A poco più di un anno dalla proclamazione del “Califfato” (29 giugno
2014) può essere utile passare in rassegna le caratteristiche di questo nuovo
“avatar” di un’antica istituzione del mondo islamico, partendo dal movimento
politico che le ha dato i natali, e cioè dallo Stato Islamico.
1) Ad un
primo livello, lo Stato Islamico[1] è un movimento dell’Islam
politico che si propone la difesa delle popolazioni sunnite in Iraq ed in
Siria, soggette in entrambi i Paesi ad accentuata repressione da parte di
Governi a guida shiita. Di conseguenza l’affermazione iniziale dell’IS ha
potuto godere di un pregiudizio favorevole da larga parte delle locali
popolazioni sunnite, che ancora probabilmente in parte sussiste.
A differenza degli
altri movimenti dell’Islam politico jihadista, lo Stato Islamico esercita il
controllo dei territori interessati. Gestisce oggi un’area di una superficie
paragonabile a quella dell’Italia o del Regno Unito (anche se in parte
deserta), con una popolazione circa 7/8 milioni di abitanti, nel quale assicura
– secondo i proprî criteri ideologici - una serie di funzioni normalmente
riservate all’autorità statale (scuole, sanità, energia, trasporti…, ma anche
forme di giustizia e di imposizione fiscale).
Poco si conosce
della sua effettiva dirigenza e organizzazione anche perché, essendo sottoposto
ad una forte pressione anti terroristica – mantiene la stessa segretezza
operativa che caratterizzava le sue precedenti fasi di organizzazione
clandestina.
Esiste in
particolare molta incertezza sul totale dei quadri politici e militari di cui
dispone, anche perché la loro composizione è molto articolata (amministratori,
tecnici, battaglioni combattenti, combattenti stranieri, forze di
sicurezza/Mukhabarat, ecc…) e quindi essi possono essere contati in vari modi.
Le stime oscillano infatti tra le 30.000 e le 200.000 unità.
Oltre a rimanere
certamente un movimento terrorista, l’IS gestisce anche operazioni militari di
tipo classico (d’altronde con materiale pesante di origine statunitense
sottratto all’esercito iracheno).
La presenza nei
quadri dell’IS di un numero importante di ufficiali dell’ottimo esercito di
Saddam Hussein, ed in particolare dei servizi segreti[2], spiega la rapidità e
l’efficienza della sua conquista di parte della Siria nord orientale e delle
provincie sunnite in Iraq.
Non è chiaro se
questi ufficiali dell’esercito baathista iracheno rappresentino solamente il
braccio armato dell’ISIS, o quanto ne siano stati i veri creatori, come
sostiene ad esempio una recente inchiesta di Der Spiegel[3]. In questo caso
l’autoproclamato Califfo, Abu Bakr el Baghdadi, sarebbe solamente una figura di
copertura, utile ad una legittimazione sul piano religioso (anche perché
appartiene alla tribù dei Qureshi, uno dei requisiti per rivestire il
Califfato). Ma a questo punto la questione ha solamente un interesse storico.
2) Non sfugge
che l’affermazione in larghe parti della Siria e dell’Iraq dello Stato Islamico
costituisca un pregiudizio per l’esercizio dell’influenza dell’Iran in
quell’area, e quindi un vantaggio per l’Arabia Saudita e per le Monarchie del
Golfo che questa influenza combattono.
E’
quindi probabile che, nella fase ambigua del ritiro delle truppe americane
dall’Iraq e della sua nascita e distacco dalla preesistente al Qaeda, l’IS
possa aver contato su appoggi finanziari e di altra natura appunto dall’Arabia
Saudita e da altri membri del CCG, per via diretta o indiretta. In diversi
momenti ha anche beneficiato - sul piano puramente tattico - di una connivenza
delle autorità siriane e turche.
Questa
fase - essenziale per l’affermarsi dell’IS - è probabilmente oggi superata
(salvo prova contraria!) dato che, come vedremo, la più recente proclamazione
del “Califfato” rappresenta una minaccia anche per le autorità sunnite della
regione. Uno dei tanti esempi di eterogenesi dei fini di cui si è testimoni
nell’odierno scenario mediorientale.
Comunque, ora che
ha consolidato il suo potere nelle vaste aree conquistate, lo Stato Islamico
sembra essersi procurato gli strumenti per un importante autofinanziamento
(confisca degli averi delle banche locali, esportazioni clandestine di petrolio
e di opere d’arte, tassazione delle popolazioni locali, riscatti di ostaggi,
ecc…), tanto da non dipendere più da padrini esterni.
3) Dal punto
di vista dell’Islam politico, l’ISIS adotta una versione jihadista del
salafismo che presenta alcune caratteristiche distintive:
- Considera
“takfiri”, cioè apostati, non solamente coloro che deviano dalla fede o non
l‘accettano, ma anche coloro che ne violano i precetti (quindi non solo i
miscredenti, ma anche i peccatori). Una definizione molto più estrema di quelle
adottate da tutti gli altri movimenti islamisti, compresa al Qaeda. Ed i
“takfiri” possono essere uccisi, ciò che nello Stato Islamico avviene ogni
giorno.
