Alberto Pasolini Zanelli
Così va la Grecia, così va la Scozia, così va la Catalogna. Ultima
in ordine di tempo, netta nell’espressione della sua volontà o almeno del suo
desiderio. Chi si chiede se l’Europa abbia ancora un mastice che la difenda dal
suo malumore, ha trovato in queste ore una ulteriore conferma. A quesiti
formalmente diversi, con diverse immediatezze nel futuro, con radici non tutte
simili nel passato ma con una similarità psicologica. L’Europa di moda è quella
che rifiuta l’Europa. Il risultato delle elezioni regionali catalane non ha
l’immediatezza di un referendum: il suo esito però consegna alla cronaca e alla
storia una chiara indicazione della volontà dei suoi cittadini. Non solo le
formazioni dichiaratamente indipendentiste raccolgono metà dei suffragi, quel
che più conta, la maggioranza assoluta dei seggi al Parlamento di Barcellona,
ma la formazione politica più “spagnola” di tutte, il simbolo stesso della
volontà unitaria, non arriva al 10 per cento. Da domani il Partido Popular ricomincerà
la sua battaglia per cui possiede importanti mezzi giuridici ma cui è sfuggita
di mano praticamente del tutto la carta della volontà popolare. Con
ripercussioni presumibilmente immediate su altre regioni della Spagna, che
includono la più pericolosa fra le secessioni, quella del Paese Basco, con il
suo passato non remotissimo che include il terrorismo. Il risultato non è
sorprendente che nelle dimensioni, perché già Barcellona si era data, pochi
mesi fa, un sindaco e una maggioranza comunale di un’altra forza di opposizione
diversamente congegnata ma simile nella volontà: il movimento Podemos, dalla “sigla
americana” (la traduzione spagnola del “Yes, We can” di Barack Obama) e dalla
sostanza di genuino separatismo iberico. La battaglia passa ora dalle schede ai
codici, a una Costituzione tuttora legittima che espressamente vieta che il
popolo catalano vuole. Non molta differenza, se si vuole, con la Scozia. Diverso il caso della
Grecia, la cui unità politica non è in discussione e tutto il resto sì.
Ma a noi interessa
l’Europa e questa Europa, o almeno una buona parte di essa, ha trovato una sua
unità nella protesta. In formule diverse, ma non interamente dissimili. Se la Catalogna dice di volere
l’indipendenza e basta, la
Scozia vuole al contrario uscire dalla Gran Bretagna per
entrare in Europa in proprio, anzi mentre Londra prende maggiori distanze
dall’Ue. Anche altrove il malumore regna, dalla Francia al Veneto. Gli ultimi
sondaggi transalpini indicano una forte possibilità che Marine Le Pen, nonostante
la sua clamorosa rottura con il padre, arrivi in testa nelle prossime elezioni
presidenziali; un caso in cui la protesta si volgerebbe recisamente a destra,
così come in Grecia e in Spagna ha virato a sinistra rispondendo a un bisogno
che la forza non sia solo il risultato della protesta ma anche della scelta in
cui questa può incanalarsi con più efficacia. In Italia questa è la “patria
veneta”, cui le radici culturali non mancano e che disporrebbe, come la Catalogna, perfino di
una lingua invece che di un dialetto. Anche le somiglianze storiche sembrano
indicare una direzione certamente tutt’altro che di sinistra. Una “somiglianza”
soprattutto fra due eredità: la
Serenissima può non essere modello del Veneto moderno, anzi
in molte cose se ne distingue e vi si contrappone, esprime una orgogliosa
crescita recente più che una eredità aristocratica ed antica. A ragione o a
torto, come la Catalogna,
più della Catalogna. Ma con tutte le difficoltà, le differenze, le sbandate, le
inverosimiglianze.