Alberto Pasolini Zanelli
Mosca rompe il suo “digiuno”
diplomatico sul Medio Oriente. E propone niente meno che una Grande Alleanza per
il Medio Oriente che comprenda i Paesi arabi aggrediti dagli estremisti del
Califfo e della risorgente Al Qaida assieme ai loro protettori e sostenitori.
Tutti, e dunque Irak e Siria, la
Turchia e i curdi, la Russia e l’America. Un disegno arduo e non privo
di contraddizioni. Lo discute in questo momento il ministro degli Esteri Sergei
Lavrov con il collega saudita Adel al-Jubeirin. Due giorni prima egli aveva avuto
un colloquio sullo stesso argomento con il Segretario di Stato americano John
Kerry nella capitale del Qatar. Nel breve intervallo egli ha “lanciato” in un
discorso televisivo la forma e la sostanza di una proposta del Cremlino che
tende ad allargare la coincidenza di interessi e soprattutto di comune difesa
contro i due estremismi “concorrenziali”. Il cardine del piano è la proposta è di
completare una alleanza fragile e contraddittoria che già c’è fra i “moderati” del
mondo arabo, gli interessi dell’Occidente e quelli comuni al mondo.
“Soluzione” fragile
e contraddittoria, che però è da tempo in atto in diversi punti del vasto
scacchiere mediorientale, anche se ad intermittenza e spesso negato dai governi
che ne fanno parte e che per un cumulo di motivi che vanno dagli interessi
petroliferi e finanziari al fattore forse predominante delle opportunità politiche
“domestiche”. I casi più frequenti riguardano la Siria, dove i combattimenti
sono più frequenti e impegnativi e dove sono presenti sul terreno quasi tutti
gli Stati e le organizzazioni di quella parte del mondo: da una parte le due
“internazionali” del terrore islamico, dall’altra i loro nemici, dai governi di
Damasco e di Bagdad, dalla Turchia agli indipendentisti curdi, dall’Iran agli
Stati Uniti. Con episodi rivelatori e pittoreschi in modo allarmante. Gli
ultimi riguardano la geografia bellica: da una parte Isis e Al Qaida,
dall’altra gli Stati Uniti e i loro alleati anche europei ma fino in fondo
soltanto britannici, dall’altra parte i sostenitori del regime siriano e del governo
iracheno, i curdi e, ultimo arrivato e in posizione più ambigua, la Turchia. Che ha firmato un
accordo con Washington che apre gli aeroporti di Anatolia agli aerei militari
Usa, ma nel contempo legalizza la strategia di Ankara che dal territorio
nazionale fa partire gli attacchi alle basi curde, impegnate, nei due Paesi
arabi, nelle più “robuste” operazioni militari contro i terroristi. Turchi e
curdi hanno entrambi profondi motivi storici di antagonismo, soprattutto i
secondi nel “centesimo” compleanno delle stragi dal sapore di olocausto
organizzate dai primi per eliminare i secondi. Turchi e curdi sono alleati ma
sono in guerra gli uni con gli altri, anche se Ankara dichiara di limitare,
almeno per ora, le sue operazioni a una delle fazioni curde, quella di
sinistra, il Pkk, mettendo la sordina alle altre contro la più robusta fazione
“moderata”.
A non molta
distanza, la contraddizione si riaffaccia coinvolgendo più direttamente l’America.
Il Pentagono ha dovuto accettare una spartizione di fatto di un aeroporto
militare con le forze fedeli al dittatore di Damasco, Assad e reparti di
Hezbollah, una “milizia” di obbedienza iraniana e che gli Stati Uniti considerano
ufficialmente “terroristica”. Per fortuna si tratta di un aeroporto molto vasto
e quindi i soldati non sono costretti a “dormire con il nemico” assieme al
quale alla mattina dopo ricominciano a combatterlo, seppure con operazioni
parallele e a volte in “concorrenza”.
È su questi episodi,
e altri forse più frequenti ma più agevoli da “coprire” in qualche modo che la Russia fonda la sua
proposta. Che è l’invito agli americani e agli altri di “riconoscere la realtà”
e trasformare questa surreale mescolanza e ambivalenza tra amici e nemici. In
sostanza Putin chiede a Obama di riconoscere che il Nemico sono le
organizzazioni terroristiche islamiche e che tutti coloro che le combattono
sono di fatto alleati. Una volta che lo riconoscessero potrebbero operare più
efficacemente non “fondendosi” ma coordinando le loro operazioni alla luce del
sole. Se sarà troppo difficile passare da una alleanza vera e propria, dovrebbe
essere accettato uno stato di co-belligeranza, di cui si trovano numerosi
precedenti nella storia, particolarmente nel ventesimo secolo.