Alberto Pasolini Zanelli
da New York
Papa Francesco ha
aspettato oltre settant’anni per la sua prima visita negli Stati Uniti. Ora
la conclude, lasciandosi dietro un piccolo tesoro di entusiasmo e, ciò che
conta ancora di più, di attenzione. Alla Superpotenza della Terra si è
presentato com’è, con un programma molto denso, riuscendo a coniugare sincerità
e tatto. Quasi nella stessa misura. A un solo gesto è stato, pare, indotto a
rinunciare: al progetto di entrare nel Paese che più rigidamente protegge le
proprie frontiere a piedi e senza visto, atterrando in un punto qualsiasi della
frontiera di deserti che separa due Paesi. Sarebbe stata una esplorazione in quello
che è il più attuale dei drammi che meglio riassumono la nostra epoca.
A Philadelphia il Papa
ha visitato un carcere nel Paese che ha la segregazione penale più severa del
mondo civile. Per l’ingresso a New York ha compilato una lista di “invitati” che
comprendeva braccianti, madri “non regolari”, bambini che hanno varcato la
frontiera senza permesso e ora aspettano i genitori, per domani o fra anni. E
poi ha parlato all’Onu, il giorno dopo averli avuti tutti a Washington. Là al
Congresso riunito, qui all’Assemblea Generale. Al mondo dopo che all’America. E
ha potuto essere ad un tempo più franco con gli americani e più riguardoso con
i rappresentanti del “mondo”. Agli elettori dopo che agli eletti. Proprio nel
momento in cui l’America lotta con le risposte da dare allo stesso traumatico
interrogativo in cui si dibatte l’Europa, sintetizzato da una crisi di tipo
europeo, di numero a causa dell’afflusso dall’America Latina per loro e da noi per
il Mediterraneo e i Balcani, sotto un’“onda” e nello stesso tempo senza
precedenti. I cattolici immigrati negli Stati Uniti sono il 22 per cento della
popolazione adulta, ma il 31 per cento dei deputati e senatori, hanno per la
prima volta un vicepresidente cattolico, Joe Biden. Dei sedici aspiranti
repubblicani alla Casa Bianca, ben sei sono cattolici, dei nove scanni nella
Corte Suprema, ne occupano i due terzi, sei su nove. Politicamente i cattolici
sono divisi come gli altri: soprattutto repubblicani quelli di origine europea,
sempre più democratici quelli che vengono dall’America Latina. Come i colleghi di
altra lingua e ceppo sono stati molto attenti a quel che diceva questo
visitatore, traendone indicazioni, lezioni e conseguenze. Alcuni hanno trovato
il Papa troppo generoso, non abbastanza severo in campo “morale”, quelli in
parentela certamente europea non hanno gradito troppo proprio il calore di Francesco,
soprattutto quando egli esponeva appassionatamente il proprio “no” alla pena di
morte. Aveva appena fatto lo stesso a proposito dell’ergastolo e a molti
ascoltatori era parso troppo caloroso. Consensi maggiori, invece, per la
chiarezza e il calore del Papa nell’affrontare temi di “costume”, dal “diritto
alla vita”, all’aborto.
Nel complesso
parecchi hanno trovato l’“oratore” “troppo di sinistra”, il contrario quasi
esatto che nelle reazioni di quell’altra metà dei cattolici, a New York o a
Washington. Le critiche si sono concentrate soprattutto sull’eccessivo
“calore”, lamentato da taluni, nei colloqui del Papa con esponenti governativi
dell’America Latina, l’impegno, giudicato eccessivo, nella mediazione del Papa
tra gli Stati Uniti e Cuba, nel trattamento “troppo generoso” e “caloroso” con
i “fautori” di iniziative che hanno contribuito alla rimarchevole “ripresa
rossa” dell’America Centrale e meridionale. Contrasti in proposito si erano
aperti da giorni in seno al Partito repubblicano, anche a proposito del
trattato con l’Iran e, più recentemente, nelle trattative in corso con la Russia che potrebbero avere
riaperto il gioco diplomatico militare. Il dissidio è degenerato in scontro ed
è culminato quasi all’ultima ora nelle dimissioni di John Boehner, leader della
maggioranza repubblicana in Senato, che stavolta ha dovuto riconoscere la
propria “incompatibilità con estremisti” che egli ha identificato con i
colleghi legati in un modo o nell’altro al movimento del Tea Party, fautori
della strategia di opposizione totale e preventiva di ogni iniziativa del
presidente Obama, con qualunque mezzo, dall’ostruzionismo, alle “rappresaglie”
che più volte hanno paralizzato l’attività di governo per settimane o più di
fila. Una prova di più che Papa Francesco in America è stato proprio ascoltato.