da Parigi
Arrivati alla vigilia del voto per il Parlamento europeo è forse opportuno “ri-centrare” il periplo, l’analisi, le previsioni. Non verso il Centro politico, che difficilmente uscirà vincitore da questa prova, bensì verso due centralità: una geografica e l’altra economico-politica. Il primo è un ritorno alle origini: se l’Europa può e deve avere un centro, esso può essere solo qui. Altrove non può nascere e non può rimanere. È così da secoli. La Germania può godere di frenetiche “esplosioni” economiche seguite da oscillazioni e seguita da molti (come accade oggi) ma mai da tutti. Tutte le guerre che hanno funestato il nostro continente hanno in qualche modo coinvolto la Francia, altrimenti erano conflitti grossi ma parziali. E il moderno ideale di Europa, quella che ancora ci affascina anche se in questo periodo sempre più ne disperiamo, è nata non da considerazioni finanziarie ma dalla coscienza di due governi, tedesco-occidentale e francese, che non si poteva andare avanti così a distruggersi a vicenda in guerre evitabili.
Si chiamavano Konrad Adenauer e Robert Schumann gli scopritori dell’inevitabile. Si chiamavano Francois Mitterrand e Helmut Kohl coloro che rinnovavano il rito passeggiando la mano nella mano fra le tombe di Verdun, dove cadaveri tedeschi e francesi sono mescolati. Il Parlamento europeo funziona, quando può, a Strasburgo, che più volte è passata da città tedesca a francese. E fra le varie celebrazioni del centenario della Prima guerra mondiale, la più significativa avverrà nel vagone di Compiègne, la carrozza ferroviaria che ospitò ancora nel 1940 l’umiliazione della resa della Francia alla Germania e cinque anni dopo della Germania alla Francia. Qualcuno se lo ricorda ancora, fra gli eurofobi e perfino fra coloro che non vedono altro che i tassi di cambio.
E la Francia, più della stessa Germania, può riassumere il continente, le sue angosce, le sue illusioni e le sue delusioni. Potrà nascere una confederazione baltica con capitale Berlino, ma non sarà l’Europa. Potranno allacciarsi patti mediterranei ma non saranno europei.
Una centralità che si ritrova anche nell’ammasso di cifre, talvolta contraddittorie e comunque superficiali, dei sondaggi nei vari Paesi alla vigilia del voto. Il governante oggi più impopolare d’Europa non siede a Madrid, né ad Atene, né a Londra, né a Roma bensì a Parigi. A Francois Hollande spetta lo scomodo onore di godere della fiducia di un solo francese su cinque al punto che egli ha avuto l’obbligo ma anche il coraggio di annunciare recentemente che, se le cose continueranno ad andare così, rinuncerà a candidarsi per la rielezione all’Eliseo quando quel turno verrà. L’“olandese” aveva strappato l’Eliseo un paio di anni fa a Nicolas Sarkozy, l’“ungherese”. Oggi come oggi l’onda degli entusiasmi sospinge Marine Le Pen, francese di sangue e de vieille souche bretonne. Ma il nuovo primo ministro Manuel Valls, il “catalano” dalla mamma italiana e il nuovo sindaco di Parigi è Anne Hidalgo. Il melting pot d’Europa, se non si vuole andare fino a Napoleone.
Centralità, però, soprattutto nella ricerca della identificazione delle fonti del malessere europeo di oggi. Molte sono riconducibili ai meccanismi del Mercato, alle imprevedibili miscele fra il salto nel vuoto della globalizzazione e gli oscuri miracoli delle nuove tecnologie, ma se si vuole rimanere, come si dovrebbe, nel campo politico, non è più un caso che l’erompere della crisi, almeno in Europa, coincida anche con la perdita di orientamento della Sinistra. Non quella degli antichi sogni e incubi del comunismo ma quella che avrebbe dovuto subentrarle ben salda nell’ambito democratico: il “terremoto capitalista” non ha trovato una risposta dove essa era necessaria: la sinistra europea paga lo scotto di essere rimasta assente nella formulazione e nella spiegazione di fenomeni come la globalizzazione. I portatori dell’esperienza socialista e socialdemocratica hanno minimizzato l’importanza dei problemi, mancando di comprenderli o decidendo di ignorarli e hanno preferito parlare d’altro e scaricare sugli avversari tradizionali la responsabilità, la guida e la capacità propositiva, trascurando per cominciare la protezione di quei ceti che per tradizione la sinistra avrebbe dovuto proteggere, ispirare, guidare. O forse si avvera una vecchia “profezia” che ricordo da un colloquio più di trent’anni fa con un potente ispiratore di Mitterrand e, dunque, di Hollande: “La politica socialdemocratica non ha molto avvenire se tempo verrà in cui si fermerà l’espansione economica. La sinistra vive praticamente della ripartizione dei frutti della crescita. Finché la torta aumenta si può operare per dare ai lavoratori una fetta maggiore: della crescita, non della torta. Quando questa diminuisce non rimane niente da dividere se non la torta stessa. Se si tentasse di farlo sarebbe la fine della pace sociale. Oppure si finirà col dovere passare il potere ai conservatori, che potranno cercare di gestirla meglio”.