- E’ anche
una linea “escatologica”, che interpreta la lotta politica come resa dei conti
con il mondo degli “infedeli” in funzione di una prossima fine dei tempi, nella
quale il Califfato avrà il ruolo di protagonista[4].
- Infine
propugna una interpretazione delle scritture che ritorna ai primi e più
violenti giorni della vicenda bellica di Maometto. Tale interpretazione finisce
per legittimare i peggiori istinti della psicologia umana (volendo, le
decapitazioni, crocifissioni, lapidazioni, crudeltà indicibili, schiavitù,
disprezzo della dignità dei nemici, distruzione dell’eredità culturale non
islamica, ecc…, possono trovare giustificazione nel Corano). E’ sorprendente
come un movimento di dichiarata ispirazione religiosa finisca per rassomigliare
molto ad una forma di nichilismo, almeno rispetto ai valori ed alla cultura occidentali.
La
violenza di tali comportamenti – oltre a costituire una affermazione di
principio - è comunque funzionale sia a terrorizzare il nemico che e a
mantenere il controllo sulle popolazioni dei territori controllati. Facilita
comunque il reclutamento di determinati tipi di persone, in loco e da Paesi
terzi.
Non
è dato sapere quanto siano sincere le convinzioni religiose della dirigenza
dell’IS (di cui si sa pochissimo). Sta di fatto che le migliaia di membri dello
Stato Islamico mantengono queste convinzioni con coerenza, e con coerenza le
praticano, in molti casi usque ad cadaver.
Ciò costituisce un dato politico concreto.
4) Su di un
altro livello, con la proclamazione di un “Califfato” lo Stato Islamico mira a
superare la dimensione locale (governo delle aree sunnite della Siria e
dell’Iraq) per proporre a tutti i musulmani sunniti un governo politico
unitario della Umma.
Il Califfato è,
per sua natura, universale e quindi espansionista. Non riconosce i confini né
gli Stati esistenti.
Dato il suo carattere universalistico - e
sovversivo dell’ordine costituito - il richiamo ad un Califfato esercita una
grandissima attrazione su tutti gli scontenti delle popolazioni arabe e
musulmane e spiega sia la serie di adesioni (baya’a) all’ISIS di movimenti islamisti sovversivi in altre Paesi
(ad es. Arabia Saudita, Yemen, Egitto/Sinai, Libia, Nigeria, ecc…), sia
l’afflusso di combattenti stranieri da tutte le comunità islamiche, anche del
mondo occidentale.
Come
è noto, il richiamo propagandistico del Califfato in tutto il mondo musulmano è
veicolato da una attività di comunicazione che sfrutta in modo mirabile i media
informatici, facendo leva su tutte le frustrazioni delle comunità musulmane,
sia degli stessi Paesi islamici che dell’emigrazione.
5) Il
Califfato - per le caratteristiche ideologiche e per il suo programma politico
- è quindi in urto con tutte le altre forme di Islam politico, a partire da al
Qaeda da cui l’IS si è originariamente staccato. L’IS combatte infatti oggi
contro altri movimenti islamisti in Siria, in Yemen, in Libia.
L’IS costituisce
anche una minaccia diretta anche per i Governi degli altri Paesi islamici
dell’area. Infatti, mentre al Qaeda ha fatto la scelta di combattere “il nemico
lontano” (gli Stati Uniti e l’Occidente)[5] l’IS sceglie di combattere
il “nemico vicino” cioè tutti gli Stati arabi e tutti i movimenti di Islam
politico con impostazioni diverse dalla sua.
Lo Stato Islamico,
per le sue caratteristiche ideologiche, non è in grado, né intende, di
partecipare alla Comunità Internazionale. Non può infatti riconoscere altre
autorità (nazionali o internazionali) con cui negoziare, perché non esiste
altra sovranità di quella di Dio.
Quindi il progetto
del Califfato, mentre gode di una vasta e crescente popolarità in determinati
strati delle popolazioni musulmane, è politicamente isolato, nei confronti di
tutti gli altri movimenti dell’Islam politico e degli Stati della Regione.
6) Per il
momento l’espansione territoriale dello Stato Islamico è contenuta dall’azione
congiunta dei bombardamenti aerei da parte dell’alleanza guidata dagli USA
nonché, sul terreno ed in maniera territorialmente limitata, dalle milizie
curde e dalle milizie sciite irachene sostenute dall’Iran. Ma nel frattempo sta
rafforzando la sua presa nelle zone sunnite di Siria ed Iraq dalle quali non
sembra per ora possibile sloggiarlo. In tali aree IS resiste soprattutto perché
non ha nemici concreti sul terreno.
