Alberto Pasolini Zanelli
Atene, per l’ultima
volta calano l’ultima carta. Ormai è una scadenza poco più che mensile: si
rinuncia al dialogo, o almeno si annuncia la rinuncia e poi le cose continuano
più o meno come prima, secondo la triste abitudine di una gara di marcia
all’indietro. L’annuncio, questa volta e quasi tutte le volte, è . Se Tsipras ha deciso ora di dimettersi, sciogliere le
Camere, organizzare elezioni-lampo, non è perché vuole “dare una parola al
popolo” ma perché non gli restava altro da fare, perché la situazione non gli
lascia spazi per altre mosse: annunciare un “gesto di forza” che in realtà
sottolinea la sua debolezza. I greci torneranno alle urne tra un mese,
convocati per l’ennesimo “estremo appuntamento”. L’annuncio suona drammatico e
“rivoluzionario”, ma la procedura è diventata ormai routine. Ad ogni paio di
mesi l’Ellade rinnova un rito essenziale della vita di un sistema politico che
i suoi avi inventarono trenta secoli , cioè all’alba del mondo moderno e che si
chiama democrazia. Ma ciò è accaduto ormai tante volte, così spesso che nessuno,
tanto meno un popolo tormentato come quello greco, crede più che possa cambiare
le cose.
È triste per tutti,
dovrebbe suscitare in ciascuno un certo rimorso oltre che dispiacere e forse ciò
comincia ad accadere, ma è semplicemente l’annuncio di una crisi che cambia
colore o perfino nome ma nei fatti è sempre quella, è l’unico gesto che possa
presentarsi come definitivo mentre invece ha ormai il passo della routine. È un
gesto, una imposizione come reazione a un’altra imposizione. Due anni fa i
greci andarono alle urne per dire addio alla propria classe politica vecchia e
ormai senza prestigio; e qualcuno dall’estero gli disse che la loro scelta non
aveva cambiato nulla ed aveva il valore di una concessione travestita da
conversione. Sarebbe servito, quel ricorso alla volontà popolare, se quel
popolo avesse scelto ciò che “i superiori” volevano. Ciò non era accaduto e
quindi non era cambiato niente. Mugugnando ma disciplinati, gli elettori di
Atene tornarono a votare ed eseguirono gli ordini. Neanche questo bastò a
strappare condizioni migliori. Produsse anzi un’ondata di rivolta, la nascita o
la “esplosione” di un nuovo partito intransigente e “giovanile” quanto il suo
giovane leader. Tentò una “rivoluzione” che condusse a nuove elezioni e a un
risultato sulla carta decisivo. Vinse il “fronte del no” che tentò di mettere
con le spalle al muro la Santa Alleanza
dei creditori intransigenti. Che però continuavano ad avere in mano tutti gli
assi e i re e le “figure”. Trattarono di nuovo, fallirono, misero in piedi
un’ombra di compromesso che non bastava a nessuno.
Però il nuovo
“giro” di consultazioni un risultato lo ebbe: fece dilagare una febbre,
un’epidemia. Adesso non ci sono più i soli greci ad avere in mano carte
“deboli”. Adesso la divisione non è più soltanto una rissa fra poveri ma un
dibattito fra chi potrebbe davvero scegliere ma non ce la fa. Tsipras si è
dimesso per mettere con le spalle al muro i “suoi” dissidenti, coloro che,
all’ala “sinistra” del suo movimento, rifiutano di accettare un “compromesso” che
odora di capitolazione. Diventava sempre più probabile che il Parlamento in cui
Tsipras aveva costruito una maggioranza plebiscitaria bocciasse l’“ultimo” accordo
grazie all’incontro fra opposte dissidenze: fra i rassegnati a dire “sì” a
Bruxelles e a Berlino per quei pochi euro che sono disposti a lasciare sul
tavolo e i fautori della resistenza ad oltranza. In ambedue i casi per Tsipras
sarebbe stata una sconfitta e, quasi certamente, la fine politica. Così essa
viene rinviata perlomeno per qualche settimana.
Mentre emerge quello
che non si può chiamare fatto nuovo perché nuovo non è, ma che complica ulteriormente
il contenzioso. Il frazionamento ellenico ha adesso dei compagni nella
controparte. Il Fondo monetario internazionale, guidato da un leader che sa
essere duro ma anche lucido, si chiama fuori da una strategia che nulla
risolverebbe perché l’“Europa” non si vuol decidere a fare uno “sconto” concreto.
In Europa si moltiplicano, seppure cauti e un po’ timidi, i dissensi. E perfino
dentro il governo e il Parlamento tedeschi crescono i dubbi e si disegnano le
crepe. Al punto che dal chiacchiericcio degli ultimi giorni è emersa una nuova
formula. Anzi un nuovo mito. Angela Merkel, la “Cancelliera di Ferro”, viene
ora tacciata di “indecisione” e “atteggiamenti contraddittori”. Nella Tragedia
greca si fa strada un’altra storica istituzione ellenica: il Sofisma.