Claudio Antonelli, (Montreal -Canada)
L'elezione e
l'insediamento di Barack Obama alla presidenza USA ci hanno permesso di
prendere coscienza della messa al bando, nella lingua italiana, del termine
“negro” riferito all’identità etnica. “Negro”, con riferimento al color della
pelle ossia alla razza, è parola ormai spregiativa. Al suo posto è da usare
solo “nero”.
“Obama è il primo presidente nero” hanno così proclamato, unanimi, gli organi d’informazione della penisola.
Nero, quindi, e non negro come si sarebbe detto fino a ieri l'altro.
Ma come si è potuto
verificare, nella lingua italiana, questa rapida caduta di “negro”, sostituito
dal politically correct “nero”? Se la parola “negro” ha assunto un significato
peggiorativo, ciò è avvenuto per la sua condannabile assonanza con la parola
“nigger”, che in inglese è usata come insulto. Ancora una volta è stato
l’esempio americano ad influenzare gli italiani, ultrasensibili ai suoni e alle
mode d’oltreoceano. È già molto, oso dire, se giornali, radio e televisione non
hanno puramente e semplicemente adottato il termine inglese “black”. Ma non
è detto...
Non è stata l’Accademia
della Crusca, ma sono stati i giudici italiani, in un momento di tregua nella
guerra contro Berlusconi, a tagliare il nastro inaugurale di questa rivoluzione
lessicale. La Corte di Cassazione, ignorando i dizionari, ha sancito: «Sul
piano linguistico, la parola negro, traslato di nero, non definisce
semplicemente il colore della persona, a differenza di moro. Difatti è stata
assunta nella recente epoca coloniale, nelle lingue neolatine ed anglosassoni, per
la designazione antonomastica dell'indigeno africano, quale appartenente ad una
razza inferiore, quando non destinato, con questa falsa giustificazione fatta
perfino risalire alla Bibbia, alla schiavitù, perdurata in America fin oltre la
metà dell'Ottocento».
I linguisti si sono dovuti adeguare alla storica sentenza. E oggi, anche se
diversi dizionari continuano a dare tranquillamente a “negro” la definizione di
“appartenente, relativo alla razza negra”, altri offrono una prudente messa in
guardia. Il Garzanti:
"La parola negro è stata spesso usata in modo spregiativo; per questa
ragione si preferisce sostituirla con nero ed è quasi del tutto caduta in
disuso in espressioni riferite alla cultura".
Ormai solo gli ispanici, meno complessati di noi nei
confronti del mondo angloamericano (bisogna anche dire che loro hanno solo
“negro”, mentre noi e i francesi abbiamo le forme alternative: “nero- negro”,
“noir-nègre”), continuano imperterriti ad usare il termine “negro”.
Non vorrei adesso dare l’impressione che io inciti
il lettore a boicottare il politically correct “nero”. No, non si può tornare
indietro perché l’irreparabile è avvenuto. È l’uso e solo l’uso a dare un
buono o un cattivo odore ad una parola. E i giudici togati, tra una polemica e l’altra
con Berlusconi, hanno determinato l’uso, anzi il “non uso”, di “negro” dandogli
un cattivo odore. E io mi adeguo, seguendo l’esempio di Sergio Romano che sul
“Corriere della Sera” ha scritto con molta saggezza: “Anch’io penso che la parola negro non sia
spregiativa. Ma so che in questo momento offende la sensibilità di molte
persone ed evito di usarla. Non è prudenza. È soltanto galateo. »