Mentre
lo Stato Islamico, di per sé, costituirebbe soprattutto un problema regionale,
il suo abbinamento al progetto di un Califfato rappresenta un pericolo molto
apprezzabile per la comunità internazionale e per l’Occidente, perché:
- nel caso di una destabilizzazione
dell’Arabia Saudita (che travolgerebbe sicuramente le altre Monarchie del
Golfo), ma anche della Giordania o dello Yemen, potrebbe allargare il suo
controllo territoriale in una zona nevralgica del Medio Oriente;
- suscita
una serie di fenomeni di imitazione da parte di altri movimenti islamisti nel
mondo musulmano (Egitto/Sinai, Yemen, Libia, Nigeria, Afghanistan, ecc…);
- genera
un’attrazione ideologica su molti ambienti estremisti dell’emigrazione islamica
in Europa e nel resto del mondo occidentale, che già si manifesta in modo molto
sensibile con le migliaia di “foreign fighters”
provenienti anche dagli Stati Uniti, dall’Europa occidentale, dall’Australia,
dal Caucaso.
In
conclusione il pericolo principale non è costituito dalla occupazione da parte
dell’IS di parte della Siria e dell’Iraq, ma dalla attrazione esercitata, ben
al di là della valle dell’Eufrate, dal Califfato e dal suo modello
ideologico/politico.
7)
L’occupazione di un vasto territorio in Iraq e Siria costituisce invece il suo
principale elemento di vulnerabilità: senza una solida base territoriale l’IS
diventerebbe un movimento jihadista “come gli altri” e verrebbe a mancargli la
base concreta per la rivendicazione di un “Califfato”.
In
linea di principio il carattere “territoriale” dell’IS lo espone al pericolo di
essere debellato da una forza militare convenzionale. Ma questa forza non
esiste a livello regionale, ed i pochi Paesi dell’area che dispongono di
eserciti di terra significativi (Egitto, Turchia, Giordania) hanno altri
problemi interni cui dedicare le loro risorse militari, o altre priorità.
Né
la Comunità internazionale mostra molto interesse per un intervento militare
dall’esterno della regione, i cui esiti politici sarebbero per lo meno incerti,
che avrebbe certamente un costo umano altissimo per le popolazioni civili e che
sicuramente fornirebbe nuovo ossigeno allo jihadismo internazionale.
Un
altro possibile punto di debolezza costituisce nel carattere largamente
illegale delle sue fonti di finanziamento (vedi par.2). Un serio blocco
economico, qualora ve ne fossero le condizioni politiche, contribuirebbe
certamente a destabilizzare lo Stato Islamico.
8) La
sconfitta e l’eliminazione dello Stato Islamico richiede comunque una premessa
di carattere politico: è indispensabile
offrire alle popolazioni sunnite della Siria dell’Iraq una alternativa alla
soggezione all’ISIS che non sia il ritorno allo status quo ante, e cioè rispettivamente alla dominazione
alawita e shiita su popolazioni a maggioranza sunnita.
Le recentissime
dichiarazioni del Capo di Stato Maggiore uscente delle Forze Armate americane,
Generale Ray Odierno – secondo le quali si potrebbe arrivare ad una divisione
permanente dell’Iraq, ma il momento non è ancora giunto – potrebbero essere
interpretate in questo senso.
Sono in teoria
possibili varie formule (conferma delle partizioni di fatto già esistenti in
Siria ed in Iraq, soluzioni federali o strutture confederali), ma esse
necessitano tutte di una collaborazione tra Arabia Saudita ed Iran perché la nascita dello Stato
Islamico e del suo sedicente Califfato non sono che l’ultimo nefasto risultato
della loro competizione regionale, accentuatasi dopo il disastroso esito del
secondo conflitto iracheno.
Da registrare in
proposito che il Segretario di Stato Kerry sembra aver strappato all’Arabia
Saudita ed alle Monarchie del Golfo una approvazione di principio all’accordo
nucleare con l’Iran[6],
e che negli ultimi giorni sembra poter percepire un’attenuazione dello scontro
tra Arabia Saudita ed Iran a proposito del conflitto yemenita.
Contemporaneamente
si ha notizia di una serie di contatti tra i principali protagonisti della
scena internazionale e regionale per trovare una soluzione politica alla crisi
siriana. Potrebbero trattarsi dei primi timidi segni di una incipiente
collaborazione politica mirante ad una ricomposizione della struttura politica
dell’area.
Una volta
individuate soluzioni politiche per il futuro della Siria e dell’Iraq, una
sconfitta militare dello Stato Islamico potrebbe diventare più agevole, anche
tenuto conto del suo isolamento politico, e potrebbe essere accettata più
facilmente dalle popolazioni interessate.
L’effettivo avvio
di questo processo permane ancora del tutto incerto, e una sua positiva
conclusione ancora lontana e difficile da immaginare. Ma la sua possibile
evoluzione sembra fornire la chiave per valutare lo svolgersi degli eventi
nella regione nel corso dei prossimi mesi.