Rosario Amico
Roxas
Ci tocca
compiangere noi stessi che, ancora, non ci arrendiamo e rimaniamo “siciliani”, come
se un virus onnipotente ci avesse segnati per la vita.
L’altra
Sicilia è quella che lascia il campo, che abbandona la battaglia, che si
arrende, non al più forte, bensì all’orda dei famelici dei senza-scrupoli.
Siamo
portati, al limite del paradosso, di nutrire nostalgia del passato, quando la
Sicilia contava qualcosa, anche se gli elementi di spicco che imponevano la
distorsione della “sicilianità” erano i mafiosi che reggevano la “cupola” e
dettavano le leggi al Palazzo d’Orleans.
Ora è una
Sicilia abbandonata da tutti, rimaniamo solo quelli che non sapremmo dove
andare.
·
Fuggono i giovani in
cerca di lavoro.
·
Fuggono i cervelli in
attesa di potersi realizzare.
·
Fuggono gli imprenditori
ai quali manca il mercato.
·
Ma ciò che maggiormente
segna la tempistica dell’abbandono, è la constatazione che anche la mafia ha
abbandonato la Sicilia.
E’ rimasta la
cupola mafiosa, nascosta nei meandri delle latitanze, mentre nuove formule
magiche hanno sostituito la vecchia cupola con una più moderna gerarchia dove è
d’obbligo una laurea, meglio se corredata da un incarico parlamentare, per la
quale genera punteggi di gradimento la frequentazione dei salotti buoni della
capitale Palermo, o di quel poco che è rimasto.
La
criminalità organizzata, vanto di una Sicilia sospesa in bilico nell’offesa
alle leggi, ha abbandonato la Sicilia; e qui sta il paradosso.
Abbiamo
inventato la mafia, l’abbiamo resa celebre nel mondo, siamo stati identificati
Sicilia = Mafia, e adesso, proprio la nostra creatura ci lascia, ci abbandona
in mano a pochi guitti inetti e incapaci financo di delinquere.
L’evento che
ci condanna è l’evoluzione del concetto di criminalità; prima c’era il crimine organizzato, ma si è visto che
non rende più come prima, per cui si è resa necessaria la sua evoluzione in crimine istituzionalizzato, per cui la
sede di elezione non poteva più essere rappresentata dalla Sicilia, ma
bisognava accostarsi il più possibile alle istituzione che governano il
Belpaese e ai siti produttivi dove circolano montagne di denaro sottoposte e
sottomesse alla nuova logica della corruzione.
Il crimine
organizzato lascia la Sicilia e si trasferisce
altrove, dove connivenze più qualificate
(o più squalificate, fate voi…!) promettono ponti d’oro.
E i ponti
sono spuntati come funghi dopo una burrasca:
·
mafia capitale Roma ,
·
Mose nel Veneto e a
Venezia,
·
Expo a Milano e
Lombardia;
tutti frutto
del crimine istituzionalizzato.
In Sicilia niente,
neanche lo straccio di uno scandalo, solo polemiche pseudo politiche a tutela
di quelle poltroncine ormai sfondate, sulle quali sederi adusi ad offrirsi al
miglior offerente, stanno in attesa di essere prescelti.
Ma non accade
neanche ciò, perché altrove emergono migliori domande e maggiori offerte.
A quanti
rimane ancora la voglia di sperare non resta altro che l’attesa che qualche
ricchissimo emiro arabo compri le poche
eccellenze rimaste, e venga a sodomizzare tutto il resto; e ne saremo contenti,
e applaudiremo senza ritegno, come abbiamo applaudito quel tale Giuseppe
Garibaldi quando, accompagnato dalla feccia del porto di Genova, venne a
liberarci dal benessere, per trascinarci in mano a quei Savoia, grazie al
tradimento dei generali borbonici, grazie alle ruberie “manu militari” delle
ricchezze giacenti nel Banco di Sicilia e nel Banco di Napoli, grazie alla
inettitudine di quanti speravano di cambiare tutto, purchè tutto rimanesse alla
“status quo”.
La storia si
ripete, così ci hanno rapinato di tutto, anche della mafia.