con la scheda invece che con la pistola. Ma
anche un richiamo per chi ha memoria di storia di un’altra ben più importante
coincidenza. Il primo “no” all’Europa viene dal Paese e nella lingua di chi
inventò quasi tutte le parole che descrivono gli ideali europei e planetari. Si
parla molto nell’ultimo paio d’anni delle Piazze, dal Tahir al Cairo alla Maidan
di Kiev. A qualcuno era già venuta in mente, all’esplodere della “crisi del
debito” in Europa, una “modesta proposta”, evidentemente solo cartacea: una
soluzione a questa tragedia greca che è poi anche la nostra attraverso una
modifica delle leggi sul copyright. Ogni volta che un uomo di governo, un
teorico, un semplice candidato a qualsiasi carica grande o piccola dal Mediterraneo
all’Artico, avesse pronunciato o scritto una di quelle parole-chiave,
“democrazia”, “aristocrazia”, “oligarchia” , “isonomia” eccetera avrebbe potuto
o dovuto pagare una piccola cifra all’erario greco. Pochi mesi di una campagna
elettorale in Francia o in Germania o anche in Italia avrebbe fornito
all’erario ellenico abbastanza per ripagare tutti i suoi debiti e per far
ripartire il conteggio da zero.
Non era una
proposta, naturalmente. Semmai un sogno da filologo, al meglio un’espressione
di gratitudine. Anche solo proposta, senza illusioni concrete. Un salario di
gratitudine a chi creò l’Europa come è, anche con i suoi difetti, anche con la
sua storica demagogia (un’altra voce del lessico ellenico), comunque una
qualche manifestazione di solidarietà. Forse sarebbe bastato che gli statisti del
Portogallo o della Lituania, i potenti dalla Cancelleria di Berlino alla City di
Londra sentissero l’obbligo morale di portarsi un interprete ed emettere i loro
dinieghi nel lessico e nella sintassi di Socrate o di Eschilo. Senza dimenticare
il Vangelo. O almeno in greco rinnovare la triste memoria di quell’Ouki che
Atene oppose a un ultimatum, purtroppo italiano, nell’ottobre del 1940.